Le nuove istituzioni europee e il Trattato di Lisbona
9 Ottobre 2008
Sono lieto di introdurre questo dibattito in quanto nel luglio scorso il Trattato di Lisbona è stato approvato all'unanimità dal Senato. Un'unanimità confermata pochi giorni dopo nell'aula di Montecitorio. Non era mai successo nella storia d'Italia che un Trattato europeo ottenesse un tale consenso. Vi sono stati accenti diversi, anche critiche incisive. E tuttavia con questo voto tutte le forze politiche hanno concordato sul fatto che il Trattato rappresenti un passo indispensabile per superare la crisi politica dell'Unione.
Oggi, di fronte alle sfide sempre più ardue che ci troviamo ad affrontare, il nuovo Trattato non è il problema - come purtroppo una distorta propaganda in altri Paesi è andata sostenendo - ma una parte della soluzione. Ce lo ricorda ogni giorno il Presidente della Repubblica. Come ha bene sintetizzato ad Atene nei giorni scorsi, il nuovo Trattato è "un passaggio ineludibile per rendere le politiche comuni maggiormente efficaci e consentire all'Unione di fare fronte alle sfide con cui deve misurarsi": dalla sicurezza dei nostri cittadini alla tutela del loro benessere, che possono essere garantite e accresciute solo attraverso politiche comuni.
Politiche - ed è qui una vera novità che voglio segnalare - che con questo Trattato vedranno una rafforzata e decisiva presenza parlamentare. Innanzitutto grazie all'accresciuto peso del Parlamento europeo che acquista poteri di decisione in molte nuove materie. Il Parlamento elegge il Presidente della Commissione e, come recita il Trattato, "esercita, congiuntamente al Consiglio, le funzioni legislative e di bilancio", insieme a quelle di controllo politico sulla Commissione che già gli appartenevano. Un Parlamento che secondo il Trattato rappresenta i cittadini europei, mentre le norme vigenti parlano di un Parlamento composto da "rappresentanti dei popoli degli Stati".
Si tratta di un salto di qualità evidente, che giustifica e rende coerenti con il nuovo sistema le accresciute e più incisive competenze dell'Assemblea di Strasburgo, innanzitutto nella materia delicatissima dello spazio di libertà, di sicurezza e di giustizia. Uno dei settori dove più gelose sono le sensibilità nazionali, ma dove pure è più evidente la esigenza di risposte europee.
In questa prospettiva il Parlamento europeo giocherà un ruolo cruciale. Aumenterà la legittimazione democratica delle decisioni future (oggi in larga parte lasciate ai Governi) e contribuirà anche ad aumentare la consapevolezza dei cittadini dell'Unione circa l'importanza di una politica comune su materie delicatissime che attengono ad esigenze che sono parte essenziale del contratto sociale che fonda la legittimità delle nostre istituzioni.
I parlamentari europei diverranno colegislatori e dovranno perciò giustificarsi, come viene giustamente segnalato nel libro che oggi presentiamo, con gli elettori del proprio paese. Avendo ben chiara questa prospettiva, e senza farci condizionare da esigenze tutte interne al nostro dibattito politico, si dovrà quindi affrontare la questione della revisione della legge elettorale per il Parlamento europeo.
Ma a fianco di questo rafforzamento del Parlamento europeo, in modo perfettamente complementare, Lisbona apre la via a una maggiore partecipazione dei Parlamenti nazionali. E' un ruolo questo scolpito a chiare lettere nell'articolo 10 del nuovo Trattato: ai Parlamenti nazionali spetta "contribuire attivamente al buon funzionamento dell'Unione". E i Parlamenti lo faranno, non solo rafforzando la tradizionale azione di stimolo e controllo verso i rispettivi Governi, ma anche mediante un dialogo diretto con le istituzioni dell'Unione. Potranno così agire - è questa un'efficace espressione contenuta nel libro che presentiamo - da "moltiplicatori della politica interna europea", e aiuteranno a ridurre la tanto deprecata distanza tra istituzioni europee e cittadini.
