Schifani la dice tutta e invita Berlusconi a non giocare con il caos
7 Giugno 2012
Caro direttore,
se la crisi non fosse così aggressiva e lacerante, se la confusione delle idee non fosse così dispersiva e inconcludente, continuerei a stare rigorosamente entro i confini di quella terzietà che la carica istituzionale mi impone. Ma sarebbe come rinchiudersi tra le quattro mura del Palazzo e non sentire le voci, allarmate e dolenti, che arrivano da una Italia sempre più stremata dalle difficoltà economiche e sempre più segnata dalla affannosa ricerca di una soluzione che ancora non sì intravede.
Purtroppo viviamo tempi inesorabili, che non consentono più né comodi silenzi né strumentali arroccamenti. Se ne è reso conto, per primo, il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, che con grande equilibrio e sensibilità costituzionale, si è fatto carico di una responsabilità straordinaria ed ha chiamato Mario Monti alla guida del Paese. Una scelta certamente non facile. Forse addirittura un azzardo, però quello che ha fatto il Capo dello Stato andava fatto. Le istituzioni hanno indubbiamente la loro sacralità, ma non possono mai diventare un'ingessatura o, peggio, un alibi per non affrontare le emergenze che sono davanti ai nostri occhi. La situazione è, per certi versi, drammatica. Il governo tecnico presieduto dal professor Monti ha cercato di fare quel che ha potuto. Ha lavorato con abnegazione e ogni sua decisione è stata improntata alla massima onestà intellettuale.
Ora però bisogna andare oltre ed evitare che i sacrifici fatti dagli italiani vengano inghiottiti dalla recessione e da altre devastanti speculazioni sull'euro. E' venuto il momento di disegnare una strategia che rafforzi la presenza dell'Italia nello scacchiere europeo ed è venuto soprattutto il momento che le forze politiche, tutte le forze politiche, mettano finalmente in campo le proprie idee, in vista delle elezioni del 2013, per dotare l'Italia di un governo forte e autorevole, in grado di affrontare sfide e prove che, ahimé, si preannunciano severe se non addirittura ai limiti della tollerabilità. Mi chiedo: che ne sarà dell'Italia, tra sei mesi e tra un anno? La domanda, mi dispiace dirlo, è persino angosciosa. Lo scenario politico, più che verso la compattezza, tende verso una confusa e rissosa disgregazione.
E i partiti che, piaccia o no, restano pur sempre i pilastri di ogni, democrazia, vivono una fase acuta di smarrimento. Soprattutto i partiti tradizionali, a cominciare dal mio, il Pdl, dove il grado di incertezza è diventato così alto da penalizzare gli slanci più sinceri, le passioni più genuine, le storie più belle, le energie più costruttive, i suoi uomini migliori. Si può restare insensibili di fronte al lento sfilacciamento di un partito che è stato, e resta, l'architrave dell'Italia moderata e liberale? Io non me la sento di girare lo sguardo dall'altro lato. E non me la sento nemmeno di trincerarmi tra le rassicuranti pareti di Palazzo Madama. La condizione in cui versa il Pdl richiede che mi assuma anch'io le mie responsabilità, senza finzioni e senza sudditanze.
Ernesto Galli della Loggia, l'altro giorno sul Corriere della Sera, sosteneva che il Pdl rischia di morire perché i suoi dirigenti, davanti a Silvio Berlusconi, non hanno mai il coraggio di dire ciò che pensano. Lungi da me l'idea di contraddire Galli della Loggia ma posso rassicurarlo sul fatto che la cultura del mugugno non mi appartiene. Con Berlusconi ho un collaudato rapporto personale e politico, da sempre improntato a una reciproca lealtà. Quando mi ha indicato come presidente del Senato abbiamo stretto un patto che mi assegnava la massima autonomia dal partito nella convinzione, ampiamente condivisa, che il prestigio dell'istituzione potesse rappresentare un punto di forza, oltre che di orgoglio, per tutta la nostra parte politica. E così è stato, senza arretramenti e senza invadente.
Credo dunque di potere rivendicare a pieno titolo il diritto di chiedere a Berlusconi e all'intera classe dirigente del Pdl un'operazione verità. Perché senza una riflessione seria, senza un'autocritica profonda sarà difficile per tutti, vecchie e nuove generazioni, restituire al Pdl autorevolezza, fierezza e combattività. Vanno dette tutte le verità, anche spiacevoli, che riguardano il passato.
