Presentazione dei Quaderni Degasperiani
15 Giugno 2009
Autorità, Signore e Signori
Ringrazio il Presidente Andreotti per avermi dato la opportunità di aprire questo dibattito che, ne sono certo, ci darà ulteriori elementi di riflessione sulla vita di De Gasperi, sulla sua esperienza intellettuale politica ed umana.
Un uomo e innanzitutto un cristiano: una personalità forte dell'esperienza di una fede profonda, come narrano le pagine straordinarie del saggio della figlia Maria Romana, che apre il volume. Una fede che lo guida nel lungo tunnel degli anni di carcere e dell'esilio in patria. In quegli anni si rafforzano i principi che orienteranno il suo rinnovato impegno politico nel dopoguerra: i conflitti sociali non si possono comporre senza quel senso di fraternità che ci viene dalla lezione cristiana, i patti internazionali non hanno valore senza l'apporto della coscienza morale, la libertà politica di un popolo soccombe se non accompagnata dai freni di principi etici.
Forte di questi principi, all'immediata vigilia della liberazione, De Gasperi confessava a un amico: "Noi dobbiamo prepararci a un futuro nel quale il ruolo dei cattolici d'Italia sia un ruolo di governo; c'è bisogno di una forza compatta che possa tenere in sé con un serio interclassismo forze popolari e forze della borghesia in una solida posizione di centro". E' chiaro qui il richiamo alla dottrina sociale della Chiesa.
L'ispirazione cristiana fonderà anche la sua battaglia europeista. De Gasperi guardava all'unità europea come uno scalino di progresso verso la perfezione, in ciò utilizzando un elemento politicamente nuovo: il senso della fraternità.
Altri aspetti della vita politica che più hanno segnato la storia del nostro Paese sono approfonditi nel volume. A partire dagli anni dell'Assemblea costituente. Il saggio del prof. Pombeni mostra un De Gasperi non solo impegnato nell'attività di governo tra il '46 e il '47, con un contributo intellettuale forte alla Costituente, radicato nella esperienza del cattolicesimo liberale europeo.
E' il personalismo, frutto maturo dell'esperienza del cattolicesimo liberale, a essere la pietra angolare della nostra Carta, anche in polemica con Benedetto Croce. E ciò lo dobbiamo al decisivo contributo di questo grande statista che difende il fondamento religioso dei concetti di libertà e che, nel discorso animato da un vero respiro costituente del 27 aprile 1946, si descrive come un "fanatico della democrazia".
La sua cultura vasta, attenta all'esperienza di oltre Atlantico rende determinato De Gasperi nella battaglia per la creazione di una "Corte suprema" (la nostra Corte costituzionale), per una democrazia rappresentativa fondata sull'uguaglianza dei diritti e dei doveri.
L'esperienza della fine della Repubblica di Weimar e l'avvento in Italia del fascismo lo spinge a chiedere un sistema parlamentare equilibrato ma capace di produrre un governo forte e stabile. Si batte per un sistema bicamerale, che ritiene essenziale poiché, sono parole sue, "contiene un principio di equilibrio". Questo principio, che è alla base della scelta dei Costituenti, deve essere, oggi più che mai, chiaro in mente, alla vigilia di quella che vogliamo sia una stagione di utili ed importanti riforme istituzionali. Il senso profondo del nostro sistema bicamerale è infatti quello di una garanzia di equilibrio nella produzione legislativa e nelle funzioni di controllo e di indirizzo. Io credo che ogni riforma debba tenere fermo questo principio pur nella necessità di interpretarlo in modi diversi da quello attuale.
De Gasperi ha garantito in quegli anni, con il suo realismo e la sua intelligenza politica, le condizioni perché l'Assemblea costituente potesse nascere e lavorare con un'unità e una coesione che desse un fondamento solido, stabile e politicamente condiviso alle nuove istituzioni repubblicane. Fu un lavoro complesso e difficile, condotto nella consapevolezza che si "stava gettando un ponte sull'abisso tra due epoche" e ciò nella concordia mentre "altrove furono il terrore, i massacri, la guerra civile".
Il suo obiettivo in quegli anni cruciali era quello di "consolidare il regime repubblicano". L'aspirazione era creare un senso della comune appartenenza allo Stato al di sopra delle parti, "al di sopra del mutare dei governi e del prevalere dei partiti". E' questo, secondo De Gasperi, lo spirito veramente repubblicano, "uno spirito universale" di tutta la comunità che non conosce parti, ma dà vita all'unità della Nazione. Anche questa è una fondamentale lezione che dobbiamo tenere in mente quando torneremo, e me lo auguro con successo in questa legislatura, a riprendere il filo spezzato delle riforme istituzionali.
