Federalismo fiscale: la sfida del Paese
16 Ottobre 2008
Gli elementi che hanno caratterizzato fin qui il processo di federalismo in Italia sono diversi da quelli che hanno caratterizzato assetti costituzionali "classici" dove il federalismo nasce come aggregazione di unità politiche preesistenti.
L'Italia sta conoscendo un processo di riconoscimento delle responsabilità territoriali che segue un percorso inverso, rispetto a quelli, e che dall'alto - vale a dire dallo Stato - si svolge verso le realtà politico-territoriali delle Regioni.
La presenza e la responsabilità finanziaria primaria dello Stato ha potuto garantire fin qui solidarietà ed equa redistribuzione del reddito, in un contesto durato un quarantennio, basato su partiti di massa ideologici - welfare state - centralismo politico e amministrativo.
Questo non è stato il terreno più fecondo per lo sviluppo di una rete di responsabilità di Governo a livello territoriale.
Una richiesta di buon governo è probabilmente alla base della forte domanda politica di decentramento che si è sviluppata in Italia ormai da qualche decennio.
E negli ultimi dieci anni questa spinta ha incominciato a cambiare radicalmente il Paese.
Prima, la riforma costituzionale del 1999 ha donato rango costituzionale all'elezione diretta degli organi di governo della Regione (contestualmente a quelli legislativi), fornendo così una straordinaria ed inedita legittimazione politica agli esecutivi regionali già sperimentata, nel tessuto politico comunale, con l'elezione diretta del Sindaco.
Successivamente la riforma costituzionale del 2001 - pur con alcuni importanti limiti, oggi da tutti riconosciuti, il primo dei quali è l'assenza di una conseguente riforma del bicameralismo - ha conferito agli organi regionali, rafforzati così come ho detto, un'ampia competenza che risulta non solo elencata in un nutrito elenco di importanti materie, ma che è altresì arricchita dal conferimento della competenza residuale generale che spetta alle regioni in assenza di altra e diversa attribuzione.
Risulta chiaramente percepibile, in questo rapido excursus, come il principio di sussidiarietà, che porta le competenze verso il livello più vicino possibile a quella porzione di territorio che ne è coinvolta, pervada e caratterizzi le azioni di politica pubblica e le istituzioni del Paese negli anni più recenti.
Fermo restando il rilevo dei profili di riforma del bicameralismo - sui quali ritornerò in seguito - è evidente che l'elemento che manca a questo processo che, come visto, si sviluppa con forza e decisione è quello di un conseguente assetto dei rapporti fiscali e finanziari.
L'impegno che il progetto governativo di attuazione dell'articolo 119 della Costituzione intende portare avanti è quello di coniugare profili di responsabilità e profili di economia in un insieme coerente che sia insieme capace di coniugare le irrinunciabili priorità di unità del Paese e i profili di un governo più vicino ai cittadini e più responsabile nei loro confronti.
Questa legislatura può essere caratterizzata da un processo di profonda modernizzazione dello Stato ed il federalismo può svilupparsi in tutti i suoi aspetti, da quelli istituzionali a quello fiscale.
Quest'ultimo è nei primi posti dell'agenda politica ed è ormai all'esame del Parlamento, dopo un serio confronto con le regioni e gli enti locali, il disegno di legge predisposto al Governo.
Il provvedimento è il punto di arrivo di un lungo processo di maturazione politica e culturale.
Esso, infatti, si inserisce nel solco aperto dai lavori dell'Alta commissione, nel periodo 2003/2006, e poi, nella scorsa legislatura, dai gruppi di lavoro che condussero al disegno di legge approvato dal Governo Prodi nell'estete del 2007.
Creando il collegamento fra potestà tributaria e potere decisionale e amministrativo in capo al medesimo livello di governo e facendo in modo che sussista un collegamento fra il prelievo fiscale ed i benefici derivanti dall'uso delle risorse pubbliche, entrambi agganciati al territorio, è possibile raggiungere tre risultati, fondamentali per la vitalità della nostra democrazia.
