Convegno "Gli ammortizzatori oltre la crisi - le prospettive dell'Italia nel contesto internazionale e comparato"
18 Marzo 2010
Autorità, Signore e Signori,
otto anni or sono, il 19 marzo 2002 il Professore Marco Biagi cadeva vittima di un vile attentato terroristico.
In occasione dell'anniversario della Sua scomparsa, vogliamo ricordare un uomo che ha onorato e servito il suo Paese.
Marco Biagi è stato un giuslavorista di grande fama nazionale e internazionale.
Più volte consulente del Governo italiano, professore universitario, in atenei italiani ed esteri, autore di studi sul mondo industriale sia in Europa che nei paesi orientali, attento comparatista pronto a cogliere gli aspetti più rilevanti delle diverse leggi, Marco Biagi aveva consacrato la sua vita a migliorare il sistema esistente, attraverso il confronto fra le varie legislazioni e una rigorosa interdisciplinarietà.
A lui venne dedicata la riforma del lavoro, la legge 30 del 2003 varata dal Governo Berlusconi poco tempo dopo la sua morte.
L'anniversario della scomparsa di questo grande giurista è occasione per tracciare un quadro dell'attuale situazione degli ammortizzatori sociali, soprattutto in rapporto alla prova che questi strumenti hanno fornito durante la crisi economica.
Proprio l'esperienza recente ci consente di fare oggi una riflessione sul sistema di protezione contro la disoccupazione che ha certamente svolto un ruolo importante per garantire un dignitoso livello di reddito alle tante famiglie direttamente colpite dalla crisi.
Si può affermare senza tema di smentita che il sistema di welfare, italiano ed europeo, ha contribuito in maniera determinante a fronteggiare la recessione mitigando e riducendo l'eccessiva estensione dell'area della povertà.
Questo risultato è stato fra l'altro di recente confermato anche dalla Banca d'Italia, che ha indicato in poco più del 13% la percentuale di famiglie sotto la soglia di povertà, dato identico a quello del 2006.
Tutto ciò, oltre ad essere socialmente apprezzabile, ha consentito una diminuzione relativamente moderata dei consumi, determinata anche da motivi prudenziali, con conseguenti benefici per l'intera economia nazionale.
Il nostro particolare tessuto produttivo ha giocato un ruolo importante nella realizzazione di questo risultato, a differenza di quanto riscontrato in altri paesi con economie con più spiccata componente finanziaria o con sistemi bancari più coinvolti nella crisi.
La forza del nostro Paese risiede nella moltitudine di imprese piccole e medie, spesso a conduzione familiare o comunque riconducibili alla guida di famiglie.
Esse rappresentano un presidio sia in termini sociali che di solidarietà, poiché sono in condizione di effettuare rapide azioni di adattamento al mutare del quadro economico.
A ciò si aggiunge la naturale parsimonia delle famiglie italiane, capaci di accumulare ricchezze grazie alla propensione al risparmio: un fattore che si rivela ora strumento di tutela del tenore di vita e fondamento primo della solidità del nostro sistema bancario e che compensa in parte il più elevato livello medio del debito pubblico.
Un ruolo importante ha certamente avuto anche il sistema degli ammortizzatori sociali, gestito dal governo con un saggio utilizzo di deroghe, estensioni e prudenti innovazioni, proprio per adattarlo meglio alle esigenze sociali derivanti dalla nuova struttura del mercato del lavoro.
Penso al premio di occupazione, all'estensione della cassa integrazione in deroga, al passaggio ad un conteggio della cassa integrazione guadagni basato sui giorni anziché sulle settimane, circostanza che ha reso ancora più flessibile l'utilizzo di questo istituto.
Senza entrare in valutazioni di merito politico, va riconosciuto come in tale opera il Governo, contando comunque sulla specificità del nostro sistema produttivo, si sia mosso guardando alla coesione sociale e alla tenuta dei conti pubblici.
Di ciò hanno beneficiato non solo le categorie operaie ma, in misura crescente, anche i cosiddetti "colletti bianchi"; anche questo è un segno dei tempi nuovi.
