Presentazione del rapporto su "Responsabilità sociale e fiducia nella relazione tra imprese e territorio nella provincia di Napoli"
11 Giugno 2010
Autorità, Gentili Signore e Signori, sono lieto di portare il saluto del Senato della Repubblica a questo incontro di presentazione del lavoro di ricerca dell'Unione industriali di Napoli. E' un lavoro che arricchisce le conoscenze sui temi del ruolo dell'impresa nella società civile.
Giustamente rivolta al futuro, getta il cuore oltre l'ostacolo; prefigura percorsi strategici non solo per l'industria napoletana, ma per l'intera città di Napoli. La virtù di saper fare impresa, non è d'altronde mai mancata ai napoletani. Chiunque conosca la storia dell'industria italiana sa che qui, prima dell'Unità, esistevano alcune tra le più avanzate realtà manifatturiere d'Europa: dalla fabbrica di Pietrarsa alla fabbrica d'armi di Torre Annunziata, al Cantiere navale di Castellammare, solo per citarne alcuni, numerosi erano gli esempi di eccellenza imprenditoriale, soprattutto metalmeccanica. Il 2009 è stato l'anno in cui la crisi si è maggiormente avvertita. Ne hanno risentito in particolare la produzione industriale e soprattutto gli investimenti. In misura minore ne ha sofferto l'occupazione, grazie all'imponente incremento dei fondi per la cassa integrazione. Questo è il rischio più grande, finora in parte scongiurato. Pur tra luci ed ombre, si intravedono i primi segnali di ripresa: il PIL del primo trimestre è cresciuto dello 0,5 per cento, un dato superiore alla media UE. Il dato che più preoccupa è il tasso di disoccupazione giovanile, ancora elevato; ma abbiamo fiducia che anche questo indicatore possa migliorare con il consolidarsi della ripresa.
Sul fronte della finanza pubblica, l'Italia non è tra i Paesi sul "banco degli imputati" in termini di deficit pubblico: molto peggio di noi si trovano la Grecia, la Gran Bretagna e la penisola iberica. Mai avremmo pensato, fino a pochi anni fa, di ricevere così tanti complimenti per la tenuta dei nostri conti. Si tratta quindi di dati che ci fanno ben sperare, ma guai a ritenere di essere usciti definitivamente dalla crisi. I tracolli di borsa, anche quelli recenti, confermano che la crisi non è stata determinata dall'economia reale ma dalla finanza, o meglio, da un certa finanza che ha pensato, sbagliando, di poter prescindere dagli squilibri macroeconomici internazionali che si stavano accumulando. Dalla finanza privata, costellata dai crack bancari, il contagio rischia di trasferirsi alle finanze pubbliche anche se la situzione finanziaria italiana è diversa da quella di altri Paesi Europei. Infatti più della metà delle obbligazioni di Stato appartiene agli italiani e le nostre famiglie, così come le nostre imprese hanno contratto debiti notevolmente inferiori rispetto a quelli di tutti gli altri Paesi e alla media europea. Ci stiamo quindi confrontando con la sfida dettata dalle esigenze di risanamento della finanza pubblica, ormai imposta come indifferibile dai mercati finanziari globalizzati. E' dunque prioritario oggi più che mai continuare nell'azione di riduzione delle spese superflue e dei privilegi al fine di contenere il costo complessivo dell'amministrazione pubblica.
Il recente decreto legge 78 all'esame del Senato affronta questa grande questione. Non sta ovviamente a me formulare giudizi sul merito della manovra, ma mi limito a constatare come essa abbia ottenuto il plauso di tutti gli osservatori imparziali ed internazionali. Non entro nei dettagli sui contenuti, ma spero fortemente che l'esame del testo avvenga, se non in piena concordia, quantomeno in un clima di civile e costruttivo confronto. Vi sono momenti in cui l'interesse del Paese deve avere il sopravvento sulle pur legittime posizioni di parte. Ciò significa che su alcuni passaggi critici come quelli attuali, dopo l'approvazione di questa manovra, convergenze si debbano e si possano trovare tra maggioranza e opposizione. Rinnovo quindi il mio appello a tutte le forze politiche a confrontarsi sui contenuti della manovra con senso di responsabilità. Non sprechiamo questa importante occasione. In particolare, sulle necessarie riforme strutturali, intese a razionalizzare il ruolo dello Stato e dare maggiore libertà alle famiglie e alle imprese, occorre cercare la massima condivisione possibile. Saranno richiesti sforzi, ma se ciascuno farà la sua parte, sarà possibile dare soluzioni eque e condivise al Paese. Le priorità devono essere i giovani e i soggetti in difficoltà.
