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BIANCHI Francesco

  







   Indice dell'Attività Parlamentare   

   Fascicolo personale   


    .:: Dati anagrafici ::.

Data di nascita:11/23/1827
Luogo di nascita:PIACENZA
Data del decesso:20/07/1908
Luogo di decesso:CIVITAVECCHIA (Roma)
Padre:Luigi
Madre:CANEVARI Luigia
Coniuge:BIANCHI Clelia
Figli: Carlotta
Ferdinando
Luigi, senatore
Stanislao
Giuseppe
Paolina
Titoli di studio:Laurea in giurisprudenza
Presso:Università di Parma
Professione:Docente universitario
Altre professioni:Magistrato
Carriera giovanile / cariche minori:
Carriera:Professore ordinario di Diritto civile all'Università di Parma (15 gennaio 1863)
Preside della Facoltà di giurisprudenza dell'Università di Parma (1868-1873)
Professore [ordinario di Diritto civile] dell'Università di Siena (23 novembre 1873-9 giugno 1880)
Rettore dell'Università di Siena (1879-1880)
Consigliere della Corte di cassazione di Torino (10 giugno 1880), poi a Roma (12 novembre 1882)
Consigliere di Stato (8 luglio 1883)
Presidente di sezione del Consiglio di Stato (28 dicembre 1893)
Presidente del Consiglio di Stato (29 gennaio 1903-31 marzo 1907)
Cariche politico - amministrative:Sindaco di Parma (1869)
Vicepresidente del Consiglio provinciale di Parma
Presidente del Consiglio provinciale di Parma
Cariche amministrative:Consigliere comunale di Parma
Consigliere provinciale di Siena
Consigliere comunale di Siena
Assessore alla pubblica istruzione del Comune di Bologna
Cariche e titoli: Giudice del Tribunale supremo di guerra e marina
Membro del Consiglio superiore della pubblica istruzione (1° luglio 1891-1° febbraio 1894)
Membro corrispondente della Società reale di Napoli (18 novembre 1877)
Socio corrispondente dell'Accademia dei Lincei di Roma (27 luglio 1893)
Presidente degli ospizi civici di Parma
Membro del Consiglio delle miniere

    .:: Nomina a senatore ::.

Nomina:11/21/1892
Categoria:15 I Consiglieri di Stato
dopo cinque anni di funzioni
Relatore:Piero Puccioni
Convalida:29/11/1892
Giuramento:30/11/1892

    .:: Onorificenze ::.

Cavaliere dell'Ordine dei SS. Maurizio e Lazzaro 26 luglio 1863
Ufficiale dell'Ordine dei SS. Maurizio e Lazzaro 6 giugno 1887
Commendatore dell'Ordine dei SS. Maurizio e Lazzaro 31 maggio 1890
Gran cordone dell'Ordine dei SS Maurizio e Lazzaro 29 dicembre 1904
Cavaliere dell'Ordine della Corona d'Italia
Ufficiale dell'Ordine della Corona d'Italia (1912)
Commendatore dell'Ordine della Corona d'Italia 7 giugno 1883
Cavaliere dell'Ordine civile di Savoia 1902


    .:: Senato del Regno ::.

Commissioni:Membro ordinario della Commissione d'istruzione dell'Alta Corte di giustizia (26 gennaio 1901-6 febbraio 1902), membro ordinario della Commissione d'accusa dell'Alta Corte di giustizia (9 dicembre-21 dicembre 1904. Dimissionario)

    .:: Atti parlamentari - Commemorazione ::.

