Schifani: basta fiducie, ora riscriviamo le regole
11 Giugno 2010
di Pietro Perone
Tempo di tagli, il presidente del Senato, Renato Schifani arriva a Napoli a bordo di un treno dell'alta velocità. Lo attende una giornata densa di impegni, tra incontri istituzionali e con il mondo dell'imprenditoria che culminerà alle 17 all'università Federico Il con un convegno su «Costituzione, Riforme, Mezzogiorno». Alle spalle Schifani si lascia una giornata carica di tensioni culminata con ilvoto di fiducia che dà il via libera alla stretta intercettazioni e l'ammutinamento delle opposizioni.
Lo strappo delle opposizioni e l'espulsione dei senatori Idv si ripercuoterà sul funzionamento dell'aula?
«Penso proprio di no. Si è trattato di una rigorosa applicazione del regolamento grazie al quale ho potuto consentire un andamento regolare dei lavori. La correttezza della mia decisione è stata riconosciuta dallo stesso senatore Li Gotti autorevole esponente dell'Italia dei Valori. Inoltre a quei senatori è stato consentito di partecipare al voto finale. Cosa che hanno potuto fare in tutta tranquillità».
La blindatura della maggioranza ha impedito il dibattito.
«La presidenza del Senato ha tenuto su questo provvedimento, sin dalla sua trasmissione da parte della Camera nel mese di giugno dello scorso anno, una strategia che puntava ad assicurare tempi ampi per la discussione, indispensabili ad un confronto che potesse assicurare un avvicinamento delle proposte di maggioranza e opposizione. Questa strategia, a mio avviso, ha prodotto qualche risultato: con un lavoro assai intenso in commissione, che ho consentito proseguisse anche dopo l'inizio della trattazione in Assemblea, si è giunti a modifiche del testo iniziale, alcune nel solco della filosofia che ispirava le proposte dell'opposizione. Su quanto accadrà poi presso l'altro ramo del Parlamento, non spetta, evidentemente, alla presidenza delSenato pronunciarsi».
Trentaquattro voti di fiducia tra Camera eSenato: non è in gioco il ruolo del Parlamento?
«Quello della fiducia non è un problema solo di questa legislatura. La sua soluzione non si trova in generici appelli ad evitare questa o quella fiducia. Il nodo è nel riscrivere le norme che disciplinano il rapporto governo-Parlamento, sia a livello costituzionale che regolamentare, riconoscendo il ruolo diverso che il governo ha assunto, nel nostro come in altri Parlamenti, ma potenziando altresì la funzione di controllo e di indirizzo delle Assemblee parlamentari, che rimangono - a mio avviso - il cuore della nostra democrazia».
La manovra economica è approdata al Senato: ci sono le condizioni per un sì bipartisan come chiede Napolitano?
«Non posso che far mio l'appello del presidente della Repubblica. So che tutte le forze politiche, sia di maggioranza che di opposizione, sono pienamente consapevoli del momento difficile che attraversa l'economia internazionale, non solo quella italiana. Lavorerò perché il confronto sia il più ampio e costruttivo possibile. Proprio in questo spirito ho proposto ai capigruppo del Senato di assicurare un esame ampio e approfondito in commissione sul decreto-legge presentato dal governo, sospendendo in quel periodo i lavori dell'Assemblea».
Lo stesso Berlusconi apre a modifiche, quali?
«Cosa si potrà rivedere è ovviamente rimandato al dibattito parlamentare che mi auguro ampio e costruttivo. Il governo ha affermato che non possono essere rivisti i saldi complessivi del provvedimento, in quanto la misura della riduzione del deficit è stata concordata in sede Ue. Le misure di contenimento della spesa pubblica varate dall'esecutivo rappresentano peraltro una "risposta" già ampiamente concordata a livello comunitario e condiviso con le altre Cancellerie europee e vuole mettere al riparo il vecchio Continente da una onda speculativa di dimensioni preoccupanti, evitando di generare pericolosi squilibri nelle politiche economiche dell'Unione. La finalità dell'intervento è quindi principalmente una: scongiurare il rischio di un attacco speculativo al Paese simile a quello che si è determinato in Grecia, cercando di mettere al riparo il nostro sistema finanziario, economico e occupazionale».
Al di là degli sprechi da eliminare, giudica indispensabili tutti i tagli previsti in settori decisivi per il futuro del Sud?
«Certamente il sacrificio richiesto è rilevante per gli enti locali. Premessa e condivisa la considerazione che gli sprechi non vanno mai giustificati, va detto che tagliare la spesa non fa mai piacere a nessuno, ma non possiamo che tornare, in proposito, alle motivazioni dell'intervento: la correzione si è imposta al governo per evitare il rischio che nei mercati, come noto assai reattivi negli ultimi tempi, potessero sorgere dubbi anche in merito alla tenuta dei conti pubblici italiani. Detto questo, confido sul fatto che il dibattito parlamentare possa individuare altre limitazioni della spesa pubblica per ridurre il taglio rilevante effettuato nei confronti degli enti locali».