E vengo allo specifico del Mezzogiorno, il tema che mi sta più a cuore. Tutti gli economisti sanno che se non cresce il Sud non cresce l'Italia: è un dato di tutta evidenza. La crisi ci deve in primo luogo indurre ad un sano realismo: è molto difficile, quantomeno nell'immediato futuro, una forte riduzione della pressione fiscale, pure urgente, così come l'adozione di massicce politiche infrastrutturali. La prudenza del buon padre di famiglia con la quale dobbiamo affrontare la situazione economica non ce lo consente. Ma quando i conti pubblici lo consentiranno, il Governo dovrà con forza onorare questo suo impegno solenne. In questa prospettiva, è indispensabile che l'attuazione prossima del federalismo fiscale sia ispirata al consolidamento di un modello che coniughi la maggiore autonomia con maggiore responsabilità degli amministratori locali, ferma restando la solidarietà tra le diverse parti del Paese. Diversamente, il rischio sarebbe quello di un ulteriore aggravamento del divario Nord-Sud che nessuno può permettersi. Proprio sul Sud, i temi della vostra ricerca mi inducono invece a sottolineare un altro aspetto: il problema dello sviluppo del Mezzogiorno ha solo in parte un carattere prettamente economico. Le sue criticità rimandano, inevitabilmente, a una dimensione più profonda, che è di carattere storico, sociale e culturale. Si tratta, notoriamente, al Sud, dei più deboli rapporti fiduciari e di cooperazione, del quadro di incentivi e disincentivi che guidano i comportamenti e le strategie individuali, prima ancora che quelli delle Istituzioni: aspetti che nella vostra ricerca sono messi giustamente in evidenza.
La cosa pubblica deve essere di ciascuno di noi. Puntare sull'etica, dunque, sui diritti e sulla qualità del capitale relazionale per sostenere la crescita economica e lo sviluppo sociale dei territori è la scelta più giusta che potevate fare e che avete fatto. Questa, in sintesi, è la sfida lanciata dai principi della responsabilità sociale d'impresa alle dinamiche del mercato globale che sono trattati nella ricerca che oggi esaminiamo. Essa apre nuovi orizzonti di conoscenza. La ricerca che oggi presentate contiene infatti la migliore sintesi di ciò che è bene considerare per lo sviluppo di una comunità, prima ancora di ogni opera infrastrutturale o carenza tecnica. Si legge, in poche efficaci righe, che il sistema delle imprese dovrà rappresentare d'ora innanzi una "forza di rottura" sulla questione della legalità, ma anche una forza di pressione per rafforzare la diffusione di comportamenti efficienti dell'amministrazione pubblica. Condivido pienamente queste valutazioni; credo infatti che la crisi possa rivelarsi anche un'occasione importante per rilanciare il tema della competitività e della coesione delle reti sociali. Perché può offrire alle imprese e ai cittadini anche l'occasione per promuovere un nuovo patto fiduciario per lo sviluppo armonico non solo della città di Napoli. In una realtà come quella napoletana, caratterizzata da un così alto numero di imprese legate a produzioni di qualità e in grado di conciliare tradizione e innovazione, questo progetto può fare leva sul valore aggiunto di un rapporto con il territorio. Le risorse naturali, storiche e, soprattutto, culturali della città di Napoli rappresentano dunque un potenziale di estremo valore per intraprendere un nuovo e durevole sviluppo.