Giuseppe Manfredi, Presidente
        Onorevoli colleghi. [...] Nel suo solito soggiorno estivo di Civitavecchia, il 20 luglio morì il senatore Bianchi, che, nato in Piacenza il 27 novembre 1827 era nell'ottantunesimo anno. Commemorarlo oggi, se in voi tutti riprodurrà il compianto, ridesta maggiore il duolo in me, che in lui amava il concittadino, il vecchio collega di cattedra, l'amico della prima gioventù.
        Gli ultimi suoi giorni furono afflitti dal male del corpo e dalla legge del limite dell'età, che l'aveva fatto scendere dall'alto seggio di presidente del Consiglio di Stato, cui era stato elevato per dignità universalmente riconosciuta. Ma non aveva sentito il limite la sua mente; non era cessata l'attività del suo ingegno; continuava il fruttare della sua dottrina giuridica. Il suo Corso di diritto civile, opera di grande autorità in giurisprudenza e nell'uso del foro, gli manterrà la fama che gli diede in vita fra i cultori del diritto. Modesto, schivo del fasto, non che dello apparire, non procacciante d'onori, semplicemente buono, integro e leale, ebbe del merito, fra gli altri premii, la croce dell'ordine civile di Savoia. Le Università di Parma e di Siena han scritto a vanto il suo nome; viva evvi la memoria dell'affetto dei discepoli, della stima dei colleghi, della grande reputazione della sua cattedra. Lo ricorda magistrato profondo in sapere, coscienzioso nei convincimenti, severo nel retto, la Corte di cassazione di Torino, nella quale dall'insegnamento passò consigliere, benché breve tempo vi permanesse e preferisse il Consiglio di Stato. Di lui, salitovi da consigliere a presidente, disse l'encomio, poiché fu a riposo, la pergamena, che il nuovo presidente con i vicepresidenti, i consiglieri ed i referendari, gli presentarono in sua casa nello scorso aprile:
        "A voi - per eccellenza d'intelletto e di dottrina - nobiltà di costumi, coscienza intera - onorato e amato sempre - scrittore insigne di diritto - professore d'Università - magistrato di Cassazione - presidente del Consiglio di Stato - senatore del Regno - sia gradito e caro - il nostro saluto di affetto riverente - con fervido augurio - di vita felicemente longeva".
        Ahimè! Vano era per divenire tosto l'augurio, e succedere doveva in breve alla pergamena la pietra sepolcrale, e nell'epitaffio la lode incisa a memoria del chiaro estinto, della cui perdita il Senato sente profondo il dolore. (Benissimo). [...]
        CARLE G. Chiedo di parlare.
        PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
        CARLE G. Onorevoli colleghi, ho domandato la parola, non per aggiungere nulla alla splendida, dotta, comprensiva commemorazione che il nostro Presidente ha fatto di Francesco Bianchi, suo coetaneo ed amico d’infanzia ma unicamente per mandare ancor’io un reverente saluto a lui, che mi onorò della sua familiarità, della sua amicizia per tutta la vita.
        I miei ricordi su Francesco Bianchi rimontano al 1889, allorquando egli, nativo di Piacenza, come disse il nostro Presidente, era tuttavia già sindaco e professore dell'Università di Parma. Io l'ebbi allora giudice nel concorso di diritto e procedura penale, concorso che non ebbe esito, perché annullato per irregolarità di forma, ma che ebbe per me l'inestimabile vantaggio di farmi conoscere ed apprezzare il carattere, l'ingegno di questo uomo insigne, il quale fin d'allora, malgrado la sua incomparabile modestia, cominciava, quasi suo malgrado, a rivelarsi.
        Chiamato a professare il diritto civile a Parma fin dalla pubblicazione del nuovo Codice italiano, il nostro giovane professore ebbe l'intuito e l'ardimento di affrontarne il commento sistematico e d'iniziare un'opera a cui certamente non sarebbe bastata la vita di un uomo, per quanto dotto ed operoso.
        Né egli riuscì a compierla, ma lasciò un'opera fondamentale e monumentale, nelle parti almeno del Codice civile italiano a cui si riferisce il suo commento; opera che io credo possa sostenere il raffronto colle opere dettate dai grandi interpreti francesi sul Codice Napoleone.
        Modesto, quale egli era, intitolò dapprima l'opera sua: Corso elementare di diritto civile, pressoché solo indirizzandolo agli studenti di legge, ma, quando l'estimazione anche dei provetti giureconsulti, e la benevola accoglienza del pubblico lo costrinsero ad una nuova edizione, egli cambiò il titolo in Corso di diritto civile Italiano. Ed i cinque volumi della prima edizione crebbero di numero ed anche di mole, inquantochè il Bianchi sentiva il bisogno di adeguare l’opera sua all’importanza e all’altezza di un nuovo codice italiano, non limitato più a questa e quella regione, ma esteso a tutta la nazione.
        D’allora in poi il nostro Bianchi non disperse e i suoi conati in questa od in quella trattazione particolare, ma concentrò sempre tutta la sua energia in quest’opera fondamentale. Vecchio e stanco, egli continuò fino all’ultimo a rifondere e ad ampliare la prima edizione dell’opera, e ancora di recente inviava al suo tipografo di Torino (l’Unione tipografico-editrice) con puntualità inesauribile le ultime cartelle della sua scrittura esile e fitta senza traccia di cancellature, per guisa che si può ben dire che su di quell'opera s'arrestò la sua stanca mano, allorché si addormentò, sereno, del sonno della morte.
