Giorno della memoria
27 Gennaio 2009
Onorevoli colleghi,
sessantaquattro anni or sono, in questo giorno di gennaio, le truppe russe raggiungevano, nella loro avanzata verso Ovest, il campo di sterminio di Auschwitz-Birkenau, abbandonato dai nazisti in fuga.
Campo che tanti giovani, tanti di voi ed io stesso abbiamo visitato nel corso degli anni con commozione profonda.
L'apertura dei cancelli restituì la libertà alle migliaia di sopravvissuti all'atroce meccanismo dello sterminio, e mostrò a tutto il mondo quanto era accaduto in quei luoghi di dolore, che da anni accoglievano senza sosta convogli di deportati provenienti da tutta l'Europa occupata.
A partire da quel giorno, nessuno poté più dire di non sapere o di non aver compreso: la meticolosa determinazione delle truppe liberatrici alleate, nel documentare l'orrore che si trovarono dinanzi, in quello e in tanti altri campi, consegnava alla storia le prove viventi ed i terribili risultati dell'osceno disegno - perseguito con metodo dalla lucida follia omicida dell'ideologia nazista - di cancellare il popolo d'Israele, e tanti altri esseri umani, dalla storia e dalla geografia del nostro Continente.
Per questo la Repubblica italiana riconosce, ormai da nove anni, il 27 gennaio quale "Giorno della Memoria", al fine di ricordare lo sterminio del popolo ebraico, l'infamia delle leggi razziali, la persecuzione dei cittadini di religione ebraica e di tutti gli italiani che hanno subìto la deportazione, la prigionia e la morte nei campi nazisti.
Fare memoria significa oggi "considerare che questo è stato", secondo le parole di Primo Levi.
Significa interrogarsi sulle ragioni storiche e i meccanismi politici e culturali che permisero al sentimento antisemita, radicato in settori della società tedesca ed europea, di tramutarsi dapprima nel cuore dell'ideologia nazista, e poi in un lucido e determinato disegno di persecuzione e di sterminio, alla cui realizzazione fu destinata ampia parte delle energie militari ed amministrative del regime hitleriano e dei suoi alleati.
Significa riconoscere che quell'orrore si sviluppò nel cuore della civiltà europea, dissipando in un istante, insieme alla dignità umana di quanti caddero vittime della persecuzione e dello sterminio, quel patrimonio di principi e di valori che quella medesima civiltà europea aveva faticosamente e coraggiosamente costruito.
Significa non stancarsi di denunciare il sentimento antisemita tuttora presente in una parte consistente della nostra società (circa il dodici per cento della popolazione, secondo i più recenti sondaggi), spesso travisato sotto la maschera altrettanto odiosa dell'antisionismo, cioè dell'atteggiamento di chi non riconosce allo Stato d'Israele neppure il diritto di esistere.
Nel momento in cui, nella politica e nella società, si iniziasse a pensare al diverso da sé come un nemico da abbattere, allora si porrebbero - come scrisse Vittorio Foa nella prefazione all'opera di Primo Levi - le premesse di una catena inesorabile, al cui termine c'è il lager.
Fare memoria significa anche, però, onorare il valore di quanti riuscirono, in quei difficili momenti, a rimanere fedeli alla propria natura umana e ad opporsi con coraggio a quell'odioso progetto di morte, adoperandosi, spesso a rischio della propria vita, spesso in un silenzio operoso, per sottrarre anche un solo fratello perseguitato al suo terribile destino.
Lo Yad Vashèm, il Memoriale dell'Olocausto di Gerusalemme, dedica alla memoria di costoro, nominati "Giusti tra le Nazioni", una distesa di piccole lapidi poste lungo il viale alberato che conduce alla Tenda della rimembranza, dove arde la fiamma perenne che ricorda le vittime della Shoah. In occasione della mia visita al Memoriale, nello scorso settembre, sono rimasto commosso ed inorgoglito nel constatare come a molte di quelle lapidi corrisponda il nome di un cittadino italiano.
Quelle storie di umanità e coraggio, ricostruite e pubblicate negli ultimi anni a cura della Commissione per il Riconoscimento dei Giusti italiani, rappresentano una pagina luminosa della storia del nostro Paese, e contribuiscono a riscattare la memoria dolorosa delle leggi razziali.
Alla memoria di questi uomini "giusti", accanto a quella di quanti patirono nel corpo e nello spirito gli effetti di quella brutale violenza, si rivolge oggi il nostro pensiero commosso, e l'invito alle giovani generazioni a conoscere e a non dimenticare.
Invito pertanto l'Assemblea ad osservare un minuto di raccoglimento.