Ricordiamo che il Nord del Paese fa leva proprio su questo fattori per il suo benessere. Le soluzioni strutturali, da voi prospettate, sono certamente efficaci e condivisibili. Abbiate dunque ancora maggiore coraggio nel rivolgervi ai promettenti mercati esteri per cogliere le opportunità che ne derivano. Molte ragioni ci inducono infatti a pensare che anche nei prossimi anni le economie più dinamiche della terra, in primo luogo i paesi del cosiddetto gruppo del BRIC, potranno rivolgere la loro domanda verso le nostre produzioni più di quanto possano farlo le economie in difficoltà del vecchio continente e degli USA. Napoli e la Campania godono in questo senso del vantaggio di una cultura millenaria e della posizione privilegiata nel Mediterraneo: fattori che vanno valorizzati al massimo. In questo non potete però essere lasciati soli, a fronte di un elevato livello della pressione fiscale e di un insoddisfacente livello qualitativo dei servizi pubblici. Rivolgo quindi il mio appello ai poteri pubblici perché vi assistano in questo sforzo in tutti i modi possibili; ogni appoggio è dovuto a chi crea ricchezza per il Paese. E in questo senso giudico positivamente i progetti di liberalizzazione delle imprese per rilanciare il patrimonio produttivo nazionale, così incentivando la nuova occupazione. Come ho avuto modo di dire nel corso di un seminario della vostra associazione tenutosi in Sicilia, credo che voi siate in credito verso il nostro amato Paese.
Ma, nonostante ciò, mi sento di chiedervi di fare ancora qualcosa in più per l'Italia. Vi chiedo di resistere con tutti i mezzi alle organizzazioni criminali che inquinano l'economia libera ed onesta. Lo Stato, soprattutto con l'arma dei sequestri dei patrimoni illeciti, sta contrastando efficacemente l'illegalità mafiosa, ma serve la vostra rinnovata collaborazione. Fatelo con la denuncia, siate esempio di legalità; serve maggiore rispetto delle norme, innanzitutto di quelle riguardanti la sicurezza sui luoghi di lavoro, così come è stato fortemente richiesto dalla vostra Associazione nazionale. Fate poi in modo che le vostre aziende non producano solo ricchezza ma siano luoghi nei quali lavorare, per quanto possibile, in serenità e concordia per promuovere i più elevati principi della libertà individuale sulla quale si fonda il nostro Stato. D'ora innanzi occorre dire basta a politiche per il Sud che non siano finalizzate ad una crescita reale e non assistita. E' questo un dovere assoluto e un impegno che devono assumere le classi dirigenti e i cittadini tutti del Mezzogiorno. La crisi economica e sociale del Mezzogiorno parte da lontano e non può più essere affrontata con misure assistenzialistiche o, peggio, clientelari che creano dipendenza e non vera libertà economica. E' necessario puntare sull'economia reale, quella in grado di incrementare occupazione e sviluppo. Anche a questo fine è utile la vostra ricerca che, sono convinto, contribuirà a segnare una svolta nella costruzione di quella necessaria alleanza tra tutti gli operatori del sistema socio-economico di questa meravigliosa Napoli. Una alleanza in cui ciascuno opererà, pur nelle proprie competenze e responsabilità, ma nella prospettiva di cooperare nell'interesse degli altri attori coinvolti nel futuro della Città. Occorre farlo nella consapevolezza che solo grazie a un "gioco di squadra", si riuscirà a garantire a Napoli quello stabile e duraturo sentiero di sviluppo civile ed economico che essa merita.
In una prospettiva di impegno per il cambiamento, soprattutto i giovani, imprenditori e dipendenti, sono chiamati a parlare e testimoniare la libertà nel Mezzogiorno e il valore pubblico aggiuntivo che qui riveste perciò l'impresa privata. Dobbiamo saper tutelare ed accompagnare quei giovani imprenditori: sono un bene sempre più raro e la migliore assicurazione per il nostro futuro. Li affido a tutti Voi certo di essere ascoltato. Contenere i disavanzi pubblici, sostenere l'economia reale e l'occupazione, tolleranza zero verso l'illegalità: sono questi gli impegni che dobbiamo assumerci come classi dirigenti responsabili del Mezzogiorno e non solo. Lo dobbiamo a quanti guardano a noi per uscire definitivamente, più forti di prima, da questa fase.