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Data di nascita: | 08/08/1811 |
Luogo di nascita: | Castelvetro di Modena (Modena) |
Data del decesso: | 08/09/1892 |
Luogo di decesso: | LIVORNO |
Padre: | Giuseppe |
Madre: | SANTYAN Y VELASCO Luigia |
Nobile al momento della nomina: | No |
Nobile ereditario | No |
Titoli nobiliari | Duca di Gaeta, titolo concesso con regio decreto del 18 settembre 1870, rinnovato con regio decreto del 6 luglio 1890 |
Coniuge: | MARTINEZ DE LEON Maria |
Figli: | Enrico, padre di Enrique Joan Nepomuceno Luis, figli di Enrico |
Fratelli: | Guido |
Parenti: | CIALDINI Francesco, zio paterno |
Professione: | Militare di carriera (Esercito) |
Altre professioni: | Diplomatico |
Carriera giovanile / cariche minori: | |
Carriera: | Colonnello di fanteria nell'Armata di Spagna (26 ottobre 1847-30 maggio 1848. Cessazione dal servizio nell'esercito spagnolo)
Colonnello di gendarmeria (Governo provvisorio di Modena)(4 giugno 1848)
Comandante del 23° reggimento di fanteria (Regno di Sardegna) (11 novembre 1848)
Maggior generale (Regno di Sardegna) (1° agosto 1855)
Tenente generale (Regno di Sardegna) (31 maggio 1859)
Generale d'armata (6 ottobre 1860-3 aprile 1870)
Reggente la legazione di Parigi in qualità di ambasciatore (30 giugno 1876-2 novembre 1879)
Reggente la legazione di Parigi in qualità di ambasciatore straordinario e plenipotenziario (17 giugno 1880-2 luglio 1881)
Reggente la legazione di Madrid in qualità di ambasciatore straordinario e plenipotenziario (17 novembre 1879-17 giugno 1880) |
Cariche e titoli: | Inviato presso Napoleone III (28 agosto 1860)
Inviato a Madrid per l'incoronazione di Amedeo di Savoia a re di Spagna (18 dicembre 1870)
Aiutante di campo di SM il Re (19 maggio 1856)
Aiutante di campo onorario di SM il Re (5 marzo 1882)
Ispettore del corpo dei Bersaglieri (9 giugno 1856)
Membro del Congresso consultivo permanente della guerra (28 novembre 1858)
Luogotenente del Re a Napoli (16 luglio 1861)
Commissario straordinario di SM il Re in Sicilia con pieni poteri (21 agosto 1861-ottobre 1862)
Capo di Stato maggiore generale (18 agosto 1866)
Presidente del Comitato di Stato maggiore generale dell'Esercito (1° dicembre 1873-13 settembre 1874) |
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.:: Nomina a senatore ::.
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Nomina: | 03/13/1864 |
Categoria: | 03
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20 | I deputati dopo tre legislature o sei anni di esercizio
Gli ufficiali generali di terra e di mare. Tuttavia i maggiori generali e i Contrammiragli dovranno avere da cinque anni quel grado in attività
Coloro che con servizi o meriti eminenti avranno illustrata la Patria |
Relatore: | Luigi Chiesi |
Convalida: | 20/05/1864 |
Giuramento: | 25/06/1864 |
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Commendatore dell'Ordine militare di Savoia 12 giugno 1856
Grande ufficiale dell'Ordine militare di Savoia 16 gennaio 1860
Gran cordone dell'Ordine militare di Savoia 19 novembre 1860
Cavaliere dell'Ordine supremo della SS. Annunziata 4 novembre 1866
Cavaliere dell'Ordine dei SS. Maurizio e Lazzaro
Commendatore dell'Ordine dei SS. Maurizio e Lazzaro
Grande ufficiale dell'Ordine dei SS. Maurizio e Lazzaro
Gran cordone dell'Ordine dei SS. Maurizio e Lazzaro
Gran cordone dell'Ordine della Corona d'Italia
Commendatore dell'Ordine della Legion d'onore (Francia)
Cavaliere dell'Ordine della Torre e della Spada (Portogallo)
Gran cordone dell'Ordine di Isabella la Cattolica (Spagna)
Cavaliere dell'Ordine di S. Ferdinando (Spagna) |
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Periodo: | 1831-1832 campagne in Belgio, 1832-1835 campagne in Portogallo, 1835-1840, 1843 campagne prima guerra carlista, 1848-1849 prima guerra di indipendenza, 1859 seconda guerra di indipendenza
1860-1861 campagna per l'indipendenza e l'unità d'Italia, 1866 terza guerra d'indipendenza | |
Arma: | Esercito |
Decorazioni: | Due medaglie d'argento al valor militare, medaglia di Crimea, medaglia mauriziana al merito militare di dieci lustri | |
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.:: Camera dei deputati ::.