In Italia la disoccupazione è cresciuta meno che altrove, la finanza pubblica è peggiorata meno che altrove, e ha registrato di fatto un miglioramento relativo rispetto agli altri Paesi, molti dei quali con problemi di deficit di bilancio.
In sostanza, si sono raggiunti buoni risultati pur a fronte di risorse pubbliche limitate.
È un successo al quale ha contribuito il sistema di ammortizzatori sociali, incentrato sulla cassa integrazione guadagni, che ha consentito di contenere l'inevitabile crescita della disoccupazione. Il fine è stato quello di mantenere in vita il rapporto di lavoro, pur sospendendone l'efficacia, e di evitare la dispersione di competenze e professionalità, per garantire una più pronta risposta ai primi segnali di ripresa; in sostanza si tutela il reddito di lavoratori che restano inseriti nell'impresa senza, appunto, ampliare il numero dei disoccupati.
Questo istituto è certamente il presidio più solido del nostro sistema di ammortizzatori sociali, sia per la sua durata, fra l'altro potenzialmente prolungabile con l'accesso alla mobilità qualora l'impresa non sia in grado di riassorbire la manodopera sospesa, sia per gli importi erogati.
Non sono tuttavia mancate nel sistema alcune criticità determinate anche dal succedersi delle norme emanate in occasione di emergenze presentatesi nel corso degli anni e in definitiva dalla mancanza di un progetto complessivo unitario di riforma.
In particolare l'esclusione di migliaia di piccole imprese dalla cassa integrazione e il carattere non automatico della sua concessione hanno limitato la possibilità di utilizzare questo strumento e conseguentemente ne hanno condizionato l'efficacia.
Si è registrato il dato della mancata utilizzazione di cospicue somme, stanziate ed autorizzate; ciò è dovuto in parte alla migliore reazione alla crisi del nostro sistema economico rispetto a tanti altri modelli stranieri, ma anche alla burocrazia che rappresenta a volte un ostacolo non sempre rimovibile.
Infatti, una ragione del parziale uso delle risorse stanziate per la cassa integrazione è da rinvenirsi forse proprio nella concessione non automatica della stessa e nelle conseguenti difficoltà di tipo amministrativo incontrate da quelle piccole imprese poco strutturate che hanno scarsa capacità di mettersi in relazione con le pubbliche amministrazioni.
Sono imprese che operano nei settori più colpiti dalla crisi ma alle quali mancano la capacità e la forza contrattuale delle grandi imprese.
Queste ultime hanno, invece, utilizzato ampiamente gli ammortizzatori sociali.
Proprio per avere assorbito ingenti risorse, le grandi imprese dovrebbero prestare una particolare attenzione agli effetti sociali che derivano da pur legittimi piani industriali adottati, che purtroppo determinano o prospettano spesso la chiusura di poli produttivi, come sta accadendo allo stabilimento Fiat di Termini Imerese.
Non va mai dimenticato il ruolo delle imprese che operano in contesti caratterizzati da particolare fragilità produttiva, con apparati industriali troppo sottili per sostenere una sana economia.
In simili contesti dovrebbe, infatti, essere privilegiato e presidiato, non solo dagli apparati statali ma anche dalle imprese, il tessuto sociale in cui operano le singole strutture.
Solo obbedendo a questo imperativo morale si raggiunge l'obiettivo - rilevante al pari del piano industriale - di mantenere nell'ambito della legalità quegli ampi settori della popolazione che altrimenti, privi di riferimenti produttivi, potrebbero finire per cedere alle lusinghe dell'economia sommersa o, peggio, illegale.
Fasi di arretramento della parte sana dell'economia nazionale rischiano di fare prosperare ed espandere aree di illegalità e di avvantaggiare la criminalità organizzata.
Contemporaneamente spetta allo Stato il compito, altrettanto importante, di garantire alle imprese, soprattutto a quelle che operano in situazioni difficili, la massima efficienza del contesto economico, con adeguate infrastrutture, servizi idonei ed efficaci, buona amministrazione.
Il fenomeno di concentrazione dei sussidi verso le imprese medio-grandi si spiega anche con la presenza di forti sindacati confederali storicamente caratterizzati da una massiccia penetrazione nei grandi gruppi industriali nazionali.
