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Data di nascita: | 10/11/1841 |
Luogo di nascita: | OLIVOLA (Alessandria) |
Data del decesso: | 09/02/1919 |
Luogo di decesso: | OLIVOLA (Alessandria) |
Padre: | Giovanni Ambrogio |
Madre: | CONSEPA CASTELBORGO Eleonora |
Nobile al momento della nomina: | Si |
Nobile ereditario | Si |
Titoli nobiliari | Conte d'Olivola
Signore di Montù de' Gabbi |
Coniuge: | DE SECONDI Secondina |
Fratelli: | Maria
Enrichetta
Adele |
Parenti: | CANDIANI Luigi, avo paterno
RICCARDI Guido, nipote |
Luogo di residenza: | Olivola |
Indirizzo: | Via San Defendente, 32 |
Titoli di studio: | Scuola militare |
Scuole militari: | Scuola di marina di Genova dal 1° luglio 1856 |
Professione: | Militare di carriera (Marina) |
Carriera giovanile / cariche minori: | |
Carriera: | Contrammiraglio (7 marzo 1895)
Viceammiraglio (8 aprile 1906-30 giugno 1910. Data del collocamento a riposo) |
Cariche politico - amministrative: | Consigliere comunale di Olivola (Alessandria) |
Cariche e titoli: | Addetto navale all'Ambasciata italiana a Londra (1886-8 agosto 1889)
Direttore dell'Arsenale di [La Spezia] (21 aprile 1895-23 gennaio 1898)
Socio della Società geografica italiana (1868) |
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.:: Nomina a senatore ::.
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Nomina: | 11/21/1901 |
Categoria: | 14 | Gli ufficiali generali di terra e di mare. Tuttavia i maggiori generali e i Contrammiragli dovranno avere da cinque anni quel grado in attività |
Relatore: | Antonino Di Prampero |
Convalida: | 03/12/1901 |
Giuramento: | 16/04/1902 |
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Cavaliere dell'Ordine dei SS. Maurizio e Lazzaro 19 giugno 1878
Ufficiale dell'Ordine dei SS. Maurizio e Lazzaro 15 marzo 1883
Commendatore dell'Ordine dei SS. Maurizio e Lazzaro 10 ottobre 1896
Grande ufficiale dell'Ordine dei SS. Maurizio e Lazzaro 21 ottobre 1901
Grande ufficiale dell'Ordine della Corona d'Italia 6 aprile 1899
Ufficiale dell'Ordine militare di Savoia 21 agosto 1901
Cavaliere dell'Ordine di Cristo (Portogallo) 30 novembre 1862 |
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Periodo: | 1900-1901 campagna dell'Estremo Oriente | |
Arma: | Marina |
Decorazioni: | Croce d'oro per anzianità di servizio, medaglia col motto "Cina 1900-1901" | |
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Commissioni: | Membro della Commissione di finanze (6 dicembre 1904-12 marzo 1907. Dimissionario)
Membro della Commissione per l'esame dei disegni di legge "Codice penale militare", "Codice di procedura penale militare" e "Ordinamento giudiziario militare" (6 dicembre 1905) |
| Commissario di vigilanza al Fondo per l'emigrazione (7 dicembre 1904-12 marzo 1907. Dimissionario) |
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.:: Atti parlamentari - Commemorazione ::.
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Atti Parlamentari - Commemorazione
Adeodato Bonasi, Presidente
Onorevoli colleghi. È fatale che ogni ripresa delle nostre adunanze abbia ad essere funestata dall'annunzio della perdita di qualcuno dei nostri cari colleghi. Questa volta la sorte inesorabile è stata ancor più crudele, avendoci rapito nel giro di poche settimane sei benemeriti senatori, che tutti, a titoli diversi, altamente onoravano la nostra Assemblea. [...]
Una nobilissima figura di marinaio, che nei remoti mari della China tenne alto l'onore della bandiera italiana in una memorabile spedizione internazionale, è dolorosamente scomparsa colla morte del benemerito viceammiraglio senatore conte Camillo Candiani spentosi in Olivola il 9 febbraio.
Sino dal luglio del 1850, vale a dire quando non aveva ancora compiuto i 9 anni, essendo il Candiani nato l'11 ottobre 1841, egli iniziò la sua carriera entrando allievo nella R. Scuola di marina di Genova, e la continuò via via salendo senza salti e senza interruzione tutti i gradi sino a quello supremo di viceammiraglio.
