Cerimonia per lo scambio di auguri con i giornalisti dell'Associazione Stampa Parlamentare, in occasione delle festività di fine anno
17 Dicembre 2013
Cari giornalisti, cari colleghi,
desidero porgere il mio personale benvenuto a tutti i componenti dell'Associazione Stampa Parlamentare e ad Alessandra Sardoni, le cui domande mi danno modo di toccare i temi più "caldi" delle ultime settimane di vita parlamentare.
Sono davvero felice di partecipare a questo appuntamento invernale di incontro e di saluto con la stampa, una tradizione che ogni anno si rinnova e che testimonia quel rapporto di stimolo, controllo e collaborazione che lega il mondo dell'informazione al mondo delle istituzioni.
Al nostro precedente incontro, in luglio, abbiamo già avuto modo di affrontare il tema della riforma della legge elettorale. D'altronde sono anni che se ne parla. Possiamo però dire che, dopo il preannunciato accoglimento di motivi di censura sulla legge vigente da parte della Corte Costituzionale, la riforma non è più rinviabile.
Sul ruolo della Corte ci sono due considerazioni da fare. La prima è che ancora una volta è toccato ad un organo giurisdizionale, al Giudice delle Leggi, dare un energico impulso al legislatore, dopo anni in cui all'unanimità, anche nell'ultima campagna elettorale, tutte le forze politiche si sono mostrate d'accordo sulla necessità del cambiamento senza però riuscire mai a trovare un'intesa. La seconda è che la pronuncia non ha l'effetto di rendere a cascata illegittimo tutto il nostro ordinamento, che sopravvive per il principio di continuità delle istituzioni. Spetta ora alla politica riprendersi e difendere il suo primato, decidendo nel merito senza ulteriori indugi.
La pronuncia di incostituzionalità, che rende inapplicabile una norma, potrebbe in ipotesi lasciare in vita la legge nelle restanti parti, ma i punti di incostituzionalità preannunciati, incidendo su elementi essenziali, sembrerebbero precludere qualsiasi sopravvivenza, anche parziale, sia del Porcellum sia del Mattarellum, che, tanto per fare un esempio, non prevedendo il voto all'estero e non tenendo conto dell'ultimo censimento, obbligherebbe a ridisegnare le circoscrizioni elettorali.
Bisogna sgombrare il campo dalle biforcute argomentazioni secondo le quali chi vuole la legge elettorale subito vuole andare alle elezioni e che non si può riformare la legge elettorale se prima non si raggiunge l'intesa sulle riforme istituzionali. La mia opinione è sempre stata, e la ritengo ancora più valida dopo l'intervento della Corte, che intanto ci si deve dotare di una legge elettorale, in linea con la Costituzione vigente, salvo poi modificarla in relazione alle riforme costituzionali. Certo, sarebbe auspicabile che un accordo politico comprendesse tutto il pacchetto delle riforme, partendo naturalmente dalla maggioranza di governo per poi coinvolgere il maggior numero di forze parlamentari possibile.
Su questo tema, la settimana scorsa, si sono presentate novità importanti che mi hanno spinto a trovare con la presidente Boldrini l'intesa che ha sancito il passaggio della discussione su questo tema alla Camera dei Deputati, e al contempo l'esigenza che il Senato si occupi, in via prioritaria, delle riforme istituzionali. In nessun modo questo ha comportato una deminutio del Senato, è stata la risposta ad una richiesta della maggioranza numerica di deputati e senatori di riavviare un confronto difficile e serio tra i diversi partiti nell'altro ramo del Parlamento. Credo, d'altro canto, che sia opportuno far partire dal Senato il dibattito sul superamento del bicameralismo perfetto e la revisione delle proprie competenze.
D'altronde, lo scenario politico, rispetto a luglio, è molto cambiato: la riforma costituzionale come era stata immaginata, ovvero a larga maggioranza, non è più possibile. Ogni progetto riformatore sarà probabilmente sottoposto a referendum confermativo. Il nodo delle riforme deve quindi essere affrontato su nuove basi, che garantiscano maggiore speditezza nelle decisioni e coordinamento costante tra i diversi temi, anche perché l'iter di una legge ordinaria, quale quella della riforma elettorale, ha tempi molto diversi rispetto a quella di una riforma costituzionale ai sensi dell'art. 138 della Costituzione.