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Legislatura | Collegio | | Data elezione | Gruppo | Annotazioni |
VII | Reggio Emilia | | 25-3- 1860* | Non risulta | Cessazione per nomina a generale d'armata |
VIII | Reggio Emilia | | 27-1- 1861** | Non risulta | Cessazione per nomina a senatore |
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Commissioni: | Membro della Commissione per l'esame del disegno di legge sui provvedimenti relativi all'esercito (8 giugno 1870) |
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.:: Atti parlamentari - Commemorazione ::.
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Atti Parlamentari - Commemorazione
Domenico Farini, Presidente
Signori senatori! Un mesto esordio precedere deve ogni nostro lavoro: la commemorazione dei colleghi che da noi si dipartirono, dacché il Senato si aggiornò.
Funerea, lunga, dolorosa lista!
[...]
Fra gli uomini che al rinnovamento degli Stati contribuirono, i capitani tennero sempre luogo eminente. Ai loro gesti sieguono le rumorose cadute, i meravigliosi innalzamenti; rumori e meraviglie che danno merito o colpa di ogni mutazione, quantunque lontane, molteplici e diverse ne siano state le cagioni. Che se la scintilla creatrice largì ad un prediletto le audacie guerresche e gli avvedimenti della pace, il cuore del popolo lo avvolge in una aureola che vela ogni umana infermità, e le benemerenze sole appariscono, e sole risaltano le virtù che smagliano. In onore del fortunato la storia e la leggenda vanno a gara; e nel nome suo si idealizza il patriottismo.
Tale fu Enrico Cialdini. (Benissimo).
Nato a Castelvetro di Modena, i moti del 1831 lo allontanano, adolescente, dalla famiglia, dagli studi. Il padre, che nelle prigioni di Rubiera, infami per veleni, martorieranno le sevizie estensi, lo educò libero; gli affascinanti ricordi napoleonici ne cullarono la puerizia; natura lo chiamava ai rischi.
A Rimini affrontò impavido il piombo straniero che uccideva una rivoluzione, per fanciullesca iattanza di buon diritto, farneticata inerme: schermo inane dei forastieri interventi. Imparò presto che la patria senz'armi non sarebbe redenta!
Esule a Parigi, nelle battaglie della libertà che in Portogallo si combattono, vede la scuola delle italiane battaglie: vi fa le prime armi, acquista i primi gradi. Qui spicca il mirabile valore che, in ispietata guerra civile, a salvezza del fratello ferito, per pietà del cadavere d'un amico, lo indugia fra i nemici attoniti: qui si manifesta a certi segni la stupenda vocazione che gli darà fama.
È nato soldato, diventerà capitano! (Bravo).
In Ispagna sulle orme dei profughi del 1821, per il popolare diritto, danno la vita gli esuli italiani del 1831 in espiazione di altre vite da italiani, sul cominciare del secolo a danno dell'indipendenza iberica, spente. Là, ne' cacciatori di Oporto, il Cialdini si segnala per ardimento, per consiglio eccelle, sale in grado. Trapassato nelle truppe regolari, insignito di autorità, accasato, accarezzato, riverito, il singolare favore renderebbe pago ogni meno eletto, soddisfatto ogni più ambizioso. Ma lui agita una passione; lui scalda l'affetto, lui tormenta lo strazio della patria. Il sorgere del 1848 ne promette la redenzione; stato, amici, famiglia non lo trattengono; accorre ad offrirle braccio ed esperienza. (Bene).
Pochi, in Italia, i capi esperti, difettivi gli ordinamenti, gli apparecchi, gli istituti, le tradizioni militari; molte le borie, le diffidenze; maggiori le ambizioni: le cupidigie fanno ressa.
Schivo dall'impetrare, insofferente d'ogni ripulsa, Enrico Cialdini, non stanca coi lamenti, non assorda coi piati; a Vicenza, duce Giovanni Durando, si combatte, va a Vicenza. Sul monte Berico il fiore della gioventù dello Stato romano bagna col sangue i gradini della rotonda di Palladio ed egli stramazza, squarciato il ventre da imane ferita, al punto istesso di Massimo d'Azeglio. (Approvazioni).