Per De Gasperi il fondamento della rinascita costituzionale era la restaurazione di un normale ordine politico a base parlamentare. La dialettica politica anche se aspra, come lo fu dopo il marzo del '47, non doveva uscire da quei canoni del parlamentarismo fondato dal costituzionalismo liberale che ha costituito il vero punto di riferimento dell'attività dello statista trentino.
Ma il volume che oggi presentiamo ci offre molti altri spunti di riflessione, di un De Gasperi attento alla evoluzione del sistema politico condizionato in quegli anni dal duro scontro imposto dalla guerra fredda. Un'attenzione che va oltre il perimetro del suo partito e che lo spinge a seguire giornalmente i tormenti di quella terza forza laica e socialdemocratica di cui cercò sempre il coinvolgimento nelle coalizioni dei suoi Governi.
Un De Gasperi poi artefice e protagonista - in pieno accordo con Luigi Einaudi - della ricostruzione economica e sociale del nostro Paese uscito dai disastri e dalle distruzioni del secondo conflitto mondiale. Lucidamente il Presidente del Consiglio del dopoguerra negozia e poi governa quel grande piano di aiuti - il Piano Marshall - che fu il generoso investimento che gli Stati Uniti fecero nell'immediato dopoguerra scommettendo sulla rinascita economica e sociale del nostro Paese.
Gli interventi di ricostruzioni furono decisi e pensati in Italia - a partire dal famoso Piano Casa - ma al contempo furono collegati alle scelte fondanti della collocazione internazionale dell'Italia post bellica, voluta con forza da De Gasperi. Troviamo in queste pagine la conferma di quanto una classe dirigente illuminata possa, dalla crisi e nella crisi, trovare occasioni e opportunità di sviluppo.
Da uomo del Sud sono rimasto colpito dal saggio che descrive la temperie in cui nacque la Cassa per il Mezzogiorno; figlia di un disegno politico chiaro, che prevedeva un intervento speciale "straordinario e aggiuntivo", per sollevare le regioni del Sud dal loro cronico sottosviluppo.
L'altro grande progetto economico e sociale fortemente voluto dallo statista fu una sfida che diede alle nostre regioni finalmente una rete capillare di acquedotti, di strade, e la bonifica di tante terre che furono contemporaneamente l'oggetto della riforma fondiaria. Per l'impresa del rilancio delle regioni meridionali De Gasperi volle costruire uno strumento pubblico che potesse essere assimilato, nelle capacità delle scelte operative, ad un ente privato piuttosto che a un ente pubblico. Fu lui a volere una chiara ripartizione tra organi politici e organo tecnico per la guida del quale, con cristallina determinazione, si affidò a uomini di sicura competenza e professionalità.
Egli concepiva questo gigantesco sforzo decennale di intervento straordinario a favore delle aree depresse non come un piano regionale, ma come un piano nazionale. Per De Gasperi, un trentino, che nei suoi giovani anni era stato deputato nel Parlamento di Vienna, lo sviluppo delle regioni meridionali era una questione nazionale e non era comprensibile al di fuori del contesto più ampio dell'economia italiana. Scriveva: "Il Mezzogiorno si trova di fronte a un'occasione magnifica di dimostrare la sua accresciuta consapevolezza e il suo senso di solidarietà meridionale e nazionale".
Oggi, in un momento di crisi che così duramente mette a nudo tanti strutturali problemi del nostro Mezzogiorno, queste parole devono risuonare come un monito per tutti noi, per la classe dirigente nazionale e per quella delle regioni del Sud. Questa passione nazionale ed europea, ed è l'ultimo aspetto che voglio toccare, guidò lo statista anche nelle scelte di politica estera, in anni che videro il mondo sull'orlo di un nuovo conflitto.
Nel libro si ricorda infatti la crisi coreana del 1950, che spaccò ulteriormente il Paese, alzò il livello dello scontro politico e della sfida comunista. De Gasperi guidò l'azione del Governo senza lasciarsi prendere dall'allarmismo e dalla paura, sereno ma deciso, non cedette a chi, pur all'interno della sua maggioranza, voleva che ci si concentrasse solo sulla repressione e sul riarmo. Con coraggio continuò la sua opera riformatrice nel campo economico e sociale, tutto ciò senza scostarsi di un millimetro dalla "lealtà atlantica" e da quell' "apostolato di europeismo" che erano e sono ancora le colonne su cui si fonda la politica estera italiana.
Queste lezioni di governo, di lealtà, di rigore nella gestione della cosa pubblica, di coraggio e di profonda umanità sono un esempio, uno stimolo ed anche una sfida per noi, per la classe dirigente del Paese. Ringrazio quindi ancora la Fondazione De Gasperi e ringrazio il lavoro di tanti storici e studiosi, con l'ambizione e la speranza che la lezione di Alcide De Gasperi possa continuare a illuminarci e a guidare la nostra Nazione.