Ho voluto portare avanti l'idea di una piena collaborazione tra Camera e Senato al fine di razionalizzare gli strumenti che permettano il cambiamento e il miglior funzionamento del sistema. Per consentire di far viaggiare "parallelamente" i due percorsi c'è però bisogno di un raccordo tra le due Commissioni Affari Costituzionali e di una intensa condivisione all'interno dei gruppi rappresentati nei due rami del Parlamento. Solo in questo modo si potranno avere posizioni coincidenti, al punto da poter sperare che, una volta trovato l'accordo in una delle due camere, nell'altra si possa procedere con una sorta di ratifica, e questo dovrà valere sia per la legge elettorale che per le riforme istituzionali. Del resto i due processi sono speculari: occorrerà alla fine che il sistema elettorale sia adeguato all'assetto istituzionale complessivo.
A nessuno sfugge che sia arrivato il momento di superare il nostro sistema di bicameralismo perfetto, andando alla ricerca di un nuovo e più appropriato equilibrio tra i due rami del Parlamento, al fine di aumentare la qualità del nostro sistema democratico e rafforzare la legittimità degli organi costituzionali.
Oltre a una riduzione di almeno un terzo del numero complessivo dei parlamentari, ritengo che si debbano redistribuire le funzioni tra le due Camere in modo da razionalizzare e accelerare al massimo le funzioni legislative.
Credo che si possa valorizzare in via esclusiva il rapporto tra la Camera dei Deputati e il Governo in materia, ad esempio, di fiducia ed inoltre garantire corsie preferenziali alle leggi che costituiscono attuazione del programma di governo, in modo da limitare al minimo indispensabile la decretazione d'urgenza.
Al contempo, si può immaginare un ruolo specifico del Senato nel rapporto con le autonomie territoriali; nell'esercizio della vigilanza economico-finanziaria; nell'utilizzo di strumenti di controllo e ispettivi, tra cui le commissioni d'inchiesta; nei rapporti con l'Unione europea; nell'approfondimento e nel confronto su temi centrali e controversi, soprattutto in materia di diritti, dando accoglienza ai saperi del mondo culturale, scientifico e sociale in funzione delle successive deliberazioni del Parlamento.
E' vero, dottoressa Sardoni, che le ultime settimane hanno visto un acuirsi delle proteste in tutto il Paese. Sono il segnale di un malessere economico, sociale, di vita che ben conosciamo e che non può essere ignorato. Il Governo ha già mostrato di voler accogliere e ascoltare le istanze di chi sta legittimamente manifestando per la propria sopravvivenza e per il proprio futuro. La richiesta più pressante, naturalmente, riguarda la difesa del diritto al lavoro e all'impresa, e proprio su questo punto si giocherà la partita più importante di questa legislatura.
Altro discorso riguarda chi cerca di cavalcare queste proteste, per tornaconto politico o per strumentalizzazioni di altra natura. E' un gioco pericoloso, che sfrutta il malessere sociale per le proprie finalità, che non rispetta il disagio reale di una parte importante dei nostri concittadini e che rischia di far esplodere una situazione già critica. Trovo pericoloso l'atteggiamento di chiunque cerchi di portare alle estreme conseguenze queste tensioni, e richiamo a condurre la protesta nei limiti rigorosi della legge, che garantisce il diritto di manifestare nel rispetto degli altri diritti.
La demagogia, il populismo, lo "sfascismo" del "Tutti a casa, tutti illegittimi" - Parlamento, Governo, Corte Costituzionale - sono slogan che per loro stessa natura non entrano nel merito degli argomenti che affrontano. Entrare nel merito è però il compito di chi ricopre cariche istituzionali e di chi, come voi, è chiamato a dare, anzi a fare, informazione.