In primo luogo si realizza la responsabilità delle classi politiche regionali e locali davanti ai propri elettori.
Archiviata l'epoca della politica ideologica che ha caratterizzato il 900, solo creando una corrispondenza fra struttura della rappresentanza - potestà tributaria - potere di spesa, è possibile mettere i cittadini nelle condizioni di valutare come sono spese le risorse ottenute con il prelievo tributario e, quindi, rendere funzionanti i circuiti della responsabilità politica.
Solo ritornando al principio basilare del moderno costituzionalismo "no taxation without representation" - solo collegando la struttura del prelievo tributario alla struttura della rappresentanza politica, il cittadino potrà cogliere il nesso tra il sacrificio sopportato a causa del prelievo tributario ed i benefici ottenuti grazie alle politiche pubbliche.
In secondo luogo, si crea un incentivo alla razionalizzazione della spesa e, quindi, all'eliminazione delle pratiche amministrative inefficienti.
Senza federalismo fiscale il trasferimento di poteri verso livelli territoriali di Governo stimola la crescita della spesa, senza finalità di sviluppo.
In terzo luogo, lo spostamento di risorse dallo Stato alle Regioni ed agli Enti locali - reso possibile dallo spostamento della potestà tributaria - riduce conseguentemente le risorse finanziarie disponibili per lo Stato centrale realizzando un nuovo modello organizzativo più equilibrato.
Al contrario, il modello vigente caratterizzato dalla finanza da trasferimento attenua il principio di responsabilità provocando parallelamente un grave spreco di risorse.
Federalismo Istituzionale e federalismo fiscale devono, dunque far parte di un unico grande processo di cambiamento come mai è accaduto nel passato.
Abbiamo vissuto in una contraddizione che, da un lato, spostava il baricentro del potere pubblico verso le Regioni, dall'altro manteneva in piedi un sistema tributario sostanzialmente centralistico ed una finanza regionale che restava fondamentalmente una finanza derivata.
Nelle passate esperienze è mancata la responsabilizzazione dei Governi regionali e locali, che ha conseguentemente portato alla dilatazione della spesa pubblica, mentre non è stato sufficiente lo stimolo al miglioramento dell'efficienza amministrativa.
Oggi, con il disegno di legge promosso dal governo, attraverso il confronto ed il dialogo con le Regioni e le forze politiche e sociali, e grazie al dibattito attento ed approfondito in Parlamento ed ai contributi che ne scaturiranno, offre la possibilità di inaugurare una nuova era politico istituzionale, che trova la sua "norma fondamentale" nel principio di responsabilità.
Quest'ultimo, comunque, dovrà confrontarsi con altri dati strutturali del nostro assetto costituzionale, come il principio di eguaglianza dei cittadini, di tutti i cittadini quale che sia il territorio di residenza.
Principio che, sul piano della struttura federale, si è tradotto nella norma costituzionale secondo cui, in tutto il paese devono essere garantiti i livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali e nella norma secondo cui le Regioni, le Province ed i Comuni devono ricevere entrate sufficienti per finanziare integralmente le funzioni pubbliche loro attribuite.
La conseguenza sul piano delle tecniche del Federalismo fiscale è la necessità di un fondo perequativo destinato ai territori con una minore capacità fiscale per abitante.
Il federalismo fiscale si gioca nell'equilibrio tra le ragioni dell'autonomia e quelle della solidarietà.
Solo così potrà servire a valorizzare il principio di responsabilità ed a garantire l'unità nazionale.
Il federalismo fiscale è un'occasione irrinunciabile per il Mezzogiorno nella misura in cui saprà responsabilizzare l'uso efficiente delle risorse, incluso il Fondo perequativo e gli interventi aggiuntivi previsti dall'art. 119 della Costituzione, ai quali sarà affidato il mantenimento dei livelli essenziali di fruizione, uguale su tutto il territorio nazionale, dei diritti civile e sociali.