D'ingegno pronto, perfettamente equilibrato, di carattere fermo senza asprezze, conoscitore profondo non solo delle dottrine, ma dell'arte della marineria, che con vera passione aveva studiata e praticamente appresa in tutti i più minuti particolari dei singoli servizi, fu sempre tenuto in altissima stima dai superiori, rispettato e benvoluto dai pari, ammirato ed amato dagli inferiori, che in lui sentivano la guida sicura ed il giusto apprezzatore della loro opera e dei loro sacrifizi, imponendosi a tutti più per la sua indiscussa autorità personale che per il grado occupato ed i vincoli della disciplina.
Ciò spiega come il Candiani riuscisse a fare degli equipaggi al suo comando un sol tutto di cui egli diveniva lo spirito animatore, e potesse trascinarli volenterosi ad ogni più difficile impresa e renderli tetragoni alle aspre ed oscure fatiche della vita di bordo senza lagni e senza segni di intollerante stanchezza anche se inconsuetamente protratte.
Di questo suo incontrastato dominio su la sua gente, non imposto ma con cosciente soddisfazione subìto, si ebbe un mirabile esempio appunto in quella fortunosa spedizione sopraccennata.
Quando al Candiani giunse l'ordine di recarsi nell'estremo Oriente ad assumervi il comando della squadra italiana, egli si trovava imbarcato sul Fieramosca, nave che per la sua costruzione e le avarie sofferte richiedeva assai prudente Governo e non era la più adatta a raggiungere quella lontana spiaggia colla celerità richiesta dalla urgenza del soccorso, invocato e ansiosamente atteso dalle legazioni dei varî stati di Europa che in Pechino si trovavano assediate e minacciosamente premute dai ribelli resi più audaci dalla sommossa trionfante. Non avendo libertà di scelta non restava che di cercare di supplire ai difetti della nave non concedendosi nessun riposo, non toccando che il minor numero possibile di porti e in questi trattenendosi solo le poche ore rigorosamente indispensabili ai più urgenti rifornimenti. Ma giunti al ridosso di Socotra nell'Oceano indiano la nave dovette arrestarsi per riversare in mare una enorme quantità d'acqua penetrata, in seguito a forte maltempo, dalle tramoggie non bene stagne, che minacciava di sommergerla.
In quel terribile frangente la calma energia del comando e l'infiammata volontà dei marinai, devoti sino al sacrifizio al loro animoso condottiere, scongiurarono il grave pericolo, e il Fieramosca, dopo tre giorni di penosa sosta, poté riprendere la rotta, riguadagnare il perduto, e arrivare a gettare le ancore nella procellosa rada di Taku il 13 agosto 1900 di dove, ventiquattro ore dopo, due terzi di quei bravi che costituivano l'equipaggio del Fieramosca erano già in marcia su la via di Pechino giungendo in tempo, malgrado il penoso tragitto, a raggiungere i compagni, ed a partecipare con loro all'ingresso delle milizie internazionali nella città proibita, ed a liberarvi le legazioni che, a più riprese attaccate, avevano strenuamente e con sorprendente valore resistito all'assedio.
Non deve essere dimenticato in questo momento che tra quegli intrepidi diplomatici, costretti d'un tratto a trasformarsi in soldati combattenti, sopra tutti si distinse meritandosi le insegne dei valorosi, il giovane principe romano Don Livio Caetani, figlio del compianto illustre nostro collega duca di Sermoneta, venuto poi con ammirabile slancio a trovare la morte, per fiero morbo contratto in trincea, in uno dei nostri ospedali da campo nell'ultima lotta contro il secolare nemico d'Italia senza avere potuto godere della suprema gioia di vederlo completamente debellato.
La nostra squadra concorse efficacemente con quelle delle maggiori Potenze europee a rivendicare nel Celeste Impero i diritti della civiltà e ad assicurare il rispetto della nostra bandiera, conquistandosi, non solo la stima, ma l'ammirazione di tutte le altre, come ne fa splendida attestazione l'entusiastico elogio del maresciallo Waldersee. Tra i suoi titoli speciali di merito fu da tutti concordemente notato che la nostra squadra fu la sola di tutto il corpo di spedizione che, per la singolare abilità dei capi e degli equipaggi, riuscì a sbarcare tutti i viveri e tutto il materiale bellico ed i numerosi contingenti senza perdere un uomo. Risultato veramente meraviglioso, quando si pensi alla povertà dei mezzi che possedevano i nostri in confronto degli altri, e alle enormi difficoltà di uno sbarco in quei giorni nella rada di Taku, che il Salvago Raggi, allora capo della nostra legazione, a ragione qualificò per infame, a dodici miglia dalla costa, e con un mare sempre furioso, e con un vento sempre di terra che sembrava alleato dei ribelli per contenderci l'approdo. Felice presagio delle maggiori e incomparabili glorie di cui doveva coprirsi la gloriosa nostra marina nell'ultima e più terribile guerra testé combattuta per la completa redenzione della patria.
