Premio Giuseppe Chiarelli
22 Gennaio 2009
Presidenti e Giudici Emeriti della Corte, Signori Rappresentanti degli Organi costituzionali, Autorità, Signore e Signori.
E' motivo di particolare soddisfazione ospitare in Senato la 28a edizione del Premio Giuseppe Chiarelli e la 25a edizione del Premio Eugenio Selvaggi. Ad essere premiato in questa circostanza, insieme con la Rivista Trimestrale di diritto e procedura civile, è il prof. Nicolò Lipari, al quale rivolgo un cordiale saluto da parte dei Colleghi Senatori e mio personale. Nicolò Lipari è stato Senatore della Repubblica nella IX e nella X Legislatura, consigliere della RAI dal 1976 al 1983, medaglia d'oro per i benemeriti della scuola, della cultura e dell'arte nel 1973. La sua brillante carriera accademica è iniziata con l'incontro con Rosario Nicolò e Francesco Santoro Passarelli ed è proseguita con la libera docenza dal 1963 e con la titolarità della cattedra di istituzioni di diritto privato nell'Università di Bari, dal 1966, ed infine nell'Università "La Sapienza" di Roma, dal 1973.
Sarebbe impossibile ripercorrere la sua vastissima attività scientifica, con una pubblicazione pressoché sterminata e costante nel tempo di opere monografiche, collettanee ed articoli sulle più prestigiose riviste giuridiche. I temi trattati spaziano dal diritto civile, alla filosofia del diritto e alla sociologia giuridica. Solo scorrendo fugacemente i titoli dei suoi ultimi contributi ci si sente immediatamente immersi nella concretezza di un'esperienza giuridica, per i risvolti direttamente incidenti nelle relazioni tra cittadini e tra cittadini ed Istituzioni: il diritto privato europeo; il rapporto tra concorrenza, economia e diritto; la dignità della persona; la giurisprudenza costituzionale nella dialettica con le fonti del diritto. Proprio le "Fonti del diritto" sono il suo ultimo contributo pubblicato, ma già si attende la stampa di un nuovo manuale di diritto civile, da lui diretto, assieme a Pietro Rescigno, con l'intervento delle voci più autorevoli della civilistica italiana.
"Le Fonti del diritto" rappresentano una sfida innanzitutto accademica: non siamo abituati infatti a contributi esaustivi su questo tema, se non dal fronte del diritto costituzionale. Ed è allo stesso tempo una sfida intellettuale e culturale inedita se letta attraverso la lente di ingrandimento di un testimone intellettualmente onesto del nostro tempo. Per Nicolò Lipari infatti il diritto è innanzitutto "esperienza", non enunciazione astratta di regole fine a se stesse. Interpretare il diritto come esperienza diventa per lui una testimonianza di vita, la traduzione sul piano delle relazioni intersoggettive dei valori sociali che costruiscono una cittadinanza e formano una comunità.
Mi sembra di cogliere in questa prospettiva il senso del tema trattato nella sua Lettura Magistrale: "Il ruolo del giudice nella crisi delle fonti del diritto". Lettura alla quale non potrò assistere, mio malgrado, per la concomitanza dei lavori dell'Aula. Un tema - quello del raccordo tra sistema delle fonti e ruolo del giudice - di assoluta attualità e centralità nel dibattito politico italiano e nella stessa vita dei cittadini. Di fronte infatti alla frastagliata ed articolata composizione di norme, sia in ambito nazionale sia di derivazione europea, il legislatore ha iniziato con apprezzabile sensibilità a percorrere la via della "semplificazione", ma certamente questo impegno fondamentale non regge se non opportunamente recepito e valorizzato da un attento esercizio della giurisdizione.
La riforma della giustizia è un banco di prova decisivo per riannodare un dialogo fruttuoso tra le diverse forze politiche e indicare con credibilità a tutti i cittadini i principi della legalità e della giustizia. Interpretare la legge è compito alto, di responsabilità e richiede autonomia, indipendenza, imparzialità e ragionevolezza. E' maturo il tempo di una nuova e piena consapevolezza: la giustizia deve diventare, da fattore di scontro un luogo di incontro e convergenza.
La giustizia rappresenta il punto di saldatura tra legge e pratica giudiziaria. Forse per troppo tempo si è voluto, o comunque si è permesso, che una sorta di "competizione giudiziaria" divenisse motivo di opposizione con la politica e addirittura dentro la politica, tra i diversi partiti. Confido che alla vigilia del dibattito sulla riforma della giustizia il confronto sia costruttivo, in un clima di reale collaborazionetra le diverse forze politiche. Il Paese ha infatti bisogno di voltare pagina. Ha bisogno di una giustizia efficiente, rapida, dove accusa e difesa possano correttamente confrontarsi su un piano di parità. Il Paese chiede con forza un processo civile che dia risposte nel minor tempo possibile, affinché i cittadini possano tornare a credere nella giustizia come fonte di risoluzione celere delle proprie aspettative.
L'equilibrio tra i poteri richiede innanzitutto un esercizio equilibrato di ciascun potere. Perché la giustizia possa essere autorevole e godere della fiduciadei cittadini, è auspicabile che non abbiano a ripetersi scontri tra procure o singoli magistrati, che hanno il sapore della "tentazione dell'eccesso".
Il Paese deve riappropriarsi di un sano orgoglio di appartenenza a tradizioni alte e nobili, sia nella politica sia nella cultura giuridica, di cui la giurisprudenza resta uno dei fattori essenziali. I valori della buona giustizia devono essere riscontrabili dagli stessi cittadini nella pratica quotidiana. La sobrietà, l'equilibrio, l'intelligenza nel saper comunicare attraverso il proprio lavoro, senza la necessità di lasciarsi conquistare dalle forme più appariscenti del clamore o del sensazionalismo, restano per ogni servitore dello Stato un patrimonio destinato a dare frutto duraturo per le future generazioni.
Ancora una volta vale l'insegnamento di chi si fece portatore di questa testimonianza fino al sacrificio della vita. Rosario Livatino in una rara occasione pubblica, se ne contano solo due, pronunciò parole che meglio di ogni altra possono dare il senso di una testimonianza e di una vita autenticamente vissuta e con le quali desidero concludere il mio saluto, augurando a tutti Voi un buon proseguimento dei lavori.
"Il giudice, oltre che essere deve anche apparire indipendente [...] è importante che egli offra di se stesso l'immagine non di una persona austera o severa o compresa del suo ruolo e della sua autorità o di irraggiungibile rigore morale, ma di una persona seria, sì, di persona equilibrata, sì, di persona responsabile pure; potrebbe aggiungersi, di persona comprensiva ed umana, capace di condannare, ma anche di capire. Soltanto se il giudice realizza in se stesso queste condizioni, la società può accettare ch'egli abbia sugli altri un potere così grande come quello che ha."
Vi ringrazio per l'attenzione e rinnovo gli auguri sinceri di buon proseguimento a tutti i presenti.