Oltre la crisi: università e cultura per il rilancio del Paese
19 Novembre 2009
Autorità, Magnifico Rettore, Chiarissimi Professori, Cari Studenti,
è per me un vero piacere parlare di Università e cultura per il rilancio del nostro Paese , in quanto questo tema ha assunto, negli ultimi due decenni, una importanza crescente nelle politiche pubbliche dei principali Paesi occidentali. L'università è infatti sempre più un elemento essenziale per lo sviluppo delle persone e delle società civili e sarà certamente un fattore strategico per uscire rafforzati, come io credo, dalla crisi finanziaria.
Se infatti fino agli anni '70 circa l'80% delle innovazioni produttive veniva sviluppato nelle imprese, oggi oltre il 50% viene concepito nelle università.
La competitività di un Paese si misura dunque sempre più dalla competitività del suo sistema universitario.
L'università ha poi la funzione decisiva di offrire opportunità di promozione sociale alle giovani generazioni e di garantire la qualità della classe dirigente di una nazione.
Va subito detto che il nostro sistema scolastico e universitario è fra quelli in Occidente che meno garantisce promozione sociale.
Fino agli anni '50 del secolo scorso l'università italiana era funzionale alle esigenze di un certo tipo di società, indubbiamente più chiusa ed elitaria, con minore permeabilità fra le classi sociali.
Era il modello di ancora di stampo ottocentesco, concepito per pochi, messo in crisi dall'avvento della società di massa che imponeva a sua volta una università di massa.
D'altro canto, le riforme della scuola italiana, avvenute a iniziare dagli anni '60, che da una parte avevano accresciuto la platea di coloro che arrivavano ad un diploma e che dall'altra avevano consentito l'iscrizione a qualsiasi università con qualsiasi diploma di scuola superiore, hanno imposto, per conseguenza, un ripensamento profondo anche delle politiche universitarie.
Più recentemente, il ruolo sempre più rilevante della università nel determinare i processi di innovazione produttiva, ha reso drammaticamente importante il collegamento fra impresa e ricerca universitaria.
L'università italiana ha faticato, per vincoli burocratici e mentalità, ad adeguarsi a queste nuove esigenze.
La riforma del 1980 e quelle successive, pur recependo alcune istanze di modernizzazione del nostro sistema, erano certamente condizionate da logiche corporative e demagogiche, senza oltretutto esprimere un disegno organico.
La legge Ruberti, del 1990, ha introdotto il fondamentale principio dell'autonomia, senza peraltro aggiungervi quello di responsabilità.
La successiva riforma Berlinguer, ha quindi favorito un localismo che, sebbene nelle intenzioni di chi l'aveva concepita doveva essere coerente con l'applicazione del principio di autonomia, ha tuttavia peggiorato la qualità del reclutamento.
Infine, la riforma degli ordinamenti didattici contenuta nel decreto Zecchino, il cosiddetto 3+2, ha rappresentato una applicazione troppo allargata delle linee contenute nel documento europeo di Bologna, volto a favorire la libera circolazione degli studenti.
Di certo le lauree brevi possono rappresentare una opportunità importante per i giovani e per il sistema produttivo, ma in nessun Paese europeo si è applicato un modello così rigido e diffuso di segmentazione e moltiplicazione della formazione universitaria, circostanza dimostrata da una recente indagine conoscitiva in corso presso il Senato.
Ne è seguita una impennata del numero delle posizioni didattiche e di assunzioni a tempo indeterminato, concentrate essenzialmente nella fascia degli ordinari, che ha contribuito a far lievitare la spesa dei singoli atenei.
Si è nel contempo accentuata la famosa piramide rovesciata, che vede nel nostro Paese un numero di professori, ordinari ed associati, doppio rispetto a quello dei ricercatori strutturati.
Compito della politica è dunque quello di creare un modello competitivo, moderno, di università, di introdurre il principio di responsabilità e di valutazione dei risultati, di eliminare gli sprechi e, contemporaneamente, di aumentare le risorse, concentrandole peraltro soprattutto per favorire l'emersione di poli di eccellenza.
Importanti principi riformatori sono stati affermati nel decreto-legge 180 e ora nell'ampio ddl in materia di organizzazione e qualità del sistema universitario elaborato dal Governo.