L'eco delle ammirate gesta compiute dai nostri intrepidi e valorosi marinai al di là dell'Oceano, divulgate specialmente dalla stampa inglese, precedette il loro ritorno, sicché la nostra piccola flotta allorché giunse nel porto di Napoli il 31 gennaio 1902, vi fu accolta con trionfali onori.
Il nostro amato Re, sempre pronto ove vi sia un pericolo da affrontare, un'opera buona da compiere, o un omaggio da rendere ai benemeriti della patria, fu il primo a salire a bordo della nave ammiraglia e delle altre del seguito per recare ai gloriosi reduci il saluto d'Italia e l'espressione della sua riconoscenza per avere tenuto così alto l'onore della nostra bandiera in una impresa alla quale avevano partecipato le più gloriose armate di Europa.
il Candiani in segno della sovrana soddisfazione ebbe dal Re stesso l'annuncio della sua nomina a senatore, decretata mentre egli stava navigando per l'Italia.
Se per altro nei primi anni egli esercitò le nuove funzioni con grande assiduità, prendendo anche parte importante alle discussioni della Commissione di finanze della quale fu bentosto nominato membro, e lasciando notevole documento della singolare sua competenza in una relazione sul bilancio della marina, che potrà sempre essere consultata con vantaggio, più tardi attratto dal desiderio di applicarsi al miglioramento della sua piccola proprietà, rimasta per tanti anni in abbandono, e di trovarvi la quiete serena di cui non aveva mai potuto godere, novello Cincinnato, si ritirò nella nativa Olivola, ove poi la morte lo ha sorpreso. Raro esempio di modestia e di semplicità di costumi! Egli che aveva solcato i più lontani mari, raccogliendo nei due emisferi soddisfazioni a pochi concesse, dopo avere vissuta la maggiore e migliore parte della sua vita nei vasti orizzonti degli oceani e provate le grandi emozioni delle più difficili navigazioni, rinserratosi negli angusti confini dell'umile sua terra, nella quieta solitudine dei campi, cui consacrò tutte le ultime sue cure od energie, parve non di altro sollecito che di essere dimenticato.
Ma non lo dimenticherà la patria che il suo nome registrò fra quelli de' figli suoi più benemeriti; non lo dimenticherà il Senato di cui fu decoro; non lo dimenticherà la marina italiana del cui prestigio fu geloso e glorioso custode. Alla sua memoria vada dunque il reverente omaggio del Senato, segno della perenne sua riconoscenza. (Benissimo). [...]
PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare l’onorevole senatore Canevaro.
CANEVARO. Onorevoli senatori. Poche parole mi sia consentito aggiungere ai discorsi già pronunciati in quest’Aula in commemorazione del defunto collega ammiraglio Candiani, affinché il mio estremo saluto oggi non manchi alla memoria di lui.
Suo compagno fino dall’inizio della carriera alla Scuola navale di Genova, avrei creduto mancare ad un sacro e caro dovere se la mia voce non avessi unito a quelle che testé ricordarono l’estinto: e mi auguro, per la dimestichezza avuta nei lunghi anni della comune carriera, di poter tratteggiare in modo appropriato la fisionomia dell’uomo e dell’ammiraglio ora scomparso.
E dando uno sguardo sommario alla sua vita militare, principierò col dire che per suo merito sopratutto e per essere stato sempre assistito da benigna sorte, non gli mancarono in una carriera fortunatamente percorsa le migliori soddisfazioni.
La sorte però si riservava di tradirlo in ultimo, procurandogli l’immenso dolore di dover troncare innanzi tempo il servizio attivo per aver raggiunto i limiti di età nel grado di contrammiraglio, in un epoca di ristagno negli avanzamenti nei gradi elevati della marina militare.