Le forze militari di buona parte d'Italia, sullo scorcio del 1848 si riordinano, si addestrano in Piemonte a nuovi cimenti; il valoroso vi è accolto. In brevi giorni nel 23° reggimento il potente suo soffio amalgama, saldamente cementa disparati elementi. Quei soldati, quel capo alla Sforzesca ed a Novara si cuoprono di gloria. Fatta la pace ad altro comando è preposto: il bel 14° reggimento e il suo prestante colonnello, l'alta riputazione di entrambi e la severa scuola, che a tanti procacciò onori, perizia, nome, sono bella tradizione dell'esercito. Ed è nella memoria di molti, e vi hanno pure fra noi parecchi che lo ricordano, capo intrepido d'una brigata nelle trincee di Sebastopoli, anelante a novello fulgore per la bandiera d'Italia nella Tauride divinata, malgrado i malauriosi vaticinii, apportatrice di nuovissime fortune. Che se sorte avara gli negò altri allori, quella campagna gli procacciò credito da governare le maggiori imprese.
Valente nell'organare, spoglio di soldatesche superstizioni, imminendo la guerra liberatrice ordinò l'ardente gioventù d'ogni provincia che, duce Garibaldi, sarà sublime di impeto e di sacrificio: ve lo avevano designato le origini, il prestigio, il sentire.
Rotte le ostilità ai primi scontri, alle prime vittorie fu congiunto il suo nome: le due giornate di Palestro lo elevarono di dignità e di rinomanza che i casi successivi, tenendo lontana la quarta divisione dal maggior teatro delle operazioni, gli vietarono aumentasse.
Mirabile per la preparazione, la spedizione delle Marche ed Umbria sarà pure sempre memorabile per l'attuazione felice del disegno sapiente, con che rovesciato ogni ostacolo, fatti prigionieri l'esercito, i capi, il supremo generale, fu debellata ogni resistenza.
Ad Enrico Cialdini la più verde palma!
Messo militare di Vittorio Emanuele aveva udito a Chambery colorire l'ardita risoluzione: a Pesaro, là dove trent'anni prima per la prima volta brandì le armi, capo di potente schiera per la stessa causa ora combatteva. Vittorioso, l'intuito onde natura gli fu prodiga lo sprona, gli impenna il piede; vola ratto a frapporsi fra Ancona ed i pontifici che, guidati dal Lamorcière, incalzati dal Fanti a gran furia vi cercano scampo. "Movimento arrischiato (telegrafa egli il 15 settembre da Sinigaglia) ma non è che così che si fa la guerra con successo".
Ed il successo gli arride. Dal rompere della guerra ne aveva fatto sacramento: il 18 di settembre, una giornata che basterebbe ad una vita, col fulminar vittorioso sventa le brighe, le straniere intervenzioni, sgomina, disperde il miglior nerbo dei papali.
A Castelfidardo Perugia è vendicata! (Molto bene).
Colla resa di Ancona andavano al loro fine il mese di settembre e la fortunata campagna durata venti giorni.
Ma al valicare del Tavullo, come Cesare del Rubicone lì accanto, l'Italia aveva tratto il dado: dalle Marche il gran Re stendeva la mano al mezzogiorno. Passato il Tronto Enrico Cialdini incalza i borbonici; al Macerone li sgomina, li fuga nelle gole di S. Giuliano; tenta il Garigliano; espugnala cittadella di Messina: segna qual lampo, coi trionfi, la via sacra dell'unità nazionale. (Bravo, bene).
Il Parlamento lo applaude; nel suo capitano, l'Italia orgogliosa confida!
La guerra del 1866 frustrò il dotto studio ed il lungo apparecchio di lui comandante a Bologna: un rovescio principio e fine d'una campagna con lietissime speranze iniziata, gli tolse occasione a nuove battaglie.
La nostra stella impallidiva!
L'esercito poc'anzi assottigliato, ora diviso e sparpagliato, due opposti disegni fusi, anzi confusi, prepararono l'infausta Custoza, l'inoperosità seguente: i documenti assolveranno il comandante dell'esercito del Po, estraneo all'apparecchio ed al supremo disegno della guerra, da codeste responsabilità.
Ma intanto la delusione, l'amarezza, un pregiudizio fatale grava tutti i capi, di tutti appanna il prestigio: ed il corruccio, il tedio; le ordinanze disfatte e rifatte premendo la mala soddisfazione, a poco a poco li allontanano tutti dalle file di cui erano stati ordinatori, condottieri, vanto.