Sul tema del costo della politica il vero nodo, il più difficile da risolvere, riguarda proprio il ruolo e l'atteggiamento dei partiti. La rabbia, la disillusione, il distacco che quasi la metà della popolazione denuncia nei confronti della politica è il risultato di anni di scandali grandi e piccoli, nazionali e locali, tangenti, corruzione diffusa, appalti pilotati, e - è cronaca di questi ultimi mesi - una facilità nei rimborsi dei Consigli regionali che fanno scalpore non per le cifre ma per l'arroganza. "Così muore uno Stato. Il sottrarre ad altri per sé e per la propria fazione è più contrario alla salute dello Stato che la guerra e la carestia", tuonava Cicerone contro Verre.
L'esasperazione dello spreco ha portato all'esasperazione della rabbia, gonfiata anche da campagne mediatiche, ammettiamolo, talvolta strumentali. Ormai, se in questo momento annunciassi di aver deciso la demolizione del Senato, il dibattito si focalizzerebbe scandalizzato sul costo delle ruspe. E' una spirale che non ci deve però distogliere da un dibattito serio.
La politica deve riconoscere di essere all'origine e al centro della crisi, economica e di fiducia, che il Paese sta attraversando, anche per l'oggettiva difficoltà di governare un rigore ormai ineludibile e processi economici ormai globalizzati. Molte però sono le soluzioni possibili per risollevarsi da questa situazione di stallo, dalla revisione della legge elettorale, di cui abbiamo appena accennato, alla modifica di tutte le regole che disciplinano la vita interna dei partiti, la costituzione e il funzionamento dei gruppi parlamentari e il loro finanziamento. Occorre ridurre drasticamente e da subito il costo, diretto e indiretto, della politica sul bilancio dello Stato, adeguandolo a quello degli altri paesi europei. Se occorre dare maggiore trasparenza ai bilanci, ancor prima occorre una seria legge sulle "lobby", una regolamentazione ferrea e trasparente per non consegnare le politiche pubbliche agli interessi dei privati. A questo si deve aggiungere anche un intervento volto a dare piena attuazione all'art. 49 della Costituzione, affinché tutti i partiti assicurino, con un nuovo slancio e con metodo democratico la partecipazione dei cittadini alla loro vita interna, recuperando così il ruolo di rappresentanza diretta fra il cittadino e le istituzioni.
Lasciatemi però chiudere con alcuni segnali di speranza: c'è una parte importante del nostro Paese che crede ancora nella politica, che chiede di partecipare, di prendere parte alle decisioni. Quando i partiti si aprono alla società la società risponde, e le primarie che nelle scorse settimane si sono svolte per l'elezione dei leader di diversi partiti ne sono una prova.
Le sfide che ci aspettano il prossimo anno sono tante, e spero in un colpo di reni delle forze politiche, in uno sforzo comune per dare risposte concrete e lungimiranti su lavoro, crescita, istruzione, ricerca, cultura, ambiente, un nuovo slancio in tema di diritti, la prevenzione della violenza in ogni sua forma.
L'Italia è fatta di tante realtà positive e solidali cui va dato spazio e visibilità, perché una nazione rinasce solo se riesce ad abbandonare la sfiducia e far crescere la speranza. Per questo credo che l'immagine dei ragazzi e dei bambini che domenica hanno suonato insieme nell'Aula del Senato, superando situazioni di disagio e disabilità, possa dare davvero, ad ognuno di noi, l'energia e il coraggio di lavorare, di più e meglio, per il futuro del nostro Paese.
Voi giornalisti dovete sentire, insieme a noi, una parte di responsabilità in questo cammino. Un'informazione corretta e ponderata consente ai cittadini di acquisire il ruolo e la forza di opinione pubblica, mettendoli in condizione di concorrere a determinare, orientare e modificare l'indirizzo politico. L'informazione arricchisce la democrazia. Vi ringrazio per il lavoro che fate.
Concludo con i miei più sinceri e sentiti auguri di Buona Natale e Felice Anno Nuovo a tutti voi e auguri di buon compleanno a Papa Francesco.
Link al discorso: http://www.senato.it/discorso_presidente?atto_presidente=151