Il libro la cui presentazione è l'occasione del nostro incontro, non solo descrive i contenuti del Trattato, ma ne ripercorre la complessa genesi a partire dai lavori della Convenzione che portò alla elaborazione del Trattato costituzionale firmato a Roma nel 2004. Un'esperienza, questa, profondamente parlamentare. La Convenzione lavorò infatti in sedute pubbliche e di essa fecero parte in gran numero parlamentari nazionali ed europei. Il Senato e la Camera riuscirono attraverso i loro rappresentanti (i colleghi Dini e Follini) e attraverso il confronto con il rappresentante del Governo (il Presidente Fini) a seguire con costanza e a contribuire attivamente ai lavori della Convenzione.
Non devo ripercorrere le vicende che hanno portato poi all'abbandono del Trattato Costituzionale, che pure il Parlamento italiano aveva con convinzione votato. L'Italia si è battuta perché la sostanza di quel Trattato fosse salvaguardata, e in effetti, come emerge anche dal libro, le perdite rispetto al testo del trattato costituzionale sono limitate. Vi sono appesantimenti ma non stravolgimenti. Le norme sono presentate in maniera molto diversa.
Non più un testo nuovo interamente sostitutivo dei precedenti trattati, ma un documento complesso fatto di emendamenti ai testi vigenti, racchiusi - come viene argutamente notato - in due grossi maxiemendamenti.
Per questo il Senato, dove il Trattato è stato esaminato in prima lettura, ha voluto mettere a disposizione di tutti, parlamentari e cittadini, un testo a fronte che permettesse una lettura agevole del Trattato, evidenziando le modifiche che esso apporta ai trattati vigenti. Ne risultano due testi, due trattati (il Trattato sull'Unione europea e il Trattato sul funzionamento dell'Unione europea) nel complesso coerenti e leggibili.
Il risultato ad alcuni degli autori del libro è piaciuto, ad altri meno. Esso è stato frutto di numerosi compromessi e comunque ora è lì, come ha ben detto Giuliano Amato, e una volta ratificato da tutti potrà essere "un ampio mantello", secondo la metafora di Bismarck citata nel libro, "che avvolge le nostre spalle. Se starà bene o male dipende dal nostro atteggiamento". Gli strumenti per una azione politica più efficace dell'Unione, Lisbona in fondo li fornisce. In primo luogo per quanto riguarda la politica estera: un'Europa con personalità giuridica, un presidente stabile del Consiglio europeo e soprattutto un Alto Rappresentante per gli affari esteri.
Abbiamo visto proprio nei giorni scorsi, in occasione della crisi in Georgia, quanto possa essere autorevole l'Unione europea sulla scena internazionale se sa parlare con un'unica voce e sotto una guida autorevole. Il Trattato di Lisbona sottrae alla precarietà della regola della rotazione semestrale la guida della politica estera, che viene affidata al nuovo Alto Rappresentante, Vice Presidente della Commissione e anche Presidente del Consiglio dei Ministri degli Esteri. Alla precarietà della rotazione semestrale è anche sottratta la Presidenza del Consiglio europeo, affidata con un mandato di due anni e mezzo a un Presidente stabile, con l'obiettivo di garantire una coerenza interna all'attività dell'organo cui spetta definire le linee di indirizzo politico dell'attività dell'Unione. Un ruolo questo verso il quale si concentrano aspettative crescenti dei nostri cittadini. Pensiamo al prossimo Consiglio europeo, che si terrà a breve e ha nell'agenda temi come il governo dell'immigrazione e la questione della crisi dei mercati. E pensiamo a quanto sia rischioso suscitare aspettative e poi non soddisfarle, per le istituzioni europee, ma anche per la credibilità dei governi.