La prospettiva di vedersi condannato all’inazione per un uomo nel pieno possesso di una non comune energia e che doveva essere preoccupato dal pensiero di essere ben lungi dall’averla totalmente esaurita: l’amarezza di dover affrettare il rimpatrio dallo Estremo Oriente e lasciare il comando di quella divisione navale che con tanto lustro della marina nostra aveva brillantemente tenuto nella flotta internazionale, che si era nel 1900 riunita nei mari della China per la repressione della rivolta dei boxers: e l’intimo dolore per dover rinunziare alla soddisfazione, prima di chiudere la carriera di poter alzare sulla sua nave quella insegna con due stelle, che costituisce l’aspirazione ed il sogno di tutta la vita per chi ha abbracciato il duro mestiere del navigare, sono un complesso di motivi bastevole in un uomo della tempra dell’ammiraglio Candiani da aver procurato un’esasperazione nell’animo di lui e quasi un sentimento di rivolta contro l’ingiustizia della sorte, che solo il tempo logorando con gli anni la forte fibra ha dovuto lentamente smorzare.
Questa triste pagina della vita del compianto ammiraglio la cui indelebile impronta ha amareggiato i suoi vecchi anni io non potevo passare sotto silenzio: ma i ricordi che mi si risvegliano da questa rievocazione mi consigliano a non proseguire più oltre su questo argomento per misura di convenienza e di opportunità.
La tomba ha i suoi secreti che debbono essere religiosamente rispettati, e non è lecito sollevare indiscretamente il velo che ricopre gli intimi sentimenti che i morti non hanno in vita loro creduto bene manifestare.
Solo aggiungerò che il nostro attuale Sovrano, il quale molto apprezzava il non comune valore dell’ammiraglio Candiani, non appena questi al suo ritorno in Italia ebbe lasciato il servizio attivo, volle di suo moto spontaneo nominarlo senatore del Regno, ritenendo che l’opera sua in questa alta Assemblea legislativa poteva essere profittevole nell’interesse della Marina e del paese.
Per diversi anni il senatore Candiani non mancò di dedicare l’opera sua assidua ed intelligente ai lavori del Senato nelle questioni di sua competenza: in seguito sempre più raramente appariva a Palazzo Madama, consacrando la sua attività nelle occupazioni campestri per curare personalmente i suoi possedimenti nel Monferrato e in ultimo già da diversi anni più non è comparso in Roma, la malferma salute consigliandolo a non allontanarsi dalla natia Casale. E l’ultima volta che lo vedemmo in quest’Aula, non ricordo esattamente l’epoca, ma anteriormente alla campagna di Libia, egli era appositamente venuto in Roma per richiamare, in occasione della discussione del bilancio della marina, l’attenzione del Senato e del Governo sulla pericolosa nostra situazione in Adriatico, qualora dovesse nascere un conflitto con l’alleato del momento, ma non improbabile avversario del domani, e sulla conseguente necessità di non dilazionare quei provvedimenti difensivi per la sicurezza della flotta in previsione di tale eventualità. Le occupazioni della vita campestre non assorbivano completamente il pensiero del vecchio marinaio, e lo sguardo vigile di lui non era distolto dalla costiera così esposta alle insidie di chi possiede l’altra sponda di quel mare, che, come scrisse un nostro illustre collega ora estinto, l’Italia deve dominare onde non esserne pericolosamente dominata. Ed egli molto si crucciava nel rilevare l’indifferenza con cui era considerata una questione che reputava, non a torto, di vitale interesse per la difesa nazionale e che necessitava una urgente soluzione. E avrebbe voluto che ad affrettarla fosse, se necessario per motivi economici, assegnata parte della somma iscritta in bilancio per le nuove costruzioni, per dare pronto inizio ai lavori occorrenti a Brindisi, per poter servire come base navale della flotta.
Brevi parole egli pronunciò in appoggio dei suoi concetti secondo le sue consuetudini, e quali la serietà di tale argomento strettamente richiedeva e conchiuse rammaricando di non potere, come in casi consimili si pratica nel Parlamento inglese, proporre la diminuzione di una lira sterlina dal bilancio, quale riprovazione per l’inerzia dell’Amministrazione marittima nel provvedere alla difesa dello Stato, e dichiarando che non avrebbe votato favorevolmente onde non avere responsabilità sulla deficiente preparazione navale alla guerra nel caso di apertura delle ostilità sul nostro fronte orientale.
