In ricordo di Enrico Berlinguer
17 Giugno 2009
Onorevoli colleghi,
l'11 giugno di venticinque anni fa, moriva a Padova l'onorevole Enrico Berlinguer, segretario nazionale del Partito Comunista Italiano.
Nato a Sassari nel 1922, godette negli anni della formazione di un contesto familiare intellettualmente ricco, vivace, al centro di significative relazioni personali e politiche.
Iscrittosi nel 1943 al Partito Comunista Italiano, fu presentato a Palmiro Togliatti dal padre Mario, avvocato vicino al Partito d'Azione e vecchio compagno di scuola del leader comunista.
L'ottima impressione suscitata nel Segretario del partito dalle sue qualità, valse al giovane attivista sardo una serie di importanti incarichi organizzativi, nel cruciale periodo tra il 1944 e 1945.
I risultati di quella esperienza segnarono, per Berlinguer, l'avvio di una carriera di dirigente politico: segretario dei Giovani comunisti dopo la Liberazione, membro della direzione del partito nel 1948 (a soli ventisei anni), fu eletto deputato nelle elezioni del 1968, capolista della circoscrizione elettorale di Roma.
Nello stesso anno, dopo i fatti di Praga, il Partito Comunista Italiano, nella persona del vice segretario Berlinguer, aveva per la prima volta condannato l'intervento sovietico in Cecoslovacchia e nel 1969, alla Conferenza internazionale dei partiti comunisti, aveva pubblicamente manifestato il proprio dissenso, rifiutando di firmare la relazione conclusiva.
Nel 1972, al termine del XII Congresso, Berlinguer fu chiamato a succedere a Luigi Longo come Segretario del partito, sulla base di un programma politico che, sul piano interno, proponeva di riprendere la formula togliattiana della collaborazione fra le grandi forze popolari del Paese (socialisti, comunisti e cattolici) e sul piano internazionale esprimeva un indirizzo di lenta ma progressiva autonomizzazione dalle direttive del Partito Comunista sovietico, in nome delle insopprimibili differenze fra i partiti che operano in Paesi democratici, come il Partito Comunista italiano, e le formazioni al potere nei Paesi retti da regimi socialisti.
La riflessione sugli eventi cileni del settembre 1973, che mostrarono in modo drammatico i rischi ai quali poteva andare incontro una democrazia dalla base politica e sociale troppo fragile, portò Berlinguer a specificare ulteriormente la sua linea, prefigurando quello che egli definì "un nuovo, grande compromesso storico tra le forze che raccolgono e rappresentano la grande maggioranza del popolo italiano".
Si trattava, di fatto, di una esplicita manifestazione di disponibilità a condividere la responsabilità di governo con il partito della Democrazia cristiana, in nome di una "solidarietà nazionale" che ponesse le Istituzioni in grado di fronteggiare le dure sfide di quegli anni alla democrazia italiana: la crisi economica e il terrorismo.
L'iniziativa di Berlinguer, rafforzata dal buon risultato elettorale conseguito dal Partito Comunista Italiano nelle elezioni del 1975 e del 1976, si salderà ad analoghe teorizzazioni sviluppate, in quegli anni, da Aldo Moro, conducendo alla nascita, nel luglio del 1976, del primo governo "di solidarietà nazionale", che si reggeva sulla "non sfiducia" dei parlamentari del Partito comunista italiano.
Nello stesso anno, Enrico Berlinguer rendeva definitivo lo strappo con Mosca, affermando, davanti al XXV Congresso del Partito comunista sovietico, il valore della democrazia e del pluralismo, e riconoscendo, in una storica intervista al Corriere della sera, l'importanza dell'appartenenza italiana al Patto Atlantico, a riprova dell'autonomia del suo partito dalle influenze sovietiche.
Il rapimento e l'uccisione di Aldo Moro, nel momento in cui si prefigurava una fase di più stretta collaborazione al Governo da parte comunista, segnò il passaggio ad una nuova stagione politica: conclusosi il momento di più acuta emergenza, nel quale il Partito comunista si segnalò fra i protagonisti della "linea della fermezza", la formazione politica diretta da Enrico Berlinguer tornò fra le forze di opposizione.
Negli ultimi anni, dopo la fine dell'esperienza della solidarietà nazionale, Berlinguer moltiplicò le prese di posizione sui grandi temi della politica italiana ed internazionale, in molti casi innovando radicalmente rispetto alla precedente tradizione del suo partito: così avvenne a proposito del disarmo atomico, del valore dell'integrazione europea, del dialogo con il mondo cattolico, del rapporto tra morale e politica.
Nel suo ultimo discorso, tenuto durante la campagna elettorale per il primo rinnovo del Parlamento europeo, egli dedicò un passaggio significativo alla libertà e alla democrazia come valori assoluti, per il cui perseguimento il Partito comunista si batteva non soltanto a beneficio proprio e del campo progressista, ma a beneficio di tutti.
Un'affermazione che venticinque anni dopo, in un contesto politico di consolidata alternanza democratica e generale accettazione dei valori liberali, potrebbe apparire quasi scontata, ma che invece racchiude in poche parole tutta l'importanza che una figura come quella di Enrico Berlinguer ebbe per lo sviluppo e il consolidamento della democrazia italiana.
Egli, infatti, in un momento storico tra i più difficili della vita della Repubblica, seppe mettere il suo indubbio carisma - fatto di rigore, serietà, capacità di parlare agli uomini ed ascoltare i loro bisogni - al servizio di un progetto politico ben definito.
Sulla portata dei risultati conseguiti dalla sua azione politica è ancora aperto il dibattito fra gli storici: quel che è certo è che Berlinguer, pur senza aver mai ricoperto incarichi istituzionali e di governo, va senza dubbio annoverato tra i politici più rilevanti dell'Italia repubblicana.
Il Senato della Repubblica, a venticinque anni dalla tragica e prematura scomparsa, rivolge alla memoria di Enrico Berlinguer l'omaggio del ricordo di un grande e appassionato leader politico.