Le infrastrutture per la mobilità hanno nel Mezzogiorno un indice pari a 49,4, fatta l'Italia paria 100. Una misura inferiore alla metà di quella analoga ricavabile con riferimento al Centro-nord (115,7).
Criminalità organizzata, tendenza clientelare, sottosviluppo sono il nemico del Mezzogiorno.
Un federalismo fiscale sano, equo e responsabile sarà il suo migliore alleato nella lotta che è necessario intraprendere con decisione per liberarsene.
E' evidente la necessità di sforzo dell'intera classe politica meridionale, dell'imprenditoria e della società.
Ciò che è necessario, ovviamente, è porre in essere comportamenti virtuosi eliminando le spese clientelari e garantendo un uso efficiente e responsabile delle risorse che sono trasferite a titolo di solidarietà alle Regioni con minore capacità fiscale per abitante.
Per questo giustamente il Disegno di legge sul federalismo fiscale abbandona, per determinare il fabbisogno finanziario delle regioni deboli, il criterio della "spesa storica" a favore dei "costi standard", ma, al contempo mantiene fermo il riferimento alla necessità di finanziare per intero il fabbisogno riguardante l'istruzione, la sanità e l'assistenza.
Certamente il parlamento potrà approfondire molti aspetti, come la nozione di "costo standard" che è ancora molto generica, oppure le modalità di determinazione dello stesso fondo perequativo.
Così come andranno studiati gli strumenti che rendano trasparenti e confrontabili - anche attraverso la fissazione di adeguati standard - le prestazioni rese dalle pubbliche amministrazioni, soprattutto nel sud, ed il modo in cui sono impegnate le risorse aggiuntive.
Al contrario andranno definite le sanzioni per chi utilizza male tali risorse e gli incentivi ed i premi per chi è virtuoso. Già nel settore della sanità con l'esperienza dei cosiddetti "piani di rientro" adottati per le regioni con deficit eccessivi, si stanno sperimentando tecniche di questo tipo.
Vi è poi un altro aspetto di cruciale importanza per gli equilibri della nostra democrazia, ed è dato dal ruolo del Parlamento nel nuovo Stato federale.
Serve una Camera delle Autonomie territoriali, autorevole per struttura e per funzioni.
Ho partecipato alla Commissione bicamerale nel 1997, i cui lavori sono l'immediato precedente della novella apportata dalle riforme "pre-federali" del 1999 e del 2001, cui ho fatto prima cenno.
E' ampiamente condiviso che il limite principale di quella stagione di riforme - dal punto di vista dei contenuti, molti dei quali peraltro assai innovativi - è il suo mancato completamento a livello istituzionale centrale.
La riforma della struttura di governo regionale, del 1999, e delle funzioni e competenze, del 2001, hanno sostanzialmente permesso di portare le Regioni e le Autonomie al centro della Repubblica, e in primo luogo in Parlamento.
Il secondo governo Berlusconi tentò, come è noto, di affrontare il problema con la riforma del 2006.
Oggi, pur nel tempo poco passato, si tratta di poco più di due anni, la riflessione politica appare più consapevole della fondamentale importanza di condividere le regole del confronto politico.
Un clima di contrapposizione su questi temi, come fu nel 2001 e nel 2006, non è un'esperienza che possa essere ripetuta ed oggi si può registrare un importante consenso su questo.
Resto convinto che il confronto possa ripartire - in modo aperto e responsabile - dallo sforzo di sintesi del 2005 e dallo spirito che già alla Camera - nella scorsa legislatura - ha presieduto all'avvio di un nuovo dibattito sulla riforma del bicameralismo.
Le diverse soluzioni potranno essere confrontate, l'importante è che l'intendimento comune sia costruttivo.