        Il nostro Presidente ha detto egregiamente dell'insegnante, del magistrato, del consigliere di Stato e del presidente del Consiglio di Stato.
        Io mi limiterò unicamente a dire che il Bianchi, nato in quella regione d'Italia, che per l'equilibrio ed il contemperamento delle facoltà mentali di quelli che vi nascono sembra meglio atta a produrre giureconsulti e magistrati, ove nacquero i Niccolosi, i Bonasi e lo stesso grande Romagnosi, patria eziandio del nostro illustre Presidente, ha dimostrato nell'opera sua tale un fine criterio giuridico, tale una coerenza di dottrina, tale una copiosa conoscenza della letteratura, che non si potrebbero certamente desiderare maggiori.
        L'opera colossale non fu compiuta, perché, come già dissi, non si poteva compiere da una persona sola nei limiti di una vita, anche lunga ed operosa, ma al povero Bianchi soccorse per molti anni la speranza che un figliolo suo, che era erede della sua dottrina, che era erede del suo carattere e che giovane ancora era già professore di diritto all'Università di Genova prima e di Bologna poi, potesse continuare l'opera sua. Purtroppo i suoi desideri ed i suoi voti non poterono essere soddisfatti, e quello fu certamente uno dei dolori maggiori della sua vita.
        Mi permetto tuttavia di dire al Senato che negli ultimi mesi della sua vita il Bianchi ebbe il conforto di trovare dei giovani egregi magistrati, i quali, apprezzando l'opera da lui incominciata, chiesero ed ottennero di poterla continuare e dare alla medesima quelle maggiori proporzioni che già lo stesso Bianchi vi aveva dato. E qui non posso astenermi dal trovare commendevole questa consuetudine che già comincia ad avanzarsi nel nostro paese di giovani che, anziché aspirare senz’altro a trattazioni completamente nuove, si appagano invece di rinfrescare, rinnovare ed interessare l’opera di predecessori, che siano veramente tali da meritarselo. Così accade di recente al Pacifici-Mazzoni e così accade eziandio a Francesco Bianchi, ad onore dei vecchi, le cui dottrine si perpetuano, ed anche dei giovani continuatori, che, resistendo all’attrattiva del nuovo, sanno comprendere che la vita del diritto deve essere sempre evoluzione graduale.
        Solo dirò ancora che il Bianchi ebbe la vetura, data a pochi e che sembra dalla Provvidenza essere riservata, ai suoi prediletti, di vedersi rivivere nei figli, di vedere questi figli alle prove della vita, quando egli già poteva essere certo che questi figli non avrebbero fallito a glorioso porto.
        In verità, lasciando ora in disparte la memoria triste del figlio che è mancato, il Bianchi ha lasciato dopo di sé due figli insegnanti, l'uno nell'Università di Siena e l'altro nella Università di Pisa; quest'ultimo anzi. Luigi Bianchi, è tale uomo che il suo merito nelle scienze matematiche ebbe già ad essere riconosciuto nello Stato nostro col premio reale dei Lincei, ed anche di recente all'estero in modo solenne, ed ha ormai l'universale consentimento. Ed anche il più giovane tra i figli, quello che convisse col compianto Bianchi fino agli ultimi giorni e che con la più giovane delle figliuole confortò gli ultimi anni della vita di lui e li rese sereni e tranquilli, anch' egli ormai è tale uomo che si può essere certi che continuerà nella magistratura le orme del padre suo.
        Permetta quindi il Senato che io rivolga il pensiero a questa famiglia veramente esemplare, e che io preghi il Presidente di rinnovare le condoglianze alla medesima, condoglianze che saranno certamente consentite da tutti i senatori presenti, inquantoché tutti, anche quelli che non appartenevano al Consiglio di Stato, hanno potuto conoscere le doti alte di carattere e di scienza che furono proprie di Francesco Bianchi. (Approvazioni).
        GIORGI. Domando la parola.
        PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare.
        GIORGI. Mi associo anch’io, con l’animo profondamente commosso, alle nobili parole pronunziate dal nostro onorando Presidente in memoria del senatore Bianchi.
        E non avrei altro da aggiungere se non mi premesse l’obbligo di manifestare, che a questo lutto del Senato prende intera partecipazione il Consiglio di Stato, costernatissimo per la scomparsa di un uomo illustre che ne fu dapprima collaboratore ed in ultimo presidente e capo amatissimo.
        Incancellabili sono le traccie di feconda operosità che il Bianchi ha lasciato come consigliere; e non solo nei lavori interni del Consiglio di Stato, ma anche in tutti quegli incarichi che gli venivano affidati, non tanto a ragione della carica che copriva, ma ancora più per la fama che giustamente lo circondava.
        Ricorderò tra i molti la sua cooperazione nel Tribunale supremo di guerra e marina, nel quale confermò la sua riputazione di magistrato integerrimo.