Ora, in una Europa a ventisette la capacità di impulso e di elaborazione di linee politiche condivise sta sempre più nell'autorevolezza della Presidenza e nella sua capacità di costruire con intelligenza politica un consenso adeguato su scelte ambiziose e all'altezza dei problemi da affrontare. Il Trattato di Lisbona introduce poi una serie di misure che semplificano il processo decisionale, lo rendono come ho detto più democratico e "parlamentare". Estende le competenze dell'Unione in materie da cui dipende la tutela della sicurezza dei nostri cittadini, come ha bene evidenziato il ministro Frattini.
Proprio qui, nell'ambito della cooperazione giudiziaria e di polizia, il Trattato prevede che la volontà di un nucleo di Stati (almeno nove) di andare avanti non possa trovare ostacolo nel veto di una minoranza, rendendo possibile l'automatica creazione di una cooperazione rafforzata. Scelte coraggiose e decisive per fronteggiare la minaccia della criminalità e del terrorismo non potranno essere più ritardate o procrastinate dal veto di alcuni. Gli Stati che vorranno, potranno andare avanti. E questo è vero, nel nuovo Trattato, anche in tutte le altre materie. Il Trattato stesso poi, prevede una cooperazione strutturata in materia di difesa e consente agli Stati membri di una cooperazione rinforzata di stabilire procedure decisionali più snelle e efficaci da utilizzare al suo interno.
Questa flessibilità, questa possibilità di andare avanti con un'Europa a più velocità, è una delle convincenti chiavi di lettura che il libro che oggi presentiamo fornisce del nuovo Trattato. E' ovvio che per l'Italia, per l'intero Paese, le sue istituzioni e tutte le forze politiche, questa è una sfida da raccogliere nel segno della nostra tradizione e della nostra storia, che ci ha posto sempre all'avanguardia del processo di integrazione. Un processo però che non è solo fatto di istituzioni, ma ha un'anima profonda, fatta di diritti, valori - iscritti in larga parte nella Carta dei diritti fondamentali - e di tradizioni comuni.
Nel preambolo del Trattato di Lisbona si richiamano per la prima volta le eredità culturali, religiose e umanistiche dell'Europa. V'è qui la consapevolezza dell'esistenza di un ethos condiviso che è la radice prima e deve divenire la forza della nostra Unione. Ha bene scritto nel libro che oggi presentiamo il Ministro degli interni tedesco: "Abbiamo da molto tempo un'anima comune, dobbiamo soltanto rammentarlo e a volte professarlo con maggiore coraggio". E dobbiamo dare merito dunque al dibattito sulle radici dell'Europa, che ha animato il lungo percorso di riforma dei Trattati, per aver rafforzato questa consapevolezza.
Tutte queste ragioni e molte altre militano a favore di una rapida entrata in vigore del Trattato. Ed io qui vi trasmetto la forte e univoca volontà del Parlamento italiano. Con speranza dunque guardiamo al prossimo vertice dei capi di stato e di governo, fiduciosi che il governo irlandese sappia proporre una soluzione all'empasse che è seguito al referendum. Il cui risultato - è oggi chiaro a tutti - è stato largamente condizionato da una profonda carenza di informazione.
Come avvertiva il ministro Frattini nel suo contributo, "dobbiamo persuadere i cittadini che le istituzioni europee possono contribuire a risolvere i loro problemi. Se non garantiamo una comunicazione efficace, internet, la radio, le televisioni e i giornali si riempiranno di voci antieuropee". E' quel che è accaduto in Irlanda. A noi tutti, alla politica nazionale e non solo, spetta spiegare invece il Trattato e le ragioni forti che sostengono il processo di integrazione.
Abbiamo del resto un appuntamento: le elezioni europee del 2009. Dovremo tutti impegnarci per trasformare questa occasione in un momento alto di dibattito e di confronto per contribuire così a dare forza alle istituzioni comuni e a chi in esse rappresenta i nostri cittadini.