Questo suo supremo appello previdente e ispirato al più illuminato patriottismo davanti all’Alto consesso cui apparteneva è stato, può ben dirsi, il suo testamento navale e il suo saluto di congedo ai colleghi del Senato, presago di separarsi da essi per sempre.
Caratteristica di ogni atto della vita dell’ammiraglio Candiani fu in ogni circostanza il rapido succedersi del pensiero all’azione effetto, quindi di spontanea decisione senza titubanza né soverchia meditazione. E tal caratteristica nell’esercizio delle sue funzioni militari si traduceva in una felice dote d’iniziativa che non escludeva però la più chiara e serena visione delle responsabilità che ne conseguirono. Ed egli sapeva assumere le maggiori responsabilità, sempre conscio però dei doveri che esse impongono e non sarebbe stato soddisfatto di essere coperto dalla responsabilità altrui senza avere prima adempiuto agli obblighi che reputava dovuti alla propria.
Il 16 ottobre dell’anno 1890 la squadra del Mediterraneo, comandata dal viceammiraglio Lovera di Maria, passato il Canale di Piombino navigava di notte con tempo forzato, un vero fortunale, per raggiungere il golfo della Spezia, quando il capitano di vascello Candiani comandante il Duilio si accorgeva che il suo prodiero la corazzata, Ruggero di Lauria, inclinava fortemente su un fianco, governava male e faticava nel suo avanzare sotto le forti ondate che si frangevano sullo scafo emergente. Un avaria verificatasi ad un kingston aveva occasionato un allagamento in uno dei locali delle macchine, e a mala pena le pompe di esaurimento bastavano a vincere l’irrompere delle acque durante il lavoro di riparazione. Senza attendere e senza richiedere ordini che l’oscurità della notte e l’imperversare del tempo avrebbero ostacolato le necessarie segnalazioni, il comandante del Duilio si portò con la sua nave a fiancheggiare l’unità avariata onde farle ridosso alla furia dei marosi e servirle di scorta fino al porto, pronto a prestare l’occorrente soccorso qualora le circostanze lo avessero richiesto.
In quella medesima notte fortunosa la forza navale aveva pure segnato una dolorosa catastrofe. La torpediniera 105 S facente parte di una squadriglia che navigava di conserva con le navi maggiori, si era inabissata con tutto il suo equipaggio nei pressi della costiera di Livorno per avarie riportate a causa della violenza del mare.
Il comando della squadra non aveva potuto accertare tale disgraziata perdita che dopo aver raggiunto il golfo della Spezia, ed anche il Ruggero di Lauria poté senza inconvenienti prendere insieme alle altre navi il suo ancoraggio. Quella nave era per fortuna in buone mani e il suo ottimo comandante capitano di vascello Filippo Colbianchi, senza perdersi di animo in quelle critiche circostanze, seppe infondere nel suo equipaggio, con la sua energia e il suo esempio, la necessaria fermezza e gagliardia per scongiurare il pericolo, e la pronta e valida assistenza del comandante del Duilio che con tanta opportunità e alto senso di cameratismo era venuto in suo aiuto, servì a facilitargli il suo grave compito e sollevarlo da altre preoccupazioni.
Ed ora dopo quanto finisco di dire, parmi non esservi necessità di ulteriori citazioni per far rilevare con quali illuminati e sani criteri l’ammiraglio Candiani considerava gli obblighi inerenti agli incarichi che gli venivano affidati e per far emergere la sua spiccata personalità e la sua attitudine al comando.
Egli, fino dai primordi della sua carriera, dimostrò di non essere un qualsiasi materiale esecutore di ordini, non per malsano spirito di insofferenza disciplinare, sentimento non consono al suo temperamento calmo e sereno, ma per spontaneo intuito e prontezza di percezione e di apprezzamento. E, mentre i suoi capi ebbero in ogni tempo per lui speciale considerazione e in seguito gli manifestarono la più lusinghiera fiducia, i suoi colleghi, senza quasi rendersene conto, risentivano l’ascendente morale della sua persona e i suoi dipendenti con devozione incondizionata amavano servire sotto i suoi ordini.
La sua scomparsa, benché da lunghi anni vivesse ritirato lontano dalle agitazioni della vita pubblica ed estraneo al dibattito delle questioni navali, che pur tanto lo avevano interessato, e sempre lo interessavano, avrà certamente una eco triste negli ambienti della marina militare che lo tenne caro e lo annoverava fra i suoi migliori.
