Cerimonia di chiusura del XXI Corso dell'Istituto per la documentazione e gli studi legislativi
21 Gennaio 2010
Autorità, Signore e Signori, saluto il Presidente dell'ISLE, prof. Giovanni Pieraccini ed il Segretario Generale, Prof. Silvio Traversa e sono lieto di ospitare la cerimonia di chiusura del Ventunesimo corso della Scuola di scienza e tecnica della legislazione, secondo la consolidata e felice tradizione che vede i due rami del Parlamento alternarsi, di anno in anno, nell'accogliere l'evento conclusivo della più importante iniziativa, in materia di formazione legislativa, organizzata nel nostro Paese. È un'occasione preziosa non soltanto per celebrare nelle sedi parlamentari i meriti indiscussi dell'ISLE, quale luogo di approfondimento e formazione nella scienza della legislazione, ma anche e soprattutto per una attenta riflessione su importanti questioni di interesse generale. Le iniziative legislative elaborate dagli allievi del corso rivestono, infatti, non soltanto natura di esercitazioni nella tecnica della legislazione, ma rappresentano soprattutto acute e consapevoli sollecitazioni, proposte con grande autorevolezza all'attenzione e all'analisi delle Istituzioni parlamentari e della classe politica. Gli allievi del ventunesimo corso hanno affrontato ed approfondito il tema caro a tutti noi italiani, quello della difesa della lingua italiana e il suo riconoscimento come fondamento culturale della Nazione. Lo hanno fatto attraverso la redazione di due iniziative legislative che saranno oggi illustrate dal Presidente Sabatini: la prima di rango costituzionale, di modifica dell'articolo 9 della Costituzione; l'altra recante misure per la tutela e la valorizzazione della nostra lingua in Italia e all'estero.
La relazione introduttiva delle due proposte legislative muove da condivisibili presupposti tra i quali: "la necessità di una riflessione più ampia, soprattutto alla luce di molti eventi più recenti di natura sociale, demografica e di politica internazionale che investono la materia delle identità nazionali"; e l'invito affinchè "i patrimoni culturali accumulati dai singoli popoli vengono considerati sempre più come un bene non più solo nazionale ma appartenente all'umanità e da salvaguardare perciò anche in una prospettiva internazionale, con iniziative di tutela alle quali gli Stati a maggiore ragione non possono sottrarsi". In questo contesto la lingua italiana viene posta in diretta relazione con la cultura, con il paesaggio ed il patrimonio storico ed artistico del nostro Paese e richiede un atto di tutela, in quanto fondamento culturale della Nazione. In altri Stati europei l'unificazione politica ha preceduto la stessa formazione e diffusione di una lingua nazionale, che spesso ha dovuto far leva proprio sul suo carattere di idioma ufficiale per diffondersi uniformemente nel territorio dello Stato. In Italia, invece, il legame tra esistenza della lingua e formazione dello Stato ha avuto un diverso percorso poiché la nostra lingua si è formata ed è fiorita come idioma nazionale diversi secoli prima dell'unificazione del Paese. La lingua italiana attraverso la sua straordinaria produzione letteraria e la grande diffusione fra le classi colte d'Europa, si è conquistata nei secoli un posto di primo piano nel patrimonio culturale europeo ed universale. Merita allora di essere riconosciuta come il più potente fattore di consolidamento e di sviluppo di una civiltà italiana unitariamente intesa, al di là delle differenze regionali, e con essa della formazione di una identità nazionale da cui discenderà, con il Risorgimento, l'aspirazione all'Unità.
Gli allievi dell'ISLE propongono la modifica di rango costituzionale a difesa e a protezione della lingua italiana, proprio all'art.9 della Costituzione, nella parte cioè che contempla il principio di tutela del paesaggio, del patrimonio artistico e storico della Nazione. La lingua italiana, quindi, come patrimonio culturale da salvaguardare, come fondamento culturale della nostra identità. Sarebbe certamente un passo importante ma non è esaustivo. Occorre e diventa sempre più indifferibile una presa di coscienza collettiva, da parte di cittadini ed Istituzioni, per un'alta politica culturale che conferisca ulteriore risalto al nostro idioma all'interno della cultura universale. Per far questo, è necessario sviluppare prima di tutto una rigorosa ed innovativa politica di difesa e di valorizzazione della conoscenza e dell'uso della lingua italiana nella scuola e nella società. In questa direzione va la seconda proposta degli allievi dell'ISLE con un articolato testo che contiene una serie di principi volti a valorizzare all'interno della comunità un bene allo stesso tempo individuale e collettivo. E' di recente pubblicazione il documento congiunto dell'Accademia dei Lincei e dell'Accademia della Crusca sullo stato assai precario della conoscenza della lingua italiana fra molti dei nostri studenti anche universitari, determinato dalle carenze riscontrate nella scuola dell'obbligo. In esso si afferma, fra l'altro, che "una conoscenza della lingua materna sicura e ricca, che non si limiti ai bisogni comunicativi primari, elementari, ma includa un ampio repertorio lessicale, una flessibilità di usi sintattici e una capacità di passare da un registro comunicativo all'altro in modo appropriato [...] è una precondizione per un paese civile che intenda restare competitivo nella contemporaneità e nel futuro prossimo". La padronanza della lingua italiana può, inoltre, essere elemento significativo per migliorare le condizioni civili e determinare una vantaggiosa mobilità sociale, quello che viene definito "ascensore sociale". E appare sempre più urgente che la lingua italiana si consolidi sempre più all'interno della comunità dei cittadini. Per fare ciò è indispensabile che la buona conoscenza e la padronanza del nostro idioma sia presente ad ogni livello di istruzione, anche in quello universitario ed inoltre all'interno delle istituzioni stesse e delle amministrazioni pubbliche. Ma la conoscenza profonda ed ampia della lingua materna è certamente alla base di quella solida e serena consapevolezza della propria identità culturale che consente di porre il confronto con chi appartiene a culture diverse dalla propria su basi costruttive, senza cadere nei due eccessi opposti, egualmente sbagliati, della xenofobia e della subalternità culturale.