Va detto, per esempio, che l'ultimo governo, prima che arrivasse Monti, non è stato scalzato da chissà quali forze oscure, ma da una mancanza di coesione che non ha consentito alla maggioranza di varare le riforme tenacemente volute dai nostri partner europei; va detto che la nostra credibilità all'estero precipitava di giorno in giorno perché Berlusconi sosteneva una linea e il ministro Tremonti l'esatto contrario; e va detto anche che la rottura con Gianfranco Fini segnò un punto di debolezza della coalizione e che la campagna condotta dai giornali di area sulla casa di Montecarlo ha finito per trasformare un contrasto politico in una frattura irreversibile.
Ma l'operazione verità deve riguardare soprattutto il nostro presente e il nostro futuro. Il nostro elettorato è visibilmente frastornato. Un giorno il Pdl approva l'Imu e il giorno dopo irrompe sulla scena una parte del Pdl, certamente la più chiassosa, che minaccia di scendere in piazza contro l'Imu. Un giorno il Pdl approva i decreti, anche i più duri, di Monti e il giorno dopo la parte più colorita e populista del Pdl propone addirittura lo sciopero fiscale. Un giorno si ascoltano ín televisione le più convinte dichiarazioni di Berlusconi a sostegno di Monti e il giorno dopo, anche e soprattutto sui giornali che si professano berlusconiani, si leggono titoli improntati al grillismo più avventato. Come meravigliarsi poi se la gente, soprattutto la nostra gente, non va a votare? Il nostro elettorato è salito sull'aventino dell'astensionismo perché non capisce più che cosa vogliamo, perché non vede più nel Pdl né la coerenza né l'affidabilità.
Coerenza e affidabilità che non vedono più nemmeno i nostri potenziali alleati, i cui comportamenti cominciano a spingersi oltre l'indicibile. Si pensi ai veti posti dal leader dell'Udc nei confronti di Berlusconi. Sono inaccettabili, non c'è dubbio, ma esigono una risposta politica. Non possiamo continuare, come nel deserto dei tartari, ad aspettare Casini mentre Casini, stando così le cose, non perde occasione per dirci che non vuole venire. Capisco che, per dare una risposta, occorre sapere che cosa dire. Occorre, insomma, una linea politica che ci dica quantomeno se è strategicamente preferibile contrastare Grillo con un grillismo d'imitazione o se non sia invece il caso di attestarsi su una linea di responsabilità che eviti al Paese di precipitare nel dissesto di bilancio e alla politica di trascinarci in una ingovernabilità simile a quella che si è determinata in Grecia con la frantumazione dei partiti.
Sono convinto, se mi è consentita una sottolineatura, che il grillismo ci porterebbe dritti all'isolamento e che la conseguente incapacità di riaggregare il blocco moderato sarebbe un danno enorme per la politica e, più in generale, per la democrazia di questa amatissima Italia. Da qui la mia richiesta di una urgente e ineludibile operazione verità. La farà Berlusconi? Ci conto. E sono certo che stavolta il nostro Presidente non si rivelerà prigioniero della propria, incommensurabile generosità. Una generosità talmente connaturata alla sua personalità che spesso gli impedisce di emarginare gli amici che sbagliano o di allontanare quelli che remano contro o lo portano fuori strada. Oggi però c'è in gioco non solo il futuro del Pdl ma anche il futuro del Paese. E Berlusconi, ne sono oltremodo sicuro, saprà prendere in tempo utile le decisioni più opportune. Il Pdl, per fortuna, può rivendicare davanti al mondo di avere avviato il rinnovamento ben prima che insorgesse il grillismo. La segreteria di Angelino Alfano ha segnato una svolta e ha dimostrato sul campo di sapere fare politica, di sapere incalzare Monti.
Sono convinto che, se sarà in grado di guadagnarsi l'autonomia necessaria, avrà tutte le carte in regola per rilanciare il Pdl, per riannodare i fili spezzati tra partito e società civile, e per cercare tra i giovani, e soprattutto tra quei giovani che hanno una storia politica legata al territorio, le risorse necessarie per formare una nuova classe dirigente. Non abbiamo altra scelta. Chiedere un'operazione verità penso che sia ormai un dovere di tutti quelli che hanno creduto e ancora credono in questo partito. A partire da Alfano. Per quanto mi riguarda credo semplicemente di avere fatto, con questa lettera, nient'altro che il mio dovere.