Venne più tardi un istante in cui un nuovo ordinamento parve lo designasse ad eminente ufficio: fugace speranza. Attribuzioni e preminenze contese, autorità e responsabilità promesse a spilluzzico, furono ostacolo a che dell'ingegno, dell'esperienza, della riputazione del Cialdini si traesse nuovo partito. E benché i ruoli militari lo abbiano scritto, finché visse, fra i soldati; benché colla memoria e coll'anima vivesse nell'esercito; quantunque sempre agognasse a dare il braccio forte ed il consiglio sagace per la patria, morì inoperoso. Da quasi vent'anni era lontano dalle file; da quasi vent'anni non ci si giovava d'una autorità sulla quale poi nei frangenti invano si fa a fidanza, quando coll'usarla non si tenga viva e non si apponga.
Eccellente pur nelle cose di che non avesse fatto professione, anche fuori della milizia si segnalò il Cialdini. Luogotenente pel Re, fu a Napoli nel 1861 e governò con larghezza ed antiveggenza singolari una situazione trent'anni sono male nota, torbida, oscura: quest'Assemblea ne udì più volte ammirata la eloquente parola: da questa tribuna, in giorni memorandi, deprecò, severo rampognò: da Parigi, ambasciatore, a tempo scorse i male orditi Tunisini; a tempo ammonì.
Non ne velavano l'occhio le nebbie di parte, non ne turbavano il giudizio i pregiudizi di scuola; mente acuta, intelletto di patria gli facevano il vedere chiaro, lungo, sicuro. O parlasse, o scrivesse usava con garbo il magistero delle lettere. Diritto come lama di spada, incideva scrivendo, parlando combatteva: il dettato e la parola lo rivelavano intiero. Lo squillare della voce, lo scintillio dello sguardo, il fermo opinare, l'accento altiero riverberavano il tumulto degli affetti; il fuoco della passione, che genera i nobili detti ed i magnanimi atti, agitava l'alta mente.
Altri rimproverò, altri si dolse che di tanto eccelse qualità la vita pubblica maggiormente non si avvalesse; che egli sfuggisse, colla soma, la responsabilità del potere. Vedeva, sapeva, che nei governi parlamentari senza largo e sicuro consenso male o poco utilmente si governa: sentiva che consenso efficace non vi si raccoglie se non da chi è sangue del sangue, carne della carne d'un partito; sapeva, vedeva che, senza scabro tirocinio, non si entra nello spinoso arringo o, se vi si entra d'un tratto, non si approda. Conosceva sé essere atto più a guidare che a seguire: sé chiamato a conciliare nei supremi intenti non ad escludere. Avvezzo ad ampi orizzonti, solito a fissare in su le aspirazioni, la speranza, repugnava ad ogni industria piccina, aborriva da qualcuna che è pur non piccola parte dell'arte di Governo; era disadatto a costringere lo sguardo entro angusti confini, a piegare l'azione, il pensiero, a grette esigenze.
Carità di patria l'indusse in un frangente a sobbarcarsi per un istante. Vano tentativo. Le opposte parti, in tutto discordi, non potendo voltarlo alle loro voglie, andarono d'accordo nel segregarlo e frustrarne la prova. Il lamento, la riprensione della cronaca non avranno eco nella storia, nel cui grembo riposano oramai sicure la memoria e la fama di lui. (Benissimo).
Soldato, Enrico Cialdini, resse con vigore, corresse con severità, tenne in protezione amorevole i compagni suoi; ne fu idolatrato. Capitano assumeva le imprese con maturo consiglio, i cimenti prendeva con audacia; imperterrito, all'incalzare del pericolo la sua mente si illuminava, dava ordini inesorabili, fatali; col corruscare dello sguardo rassicurava, trascinava, infiammava.
Nessuno che lo accostasse sfuggiva al fascino della squisita cortesia, del giocondo conversare della geniale persona: ai benevoli, benevolo; agli amici fedele, verso gli avversari aveva dei generosi gli impeti rudi, gli sdegni brevi, gli schietti oblii.
Da più anni, lontano dal rumore quotidiano, viveva solitario pressoché avvolto in un melanconico silenzio d'oltretomba, rammaricato che nessuna voce autorevole lo purgasse dagli storti giudizi invalsi sull'opera sua a Parigi. rado appariva tra noi; ma ogni sua venuta era segno a riverenza; una gioia, per gli amici, una gesta, una ventura. (Adesioni).
