Il Presidente del Senato fra politica e G8. Pera:
2 Agosto 2001
ROMA A differenza dei poliziotti di Genova, Marcello Pera s'era ben preparato ad affrontare altri tumulti: quelli di Palazzo Madama. Notti intere, svela il professore a margine della prima intervista da presidente del Senato, «passate a studiarmi i regolamenti e a imparare come si bloccano gli scambi verbali più grevi, gli incidenti d'aula, le pratiche ostruzionistiche...». Ieri, il suo battesimo del fuoco, con la più lunga scampanellata per sedare gli animi che la storia recente ricordi.
«Da apprendista», sorride, «mi son già sperimentato in una situazione complicata e difficile».
Ammetterà che il clima parlamentare non è dei migliori.
«Purtroppo no. Fino ai fatti di piazza durante il G8 c'era una normale dialettica. Poi tutto s'è deteriorato».
L'aveva previsto?
«Avevo segnalato il pericolo immediatamente. Già prima dell'inizio del vertice avevo stabilito che le commissioni affari costituzionali ed esteri potessero riunirsi in qualsiasi momento per assicurare la 'vigilanza' del Parlamento. E, subito dopo, mi ero adoperato perché il ministro dell'Interno venisse a riferire al Senato. Poi mi ero appellato a tutte le forze politiche affinché denunciassero senza esitazione ogni tipo di violenza. Guai, dissi, a dividersi su questioni come i diritti fondamentali, la collocazione internazionale dell'Italia, la difesa dell'immagine nazionale...».
Cosa temeva?
«Che si esacerbasse il rapporto tra le forze politiche. E che su questo clima di tensione si possa innestare, in un futuro prossimo, una stagione endemica di violenza interna al nostro paese. Da queste preoccupazioni è nato il tentativo di trovare una via d'uscita».
Istituendo la commissione parlamentare d'indagine?
«Esattamente, dopo aver votato e respinto la mozione di sfiducia contro il ministro Scajola. Ci siamo arrivati più tardi del previsto e con un percorso non sempre lineare, ma l'importante è esserci riusciti».
Chi ha remato contro?
«Non il governo, se è questo che vuol sapere. Il presidente Berlusconi è venuto qui in Senato per dire: 'Non copriremo nessuna violenza e cerchiamo anche noi la verità'. Purtroppo spesso mancano orecchie politicamente attente, perché quella era una porta socchiusa alla commissione, che già la scorsa settimana mi fece sentire rasserenato».
Racconti quando son nati gli ostacoli.
«E' noto: quando, sulle comunicazioni del ministro Ruggiero alla Camera, D'Alema ha fatto affermazioni che non aiutavano la composizione unitaria della vicenda».
Altre difficoltà?
«Il giorno dopo, quando il vicepresidente del Consiglio Fini è sembrato che dicesse no alla commissione d'indagine. Intendeva un'altra cosa, ma i giornali l'hanno interpretato così».
Terzo siluro?
«Sabato, e lì mi sono preoccupato davvero, con la dichiarazione dell'onorevole Violante».
A quale si riferisce?
«Quella sull'appello alla piazza... Volontariamente o per errore di calcolo, ha dato una mano a quanti, dall'altra sponda, dicevano no alla commissione d'indagine perché poteva dar vita a processi sulle piazze. Questo m'è costato un weekend di paura».
Di paura?
«Si stava chiudendo tutto molto male».
Dove ha trascorso il fine settimana?
«A Lucca, in casa».
Una villa?
«No, niente di speciale. Un appartamento da condominio anni Sessanta».
Telefonate a non finire.
«S'immagini lei. Domenica sera ho inviato pubblicamente un ulteriore appello durante una conversazione alla Versiliana... Lunedì ero qui in Senato per vedere se si riusciva a ricucire il dialogo».
Veniamo alla giornata decisiva di martedì.
«Avevo motivo per ritenere che nelle riunione dei capigruppo dell'Ulivo passasse la proposta della commissione d'indagine. Invece si sono impuntati su quella d'inchiesta, che la maggioranza (si sapeva già) avrebbe respinto. A quel punto temevo davvero che tutto fosse finito».
E invece?
«Alle tre del pomeriggio cerco il presidente della Repubblica tramite la linea diretta, vede questo pulsante?».
Cosa vi siete detti?
«Ma le pare che glielo possa raccontare? Oltre alle considerazioni doverose di riservatezza, io non condivido una certa tendenza a coinvolgere continuamente il presidente della Repubblica, tanto più questo Presidente con cui sento di avere un'affinità umana e anche culturale».
Teme una sua sovraesposizione?
«Le faccio un esempio. Cinquecento professori universitari miei colleghi che si rivolgono con un appello al Capo dello Stato, non si rendono conto che attribuiscono al Presidente un ruolo politico vero e proprio? Il giorno che intorno al Quirinale venisse meno il consenso, si creerebbe un delicatissimo problema istituzionale. Maggiore è il mio rispetto per il Presidente della Repubblica, maggiore è dunque il mio desiderio che non gli venga chiesto di intervenire su questo o su quello».