Mente eletta, fibra energica e vigorosa, largamente dotato dalla natura delle migliori qualità intellettuali militari e professionali, egli non incontrò difficoltà per distinguersi senza artificio ed elevarsi dal livello comune.
Possano queste mie parole di rimpianto quale estremo tributo di amicizia e di ammirazione per il compagno e per l’ammiraglio, contribuire a far conoscere e meritamente apprezzare in questo Alto consesso il collega che ora è sceso nella tomba.
Ed ora propongo che siano mandate alla vedova dell’ammiraglio Candiani ed alla sua città natale le condoglianze del Senato del Regno. (Approvazioni).
DEL BONO, ministro della marina. Domando di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
DEL BONO, ministro della marina. In nome del Governo mi associo alle nobilissime parole pronunciate dal nostro illustre Presidente e dagli onorevoli colleghi che mi hanno preceduto in memoria dell’ammiraglio senatore Candiani ed è con animo commosso che io porgo loro il deferente ringraziamento della marina.
L’ammiraglio senatore Candiani nato nel 1841 entrò a soli nove anni nella Regia scuola di marina.
Intelletto alacre e versatile, spirito aperto alle più sane iniziative da cui derivar potessero alla patria lustro e decoro, egli dette al servizio della marina, con devozione affettuosa, tutta la multiforme attività del suo ingegno robusto.
Carattere saldo e leale ebbe a farsi notare fin dai primordi della carriera per l’ascendente che esercitava sui dipendenti, e, nel campo della tecnica, per la genialità e l’amore con cui applicatasi alle navali discipline.
Le forti doti di carattere e di mente lo fecero prescegliere prima in qualità di ufficiale di ordinanza, poi quale aiutante di campo di S.A.R. il principe Tomaso, duca di Genova.
Fu con questi incarichi ambiti ch’egli ebbe modo di sviluppare maggiormente le sue spiccate qualità di ingegno, traendo largo ed acuto insegnamento dai frequenti viaggi d’istruzione fatti col principe.
Assurto successivamente ai più importanti e difficili comandi navali in Italia e all’estero, confermò la bella fama di ufficiale energico e colto, già da tempo goduta.
Un fine intuito diplomatico con misto alle elette doti di marinaro ed al rigido carattere lo portarono nel 1898 al comando della divisione navale oceanica, alla quale erano assegnati còmpiti militari e politici di natura delicata e difficile.
Risolta energicamente una vecchia intricata questione con lo Stato di Colombia nella quale affermò il sacro diritto che la madre patria si riserva nel salvaguardare la dignità e gli interessi dei propri figli all’estero, proseguì per l’Estremo Oriente dove nelle insurrezioni cinesi mantenne alto e rispettato il nome d’Italia fra le altre nazioni concorrenti alla impresa.
In così importante ciclo della sua attività, svolto con la più ampia manifestazione delle sue virtù migliori, s’ebbe il sovrano riconoscimento con la concessioni fattagli di motu proprio della croce di ufficiale dell’ordine militare di Savoia con la motivazione seguente:. “Dette prova delle più brillanti qualità militari nelle difficili condizioni create dalla situazione che condusse allo stato di guerra in Cina ed alle operazioni svoltesi in quelle regioni, dimostrandosi a seconda delle circostanze previdente, risoluto, energico, coraggioso”.
Uscito dai quadri attivi dell’Armata fu assunto dopo breve volger di tempo all’alto seggio senatoriale ed anche nell’illustre alto consesso ebbe a dimostrare la sua cultura il suo pratico senno quale membro della Commissione di finanze.
Avvinto per passione alla marina, portò nei problemi più gravi che riguardavano la sua organizzazione ed il suo sviluppo, la sua rara competenza, e fu prodigo di illuminato consiglio ogni volta ne fosse richiesto.
Accompagnò con amore di ardente patriota e di insigne marinaro lo svolgersi dell’opera dell’Armata d’Italia nella guerra ultima e ne apprese con commozione i lutti e le fortune.
La figura dell’ammiraglio Candiani rimarrà fra le più elette che vanti la storia della nostra marina. (Approvazioni).
PRESIDENTE. Mi farò un dovere di trasmettere alle famiglie dei compianti nostri colleghi e alle loro città natali l’espressione della condoglianza del Senato, in conformità ai voti che furono manifestati.
Senato del Regno. Atti parlamentari. Discussioni, 1° marzo 1919.
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Note: | Secondo altra fonte risulta deceduto a Frassinello Olivola.
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