La lingua italiana diviene allora lingua condivisa ed elemento fondamentale per una piena integrazione. La questione è posta assai lucidamente anche dalla relazione che accompagna la proposta elaborata dagli allievi dell'ISLE, nella quale si legge che "il processo identitario del cittadino italiano nasce proprio dalla lingua e, per questo, riconoscerne e salvaguardarne la funzione è compito preminente dello Stato italiano, ancor più oggi, in considerazione dei processi di allargamento - in atto nell'area europea e in termini globali - dei confronti interculturali". Ed è profondamente vero che la buona convivenza tra immigrati e cittadini italiani ha alla base anche la buona conoscenza della nostra lingua. Il nostro idioma diviene, allora, veicolo per una piena integrazione e sorge la necessità di tutelarne e promuoverne l'apprendimento da parte di coloro che fanno ingresso nel nostro Paese per dimorarvi e svolgere un'attività di lavoro. A nessuno è chiesto di abbandonare la propria identità culturale e linguistica, ma non possiamo neppure rinunciare a chiedere agli immigrati, massima disponibilità ed apertura all'apprendimento della nostra lingua, che costituisce il primo e decisivo segnale di una reale volontà di integrazione nel nostro tessuto sociale e civile. Una Nazione, infatti, non è una mera giustapposizione di comunità e di individui fra loro non comunicanti: se così fosse, nella migliore delle ipotesi si otterrebbe soltanto una proliferazione di ghetti contrapposti, che è l'opposto di una costruzione sociale. Non possiamo dimenticare, in proposito, la spirale di violenza manifestatasi recentemente a Rosarno, che tanta sofferenza ha creato tra connazionali e tra immigrati e che ha generato gravi ripercussioni sull'ordine e sulla sicurezza pubblica.
Alla conoscenza della lingua italiana è strettamente collegato il dibattito su tempi e modalità di concessione del diritto alla cittadinanza agli immigrati e alle loro famiglie. Un dibattito essenzialmente articolato fra la posizione di chi ritiene l'accesso a questo diritto come strumento di integrazione e chi, viceversa, lo considera il completamento di un processo a coronamento di una integrazione compiuta. A questo proposito, non possiamo dimenticare, perché profondamente vero, che la conoscenza della lingua italiana costituisce per lo straniero residente nel territorio italiano uno strumento fondamentale di accesso a quei fondamentali diritti dell'individuo che la nostra Costituzione riconosce a tutti, Italiani e stranieri. Ma è altrettanto significativo richiamare l'esperienza di altri Paesi europei per i quali l'accesso alla cittadinanza non sempre ha coinciso con una condivisione piena dei valori che caratterizzano il patrimonio civile e culturale della società di cui l'immigrato è divenuto cittadino, talora addirittura da più di una generazione. Spesso si è aperta la strada a fenomeni di rigetto, anche violento, di quei valori. Cittadinanza, allora, non è sempre sinonimo di integrazione. Se questa è l'esperienza dei nostri tempi di cui dobbiamo fare tesoro, ritengo che prima ancora di parlare di riduzione dei tempi di concessione della cittadinanza o ancora di voto amministrativo agli immigrati, dobbiamo interrogarci a fondo ed individuare i requisiti utili e necessari per un'autentica fruttuosa simbiosi tra connazionali e immigrati. Occorre un'attenta e ponderata riflessione sul tema, per evitare accelerazioni su un argomento profondamente delicato e di forte impatto sociale. In questa direzione certamente, la lingua italiana diviene strumento necessario per la conoscenza dei diritti e doveri che sono alla base del nostro vivere civile. E lo diviene anche per i nostri valori, le nostre tradizioni, la nostra cultura e soprattutto le nostre leggi. Conoscenza e massimo rispetto della nostra storia, delle nostre regole, delle nostre tradizioni, della nostra cultura. devono costituire un obbligo assoluto perché diventano presupposto indispensabile per una piena e pacifica convivenza. Queste brevi riflessioni ben manifestano il valore e gli stimoli offerti alle Istituzioni dal progetto qualificato ed originale degli allievi della Scuola di scienza e tecnica della legislazione. A tutti voi corsisti auguro i migliori successi nel prosieguo della vostra vita professionale - sia essa all'interno del Parlamento che presso le altre Istituzioni nelle quali lavorate o lavorerete. Esprimo infine a tutti i membri dell'ISLE, docenti e funzionari, ancora una volta, il più vivo compiacimento per il sapiente contributo offerto alla crescita della qualità della legislazione nel nostro Paese.