Auspico a questo riguardo che possa svilupparsi un serio e costruttivo confronto nelle aule parlamentari, dal momento che le linee generali per rilanciare il nostro sistema universitario sono ormai ben note e trasversalmente condivise.
E' necessaria innanzitutto una riforma del reclutamento che introduca una verifica nazionale della qualità della ricerca svolta e della predisposizione alla didattica.
E' poi indispensabile una governance più snella ed efficiente, che distingua le competenze di cda e senato accademico, oggi in gran parte sovrapposte, consentendo al cda ed al rettore di decidere gli indirizzi strategici e di programmazione e di governare e al senato di proporre e controllare, collaborando nella individuazione delle linee generali di sviluppo dell'ateneo.
Le università non statali devono organizzarsi al meglio per poter rappresentare un utilissimo termine di confronto e poter sperimentare soluzioni innovative in grado di costituire, eventualmente, un esempio da estendere anche alle università statali.
Proprio da un intelligente pluralismo può nascere un modello variegato che arricchisce il sistema universitario italiano, ferma restando la necessità di garantire un flusso di risorse certe ed adeguate al sistema.
Centrale è poi la valutazione del sistema.
I finanziamenti devono essere sempre più legati ai risultati nella didattica secondo un modello che è ormai adottato in tutti i principali Paesi europei, su modelli di derivazione anglosassone.
Non meno importante è la possibilità di differenziare le retribuzioni adottando un sistema che consenta di retribuire meglio i ricercatori e i professori che ottengano risultati di qualità.
Il modello adottato nella Repubblica Federale Tedesca nel 2002 può essere un buon esempio da seguire.
In questo senso, non basta eliminare gli automatismi negli scatti stipendiali, ma occorre prevedere un vero e proprio fondo per la valorizzazione della qualità della ricerca e della didattica.
Insomma, si deve innescare un circolo virtuoso: le università devono poter conferire incarichi a quei docenti a cui lo Stato abbia preventivamente riconosciuto la maturità scientifica e didattica, e in particolare a coloro che siano più funzionali alle esigenze di sviluppo dei singoli atenei; gli atenei possono incentivare la qualità della ricerca e della didattica differenziando le retribuzioni con contratti individuali aggiuntivi; lo Stato deve valutare i risultati conseguiti da ogni singolo ateneo diversificando la attribuzione delle risorse.
Vi è poi un altro punto fondamentale: se guardiamo alle classifiche della competitività internazionale, i cosiddetti ranking, ci rendiamo conto che il vero handicap del sistema italiano è la assenza di università di eccellenza.
Su 10.000 università valutate, nessuna università italiana è collocata nei primi 100 posti.
Occorre dunque valorizzare quei dipartimenti in cui si fa ricerca di qualità, riconosciuta a livello internazionale, destinando ad essi risorse aggiuntive, per far diventare alcuni nostri atenei punte di eccellenza di livello mondiale.
A questo proposito rappresenta un esempio l'Università Campus Bio-Medico di Roma, che nel suo ambito istituzionale contribuisce, sia per la didattica che per l'assistenza e la ricerca, a proporre un modello di eccellenza.
Un altro passaggio fondamentale è la internazionalizzazione del sistema con l'apertura a docenti e studenti stranieri, con la diffusione di corsi in inglese e l'offerta di un sistema diffuso di residenze universitarie.
Centrale è il tema del diritto allo studio.
L'investimento in borse di studio per premiare i capaci e meritevoli è la premessa per consentire promozione sociale.
Parallelamente, va favorita la diffusione anche in Italia di collegi universitari che formino gli studenti con una particolare attenzione all'acquisizione di valori di riferimento.
Sono necessarie alcune riflessioni su due elementi fondamentali: ricerca scientifica e sussidiarietà.
La ricerca scientifica è base di ogni conoscenza anche in campo biomedico, è essenziale per la salute, l'ambiente, la qualità della vita.
Nel campo medico-sanitario le nuove frontiere sono rappresentate certamente dalla bioscienza, neuroscienza e infoscienza.
Resta ferma la centralità dell'uomo, del soggetto malato nella medicina; ma il medico del futuro dovrà essere capace di coniugare clinica, tecnica e informatica.