Ammalato da gran tempo in Livorno, lottò tenacemente, fortemente sopportò un lento martirio; aspettò stoicamente la morte dando a noi soli, mai a sé, speranza di salute. Ultima battaglia che rispecchia, negli ultimi istanti, tutta una esistenza, ne ricorda la adamantina tempra, la invitta costanza.
Allo splendore delle grandi energie, che di poco varcati gli ottantun anni, schiantò il nefasto giorno otto del mese che aveva segnato certo il culmine della sua fortuna, forse della sua gloria, più buie sieguono le tenebre, più affannoso il nostro lutto. (Sensazione).
Così questa vita lunga d'anni e di benemerenze, ma ahi! troppo corta ai bisogni della patria, è finita: è morto questo prode che in sé sublimò il soldato, il capitano, il cittadino. È scomparso il maggior uomo di guerra che avesse l'Italia! È caduta così un'altra foglia della patriottica corona di quei privilegiati che ebbero l'intuito lucente e l'ostinata coscienza della nuova Italia: così è tramontata una gloria nazionale! (Bravo - Applausi generali vivissimi). [...]
PELLOUX, ministro della guerra. Domando la parola.
PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare.
PELLOUX, ministro della guerra. [...] Debbo poi chiedere al Senato di permettermi di aggiungere brevissimi cenni, per quanto ciò possa essermi difficile in questo momento, intorno a due illustri generali ai quali mi legavano vincoli della più affettuosa devozione.
Col generale Cialdini è scomparsa una delle più spiccate figure del nostro risorgimento, uno fra i più gloriosi avanzi delle guerre dell’indipendenza.
Di lui come soldato, come cittadino, come uomo politico, come capo di eserciti dirà la storia. Io oggi non rammento che il glorioso ferito di Vicenza, l’eroico colonnello della Sforzesca, il brillante comandante della IV divisione sarda a Palestro, il vincitore di Castelfidardo, l’espugnatore di Gaeta.
A ben pochi fu dato per valore personale, per energia di carattere, per abilità e per sapere, di elevarsi così in alto e di rendere in pari tempo il proprio nome così popolare fra tutti gli ordini civili e militari, come ad Enrico Cialdini.
Non v’è veterano nelle nostre città e nelle nostre campagne, cui questo nome non sia famigliare; non v’è giovane soldato che l’abbia sentito pronunciare, senza che gli sia rimasto impresso nell’animo un profondo senso di rispetto. E nello stesso modo che i veterani hanno scolpito nella mente la maschia e simpatica figura del prode generale, per averlo visto tante volte nei campi, e nelle guerre nazionali, così i giovani soldati lo ricordano per averne vista l’effige riprodotta, perfino nei più umili tuguri, accanto dei principali fattori dell’indipendenza e dell’unità d’Italia, accanto a quelle di Vittorio Emanuele, di Garibaldi, di Cavour. (Applausi).
Pochi generali ebbero sulle loro truppe l’ascendente che ebbe il generale Cialdini. La sua parola, sempre rispondente alla situazione, sempre in armonia coll’intimo sentimento del soldato, entusiasmava, elettrizzava; sia che egli, in Crimea, dicesse alla sua brigata dolente di essere rimasta in riserva il giorno della battaglia della Cernia: Voi avete il diritto ad una giornata di battaglia e Dio ve la manderà! Sia che, l’indomani della resa di Gaeta, egli invitasse il suo corpo d’Armata a celebrare una messa funebre per coloro delle due parti che erano morti combattendo.
Negli ultimi anni della sua vita, malfermo in salute, ma pur sempre nel pieno possesso della sua intelligenza e della sua energia morale, si era ritirato in un modesto villino a Livorno, ove lontano dai rumori viveva nel più profondo raccoglimento.
Nella lunga, dolorosa malattia, sopportata eroicamente egli ebbe campo di conoscere quanto tutta Italia s’interessasse a lui, a cominciare dal Re, e sino all’ultimo popolano.
Dirà la storia qual fu la cagione per cui non ebbe nel Governo del suo paese la parte che il suo ingegno grandissimo e la posizione acquistata gli avrebbero potuto assicurare.
All’indomani della sua morte un giudizio completo non si può dare su di lui. Egli fu certamente uno degli uomini più eminenti dell’epoca nostra, ed il suo nome rimarrà caro e venerato nell’esercito e nel paese, fintanto che dureranno in Italia spirito militare ed amore di patria. (Bravo, bene).
Senato del Regno, Atti parlamentari. Discussioni, 24 novembre 1892.
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Archivi: | Museo centrale del Risorgimento di Roma
Roma, Stato maggiore esercito, Carte Minonzio-Cialdini
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Attività |
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