        Ricorderò pure il largo contributo di scienza amministrativa da lui portato nella commissione che vari anni or sono fu incaricata di fare i primi studi ed i lavori preparatori per la legge sullo stato degli impiegati: studi e preparazioni che si presero molti anni più tardi a base della legge sullo stato degli impiegati promulgata nell'estate decorsa.
        Divenuto presidente del Consiglio di Stato, il Bianchi in tarda età accoppiò all'autorità del grado quella della virtù e della devozione illimitata all'ufficio e al pubblico bene; tanto che spesso fu veduto, quando già gli anni ne avevano menomate le forze, trascinarsi faticosamente al Consiglio, senza riguardo per la vacillante salute, ogni volta che credeva necessaria la sua presenza in ufficio.
        È perciò che nel Consiglio tutti l'amarono, tatti lo piangono e lo desiderano.
        Questo sentimento, signori senatori, questo desiderio è certo un omaggio sincero e spontaneo reso a Francesco Bianchi, un reverente e affettuoso ricordo di tanto illustre giureconsulto, di tanto dotto ed eminente senatore. (Benissimo).
        MARIOTTI GIOVANNI. Domando di parlare.
        PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
        MARIOTTI GIOVANNI, Dopo quanto dissero con così vivo affetto e con così splendida parola il nostro amato Presidente e gli illustri senatori Carle e Giorni, ben poco mi rimarrebbe da aggiungere su ciò che ha compiuto con meravigliosa attività Francesco Bianchi, come giurista, come senatore, come consigliere di Stato.
        Ma i dotti uomini che hanno parlato fin qui, nulla o pochissimo potevano dire sull’opera del Bianchi come amministratore zelantissimo di città, di provincie, di opere pie. Concedete, quindi a me, che gli fui a lungo collega nel Consiglio municipale e poi gli succedetti nel sindacato di Parma, a me che ebbi occasione di vedere davvicino quale fosse l'opera sua, concedete a me di dirvi che l'opera di Francesco Bianchi, quale sindaco di Parma, opera lunga e laboriosa, opera mirabilmente dotta e feconda, fu degna davvero di essere citata ad esempio per ogni pubblico amministratore, sicché la sua memoria rimane viva e benedetta nella mia città come quella di un grande benefattore.
        Io ebbi la fortuna di vedere Francesco Bianchi, per lunga serie di anni, alla presidenza del Consiglio provinciale parmense, e potei ammirare davvicino quanto fece con costante attività, con impareggiabile zelo, in quella Amministrazione, ove il nome e l'opera di lui sono ricordati ancora con riconoscenza vivissima. Lo vidi pure all'opera come presidente degli Ospizi civili di Parma, amministrazione vastissima che comprende molti ospedali, orfanotrofi ed altri istituti pii, e che deve a lui il suo ordinamento attuale, meritamente apprezzato e lodato.
        Sopratutto, poi, onorevoli colleghi, io ebbi il Bianchi a maestro. Consentitemi, quindi, che insieme al saluto che mando alla sua memoria venerata a nome della mia provincia e della mia città, insieme al saluto che a lui inviano ora, per mezzo mio, i poveri, gli orfani, gli infermi, al cui bene egli sopraintendeva con tanto affetto, consentitemi che io oggi, di qui, collo schianto nell'animo, gli mandi il mesto e reverente saluto di un suo scolare affettuosissimo, pieno di rimpianto per lui che non potremo più vedere in quest' Aula, ove ancora mi pareva di averlo a maestro.
        Francesco Bianchi insegnava all’Università di Parma il diritto civile. Alle sue lezioni tutti andavamo, non solo noi studenti, ma anche i professori della nostra e di altre facoltà e moltissimi cittadini; sicché le aule della Facoltà giuridica, quantunque vaste, più non bastavano per la scolaresca divenuta oltremodo numerosa, ed egli dovette trasportare il suo insegnamento in una sala vastissima, ove nessuno prima dì lui, aveva insegnato, ove nessuno mai, dopo di lui insegnò.
        In quella sala, onorevoli colleghi, sarà tra poco murato un marmo che dirà ai venturi come di là Francesco Bianchi, colla viva voce e con gli scritti dottissimi, dal 1859 al 1873, abbia insegnate le nuove leggi civili della patria risorta, non solo agli studenti dell'Ateneo di Parma, ma ai più insigni maestri di tutta Italia. (Approvazioni vivissime). [...]
        GIOLITTI, presidente del Consiglio, ministro dell’interno. In nome del Governo mi associo al lutto del Senato per le grandi perdite che ha fatto. [...]
        Mi consenta il Senato di aggiungere una parola speciale di rimpianto per il senatore Bianchi, del quale ho avuto l’onore di essere collega per molti e molti anni ne l Consiglio di Stato, dove ho potuto la profondità della sua dottrina, la grandissima operosità ed il senso di giustizia in tutte le questioni sottoposte a quell’altissimo consesso.

        Senato del Regno, Atti parlamentari. Discussioni, 28 novembre 1908.

Note:Il nome completo risulta essere: "Francesco Saverio".
Secondo altra fonte risulta nato il 24 novembre 1827.


Attività 0233_Bianchi_Francesco_IndiciAP.pdf