A ciò si aggiunge la peculiarità italiana rappresentata da un tessuto produttivo di piccoli imprenditori, lavoratori autonomi e liberi professionisti che, per sé e i propri dipendenti, ha spesso preferito rinunciare a queste forme di tutela in cambio di minore partecipazione a livello contributivo.
Ma se tale scelta poteva avere una giustificazione quando l'economia era in piena fase di espansione o comunque manifestava tassi di crescita soddisfacenti, oggi palesa alcune lacune.
Forti esigenze di protezione sociale iniziano, per esempio, ad essere avvertite anche dal mondo delle professioni, che chiede con forza la realizzazione di un fondo di solidarietà per categoria.
Tutti questi fattori hanno finito per caratterizzare il sistema di ammortizzatori sociali come segmentato, non uniforme, variamente congegnato rispetto al rischio di disoccupazione o inoccupazione, e più in generale a quello di una insufficienza del reddito.
Questa segmentazione dipende dal settore, dal tipo di contratto di lavoro, dalla dimensione dell'impresa, e rende difficile la programmazione delle risorse da destinare alla tutela del reddito.
Certo, il ruolo svolto dall'indennità di disoccupazione, che ha natura più generale, carattere automatico e requisiti non molto restrittivi per l'accesso, contribuisce a mitigare questo quadro.
Resta tuttavia il peso della previdenza nel nostro sistema di sicurezza sociale; la copertura del rischio di disoccupazione in Italia è pari allo 0,5% del PIL, contro una media UE dell'1,6%.
In presenza di pensioni che drenano circa il 15% del PIL, diventa necessario contenere la quota delle risorse per gli altri interventi, quali le politiche abitative e la famiglia.
A questi problemi enunciati si aggiunge un ulteriore punto di debolezza che riguarda l'assenza di tutele per una non piccola parte di lavoratori, quali ad esempio, di fatto, i lavoratori a tempo determinato e quelli a tempo indeterminato con breve anzianità contributiva.
E nell'affrontare questo problema che potrebbe penalizzare una parte dei lavoratori, e ricordando l'insegnamento e la lezione di Marco Biagi, il mio auspicio è quello che possa essere realizzato un sistema universale di ammortizzatori sociali che ponga fine all'attuale frammentazione, ai privilegi e alle iniquità fra lavoratori e imprese, e che crei sicurezza sociale.
Una riforma, questa, che secondo Marco Biagi avrebbe dovuto accompagnare la prudente e regolamentata flessibilizzazione del mercato che è stata raggiunta con l'arricchimento delle tipologie di rapporto di lavoro.
Una riforma che è opportuno completare, accrescendo le garanzie per i lavoratori secondo i tempi e le modalità che il Governo e le parti sociali sapranno individuare.
Contemporaneamente questo sistema efficace, automatico, universale di tutela del reddito dovrebbe altresì essere disegnato in modo da mirare sempre alla rioccupazione, accompagnandosi quindi a percorsi di formazione, riqualificazione e aggiornamento professionale finalizzati al reinserimento nel mondo del lavoro di coloro che siano momentaneamente fuori dal sistema produttivo.
E' un risultato che può conseguirsi facendo nostra la proposta contenuta nel Libro Bianco di potenziare l'indennità di disoccupazione rispetto alla cassa integrazione, anche attraverso l'intervento di organismi bilaterali promossi dalle parti sociali.
Le profonde esigenze di equità e solidarietà sociale richiedono piena assunzione di responsabilità da parte di tutta la società e dello Stato.
Tutto ciò costituirebbe il naturale completamento della disciplina del mercato del lavoro che Marco Biagi aveva certamente contribuito a delineare.
L'attualità e la modernità della lezione di Marco Biagi deve continuare ad orientare le scelte dello Stato per il raggiungimento di un vero e autentico progresso della società, senza mai dimenticare il dovere morale di venire incontro ai più deboli.
Marco Biagi ci ha indicato la via del progresso che potrà essere realizzato solo affrontando la sfida delle riforme con il coraggio della responsabilità.
Vi ringrazio.