Torniamo alla trattativa. Come si è sbloccata?
«Grazie a una distribuzione dei compiti tra Camera e Senato favorita dal buon rapporto tra le più alte istituzioni. L'obiettivo della commissione d'indagine, che qui sembrava più a portata di mano, per un accidente della storia è stato anticipato per qualche ora dalla Camera».
Per quale motivo?
«Mentre nella nostra conferenza dei capigruppo i rappresentanti del centrosinistra insistevano per la commissione d'inchiesta, alla Camera i loro esponenti dicevano: 'Ci va bene anche la commissione d'indagine'. Ricordo di aver dato lettura, seduta stante, di una dichiarazione in tal senso fatta a Montecitorio da Folena, e di aver avvertito: guardate che dall'altra parte stanno andando proprio verso la soluzione che voi osteggiate...».
Ieri la soluzione è stata trovata.
«Diciamo che l'abbiamo trovata metà alla Camera e metà al Senato. Potrei definirlo un esempio di 'bicameralismo competitivo'. Qualche volta funziona».
Quale lezione ne trae per il futuro della legislatura?
«La mia speranza è che tutti, nella maggioranza, si rendano conto di essere al governo e acquisiscano la corrispondente cultura».
A qualcuno fa difetto?
«Ho sentito in aula certi interventi che mi hanno fatto dire l'altra sera a uno di questi oratori: 'Ti do una buona notizia, il 13 maggio la Casa delle libertà ha vinto le elezioni'».
Dunque?
«Più sobrietà, meno ironia, niente irrisione».
Altri auspici?
«Che si concluda presto il percorso congressuale dei Ds. I rapporti tra maggioranza e opposizione diventerebbero più lineari».
E come mai?
«Perché anche dall'identità dei Ds deriva la qualità della critica al governo. Se si danno un'identità più radicale, non può che crescere l'antagonismo; se invece prevale la cultura di governo, allora si collocano sul terreno di Amato, che ieri sul Dpef ha fatto un intervento di grande spessore».
D'Alema che parla di 'situazioni cilene' a quale partito va iscritto?
«Sono rimasto molto amareggiato da quell'affermazione. Pensavo che lui non ne fosse nemmeno più intellettualmente capace. E non perché i vertici della polizia li aveva nominati il centrosinistra, ma perché egli è stato presidente del Consiglio e conosce il dovere di tutelare l'immagine del paese».
Lei, garantista da sempre, come giudica i fatti di Genova?
«Sono rimasto scioccato da certe immagini, con le forze di polizia che colpiscono chi è a terra con le mani alzate. E' vero, erano lì a difendere la sicurezza di tutti, e però non si può far finta di non averle viste, bisogna andare fino in fondo. Ma attenzione».
Attenzione a cosa?
«Se il giorno in cui venne ucciso Carlo Giuliani noi avessimo guardato solo le prime due foto, la mano con la pistola e il corpo insanguinato, ci saremmo fatti un'idea sbagliata dell'accaduto. Proprio da garantista dico: l'accertamento dei fatti dev'essere approfondito e completo».
Cosa pensa degli anti-globalizzatori?
«La storia delle civiltà è una storia di globalizzazione. Risponda: chi furono i primi globalizzatori nella storia?».
Lo spieghi lei, professore.
«Furono i greci, che diffusero nel mondo di allora l'idea della polis. Il cristianesimo si afferma e globalizza il concetto di persona. Il pensiero scientifico rende globale la conoscenza teorica. La rivoluzione tecnologica e industriale crea e diffonde ovunque i beni. Le rivoluzioni americana e francese globalizzano i diritti civili. I moti socialisti dell'Ottocento fanno la stessa cosa per quelli sociali, e potrei continuare».
Finché arriva il G8.
«Se certi filosofi non fossero spensierati, e ci facessero una bella riflessione, vedrebbero che la globalizzazione è il solo rimedio ai mali che la globalizzazione medesima crea estendendosi. Lo dico anche a beneficio di quel mondo cattolico che predica il pauperismo».
A chi si riferisce, presidente Pera?
«Mi stupisce che esponenti di primissimo piano della Chiesa non comprendano che sono soltanto gli effetti non desiderati della globalizzazione a dover essere corretti. Tra parentesi: l'evangelizzazione cattolica che altro è se non una forma di globalizzazione religiosa?».
La Chiesa cattolica ha molte voci...
«Ne ho parlato poco prima di Genova con un caro amico monsignore. Lo sa cosa mi ha detto? 'Lei, presidente Pera, avrà pure trecento senatori, ma anche noi in Vaticano abbiamo trecento cardinali...».