Alcuni definiscono l'avanzamento della ricerca e dei saperi come "quadrilatero della conoscenza". Un perimetro, senza discontinuità, composto da 4 settori: ricerca scientifica, come scoperta di innovazioni rilevanti; università e centri di alta formazione, come contenitori di ricerca di valori i cui risultati vanno trasferiti al territorio e alla comunità; competitività per istituzioni e imprese; nuovi fattori di globalizzazione.
Questa armonica e sinergica cooperazione permetterà una crescita non solo della dottrina, ma anche dell'uomo e della nazione.
La scuola e l'università non si riducono a obbligo e dovere, ma sono innanzitutto espressione di un diritto riconosciuto a enti e persone della Carta costituzionale, con l'articolo 33.
Non si può pretendere di rinchiudere una realtà sociale così rilevante in una sterile contrapposizione fra pubblico e privato.
Si può considerare "privato" l'impegno di tanti, religiosi e laici, per garantire tale diritto, istituendo e gestendo scuole aperte a tutti? Certamente no.
Tutta la storia europea delle istituzioni educative testimonia, invece, la validità dell'esistenza di una pluralità di scuole gestite dai corpi sociali intermedi.
La sussidiarietà non è, infatti, una elargizione munifica graziosamente concessa dall'unico soggetto che ha diritto a istruire i cittadini; la sussidiarietà è l'espressione matura di una società che si prende cura, grazie ai suoi corpi sociali, dei bisogni primari delle persone.
Infine, di particolare importanza è il rapporto con il mondo delle imprese.
Occorre favorire ed incrementare le relazioni fra imprese e atenei, anche con soluzioni fortemente innovative, come agevolazioni fiscali verso appositi strumenti finanziari idonei a raccogliere risorse private.
Va detto che i rapporti ancora inadeguati con il mondo del privato non sono sempre e solo responsabilità delle difficoltà frapposte da intoppi legislativi o dalla tradizionale predilezione del nostro sistema universitario verso la cosiddetta ricerca di base.
Non solo dunque l'impresa nella università, ma anche l'università nella impresa, a iniziare dal finanziamento per borse di dottorato da svolgersi all'interno delle aziende private.
Le sfide che abbiano davanti a noi sono importanti.
Il sistema universitario italiano ha avviato quel percorso di risanamento che la politica sta chiedendo a tutto il settore della pubblica amministrazione; le università italiane hanno risposto prima e meglio di altri comparti della pubblica amminsitrazione.
Premiare il merito è infatti sempre più evidentemente una necessità per tutte le riforme del nostro Stato. Usando le parole di San José maria escrivà: "lo studio, la formazione professionale quale che sia, è obbligo grave fra noi".
Per il prossimo anno è attesa una riduzione dei corsi di laurea pari al 20%, mentre diversi atenei hanno già iniziato autonomamente una riduzione delle sedi staccate, dimostrando con i fatti che alcune economie di spesa sono possibili senza ridurre la qualità dei servizi, anzi, allocando in modo più efficace e produttivo le risorse.
C'è tuttavia un punto che deve essere chiaro e lo esprimerò concludendo con una bella citazione di Lincoln, contenuta nel discorso tenuto dal Presidente Barack Obama all'Accademia Nazionale delle Scienze, nello scorso aprile: la grandezza dell'America dipende dal fatto che ha sempre creduto nell'importanza dell'investimento in ricerca, essendo convinto che "nel settore della ricerca e dell'innovazione, dobbiamo aggiungere il carburante dell'interesse al fuoco del genio", voglio aggiungere io per una scienza che sappia rispettare ed esaltare l'uomo, la sua identità naturale, e ciò che abbiamo ricevuto in prestito dalle future generazioni.
Cari ragazzi, a voi un augurio particolare per questo anno accademico, per il completamento dei vostri studi, per un futuro ricco di soddisfazioni e successi.
Il prossimo 21 gennaio al Senato, nella nostra Sala Zuccari, si svolgerà la premiazione del concorso sulla Costituzione Italiana promosso dalla Fondazione R.U.I. Spero di rivedervi tutti, il che è anche un augurio.
Vi ringrazio.