La politica di austerity come quella concordata a livello europeo toglierà quindi altro ossigeno al Mezzogiorno?
«I tagli alla spesa pubblica possono avere un effetto potenzialmente depressivo. Ma non sempre è così. Va infatti tenuto conto che oggi viviamo in una economia aperta e globalizzata. Il fatto che il nostro debito superi il livello di quanto viene prodotto fa sì che gli investitori internazionali che acquistano i titoli del nostro debito pubblico guardino con attenzione ai nostri comportamenti. Occorre pertanto evitare con ogni mezzo di indebolire la fiducia nei mercati internazionali sulla solvibilità dello Stato. Purtroppo, i tagli non sono mai indolori, ma dobbiamo avere fiducia che, quando la crisi potrà dirsi superata, la difesa del bilancio pubblico consentirà al Paese di riprendere un sentiero di crescita e di riduzione della pressione fiscale. Non dimentichiamo che diversamente, se vi fosse un crollo della fiducia dei mercati finanziari,le conseguenze più gravi le subirebbe in misura maggiore proprio la parte più debole del Paese, quella che più dipende dai trasferimenti pubblici: il nostro Sud».
Che attende concrete iniziative per lo sviluppo.
«Ci sono in particolare quattro interventi rilevanti per il Sud. La fiscalità di vantaggio per il Meridione che introduce la possibilità, per alcune regioni del Mezzogiorno (Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia, Sardegna e Sicilia) di modificare in diminuzione le aliquote Irap fino ad azzerarle e di disporre esenzioni, detrazioni e deduzioni, nei riguardi delle nuove iniziative produttive. Poi è previsto il regime fiscale di attrazione europea, che è finalizzato ad attirare in Italia imprese di altri Paesi europei. Infine le zone a burocrazia zero potranno godere di tre tipi di vantaggi: i procedimenti amministrativi adottati da un Commissario di governo, che entrano in vigore entro 30 giorni, salvo opposizione espressa; l'utilizzazione diretta da parte dei sindaci delle risorse previste per le zone franche urbane; la priorità da parte delle Prefetture nella realizzazione ed attuazione dei piani di presidio e sicurezza del territorio».
Addio grandi opere, dalla Salerno-Reggioal ponte sullo Stretto?
«Pur tenendo conto che le difficoltà della finanza pubblica impongono estrema cautela in tutte le decisioni di spesa, mi pare allo stato non siano stati deliberati provvedimenti di blocco generalizzato dei lavori pubblici, comprese le grandi opere. I cantieri della Salerno-Reggio Calabria, ad esempio, proseguono nei lavori come pure tanti altri interventi».
II Comitato promotore della Banca del Mezzogiorno ha scelto l'altro giorno l'advisor, ma il progetto è stato pensato prima dei tagli. E' ancora praticabile?
«A mio avviso è ancora praticabile. Infatti la scelta del fondo speciale di 770 miliardi prescinde da quelle connesse alla attivazione della banca del Sud. La nuova Banca, fondata con capitali privati e una piccola partecipazione pubblica opererà come istituto di credito "di secondo livello". Questo significa che non avrà sportelli propri ma che si appoggerà, per rivolgersi alle imprese del Mezzogiorno e alle famiglie italiane, a una rete di sportelli messa a disposizione da Poste e da altre banche: in primo luogo quelle più vicine al territorio come le banch edi credito cooperativo».
Incontrerà a Napoli rappresentanti delle istituzioni, il mondo imprenditoriale e accademico. La nuova giunta regionale si è insediata da qualche settimana, dovrà fare i conti con il crac della Sanità, antichi sprechi, una macchina burocratica cresciuta come una giungla. Problemi drammaticamente comuni al resto delSud, alla «sua» Sicilia. Colpa della classe dirigente meridionale?
«Da meridionale, ho più volte sostenuto che ci sono certamente colpe, anche gravi, della classe dirigente del Sud. Ma non è più il tempo di limitarsi alle accuse e alle invettive. Occorre cambiare in modo profondo la nostra prospettiva. Il Sud, e la sua classe dirigente, debbono con forza dire no al proseguimento di politiche assistenziali e clientelari, che sono alla radice di tanti dei mali che ci affliggono. I nostri giovani possono porsi all'avanguardia di un processo di sviluppo che faccia del Sud, con coraggio e capacità imprenditoriale, il motore di sviluppo della nostra economia.Ne hanno la capacità. Devono averne la forza».