Convegno "Migrazioni e Sicurezza. Un equilibrio difficile"
03 Marzo 2016
Autorità, Gentili ospiti, Signore e Signori,
Per prima cosa vorrei esprimere la forte preoccupazione con cui seguiamo in queste ore le notizie di stampa relative al possibile coinvolgimento di cittadini italiani in eventi drammatici in Libia. In attesa di conoscere altri elementi ci stringiamo con affetto alle famiglie e a tutte le persone che vivono momenti di ansia e sofferenza.
Ho accolto con piacere la proposta del collega Paolo Romani, Presidente della Delegazione italiana presso l'Assemblea parlamentare dell'Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa, di ospitare a Palazzo Giustiniani questo importante incontro nell'ambito dei Security Days dell'OSCE. Saluto il Segretario Generale dell'OSCE, Lamberto Zannier e il neo Segretario Generale dell'Assemblea parlamentare Roberto Montella, complimentandomi per la sua elezione e augurandogli buon lavoro.
Il tema di questo pomeriggio, quello dei nessi fra flussi di rifugiati, migrazioni e sicurezza è da mesi al centro del dibattito politico in Italia e in Europa ed è stato oggetto dei recentissimi dibattiti della Sessione invernale dell'Assemblea parlamentare dell'OSCE, nella quale la delegazione italiana è particolarmente attiva. L'Organizzazione è in prima linea su questi fenomeni soprattutto dopo le decisioni del Consiglio ministeriale di Lubiana del 2005 e di Atene del 2009 che sottolineano come l'efficacia delle politiche migratorie siano condizione per la stabilità e lo sviluppo economico nell'area OSCE. In questa direzione va anche il rapporto straordinario sulla crisi dei flussi migratori presentato pochi giorni fa a Vienna dall'onorevole Isabel Santos.
La questione delle migrazioni, particolarmente di quelle di profughi in fuga da conflitti e persecuzioni è molto complessa e può essere compresa e affrontata solo considerando congiuntamente una serie di aspetti interrelati: geopolitici, sociali, economici, etici, giuridici, politici. Vorrei quindi proporre alcune brevi osservazioni su tre di questi profili.
La prima considerazione è che le migrazioni sono un fenomeno epocale, che è sbagliato e controproducente affrontare con interventi di breve termine, come se si trattasse di un'emergenza destinata a cessare in tempi certi e rapidi. Le migrazioni economiche sono il risultato di un processo naturale connaturato all'umanità: le persone da sempre si spostano verso le aree più agiate ed ospitali del Pianeta, alla ricerca di una vita migliore. Un fenomeno che noi dobbiamo regolare ma che non possiamo impedire e che deve essere valutato al tempo stesso con umanità e con pragmatismo, anche sulla consapevolezza che il nostro continente sta invecchiando rapidamente e può trarre grande vantaggio da un'emigrazione virtuosa e ben regolata. Già adesso le comunità immigrate contribuiscono sostanzialmente al benessere delle nostre società. I flussi di rifugiati sono invece determinati dalle gravissime crisi che incendiano il Medio Oriente, che purtroppo non siamo in grado di risolvere rapidamente. Si tratta di persone che vorrebbero vivere nei propri paesi ma che sono spinte via da persecuzioni e violenze. In questi conflitti si intersecano delicatissime questioni di equilibri geopolitici, conflitti etnici e confessionali, pesanti eredità del passato coloniale, fallimenti politici ed istituzionali, dinamiche criminali ed errori della comunità internazionale. Per ridurre i flussi occorre garantire alle persone che fuggono condizioni di vita sicure e dignitose nei propri paesi. A questo fine servirà una strategia geopolitica complessa, con il concorso delle potenze regionali e internazionali, cercando di contemperarne le agende e gli interessi, spesso confliggenti. I conflitti in Iraq, Siria e Libia, solo per segnalarne alcuni richiedono accordi politici per riprendere il controllo dei territori, contrastare anche militarmente il potere terrorista, difendere la vita e i diritti delle persone e soprattutto predisporre accortamente assetti politici ed istituzionali idonei a garantire in modo stabile a tutte le componenti etniche, religiose e confessionali il giusto spazio.
La grande debolezza dell'Unione Europea è stata l'assenza di strategia. Negli scorsi anni ha sottovalutato le trasformazioni in atto alla frontiera meridionale dell'Unione e ha omesso di agire in modo unitario per influire positivamente sul corso degli eventi, come avrebbe ben potuto fare. Più di recente non ha compreso la necessità di agire con interventi strutturali e di lungo termine sulla questione dei rifugiati. Pochi giorni fa ho incontrato il Presidente della Commissione Juncker e mi pare che la strada che il Parlamento e il governo italiano da tempo indicano a gran voce sia finalmente quella su cui lavora la Commissione: ottemperare agli obblighi morali e giuridici di accogliere tutti i profughi, condividere il controllo delle frontiere, rivedere in profondità sia il sistema di accoglienza sia le regole di Dublino, con solidarietà e con coesione. L'auspicio è che tutti si rendano conto che su questo tema l'Europa rischia di infrangere la propria storia e ipotecare il proprio futuro.
In secondo luogo io ritengo che sia pericolosa e da rigettare con la massima fermezza quella saldatura mentale fra migrazione e terrorismo, fra diversità e radicalismo, quei meccanismi di sospetto e di rancore nei confronti dell'Islam, degli stranieri, dei profughi che i cittadini smarriti comprensibilmente provano
e che alcune forze politiche irresponsabilmente alimentano. Non è un caso che in Europa stiano crescendo i "crimini di odio", le intolleranze e le violenze motivate da odio religioso, etnico e culturale. Come sappiamo la genesi degli attentati a Parigi è largamente interna all'Europa, dunque è una mistificazione ridurre la questione della sicurezza degli Stati e della lotta al terrorismo al controllo dei flussi di rifugiati e migranti. Certo, il controllo delle frontiere sarà essenziale ma insieme agli interventi di intelligence e di sicurezza, alle azioni diplomatiche e garantendo i diritti di tutti: cittadini, migranti e rifugiati.
L'ultimo profilo che vorrei sollevare attiene al modo con cui nel nostro Paese dobbiamo affrontare il fenomeno migratorio e le sue conseguenze sociali. Io credo che se sapremo adottare politiche lungimiranti di attribuzione di diritti e cittadinanza a chi partecipa con lealtà e con il proprio impegno alla nostra democrazia potremo evitare i fenomeni di emarginazione e marginalizzazione delle comunità immigrate nelle quali si annidano le radici dei fatti drammatici di Parigi, ma prima ancora di Londra e di Madrid. L'Italia ha in questo la speciale responsabilità di essere da sempre un ponte, fisico e ideale fra due mondi che si guardano attraverso il Mediterraneo e che da millenni dialogano e si contaminano positivamente a vicenda. Sono profondamente convinto che su questa base noi, che abbiamo l'altissima responsabilità di rappresentare i cittadini nelle assemblee elettive, sapremo affrontare il dovere di proteggere la vita e la serenità dei cittadini, ma difendendo sempre i valori di civiltà nei quali consiste la nostra identità più profonda, quello che noi siamo. Grazie.
Link al discorso: http://www.senato.it/discorso_presidente?atto_presidente=398