Il Presidente: Discorsi

In ricordo di Paolo Borsellino

14 Luglio 2009

Onorevoli colleghi,
il 19 luglio 1992, in via D'Amelio a Palermo, la mafia, dopo appena 57 giorni dalla strage di Capaci, tornava a colpire il cuore dello Stato, uccidendo il giudice Paolo Borsellino e gli uomini di scorta della Polizia di Stato Agostino Catalano, Emanuela Loi, Eddie Walter Cosina, Claudio Traina, Vincenzo Li Muli.
Un potente esplosivo collocato all'interno di una Fiat 126 posteggiata dinanzi all'abitazione dell'anziana madre del giudice, seminava in pochi secondi morte e devastazione.
Lo scenario agghiacciante di autovetture in fiamme, di palazzi circostanti la via profondamente danneggiati dagli effetti della deflagrazione, non lasciava margini di dubbio sulla spietata volontà omicida degli attentatori.

Oggi, a distanza di diciassette anni da quel tragico attentato, ricordiamo con grande commozione quei terribili momenti e onoriamo sei servitori dello Stato.
Paolo Borsellino era entrato in magistratura a soli 23 anni, il più giovane giudice d'Italia.
Dapprima Pretore a Mazara del Vallo, poi a Monreale, nel 1975 era stato trasferito all'Ufficio Istruzione di Palermo, e per volontà del Consigliere Istruttore Rocco Chinnici, era entrato a fare parte del pool antimafia, assieme, tra gli altri, a Giovanni Falcone.
Se si possono sintetizzare con poche espressioni le qualità e le caratteristiche che si richiedono ad un magistrato, si deve parlare di profonda conoscenza delle leggi, di rigore, di vera autonomia, di capacità di conoscere la realtà dei fatti di cui ci si occupa e di saperli approfondire con assoluta obiettività, con grande competenza e profonda onestà.

Paolo Borsellino rappresentava tutto questo; era pienamente consapevole della sua funzione di magistrato e della necessità di svolgerla avendo quale unico interesse il bene dello Stato.
Dal momento in cui era stato trasferito a Palermo, aveva iniziato ad occuparsi di criminalità organizzata, accostandosi al tema con grande umiltà ma anche con la ferma determinazione di riuscire a comprendere la struttura ed il modo di agire della mafia, nella piena convinzione che lo Stato e la magistratura dovessero porsi con determinazione dinanzi al fenomeno, dapprima per comprenderlo e quindi per contrastarlo.
Per questo aveva iniziato a svolgere indagini sempre più incisive in un'epoca in cui ancora non erano iniziate le collaborazioni con la giustizia, avvalendosi con grande scrupolo degli strumenti investigativi - ben diversi da quelli attuali - che il codice di allora consentiva.

Proprio in quegli anni aveva visto cadere per mano mafiosa investigatori e magistrati a lui vicini: il vicequestore Boris Giuliano, il capitano Basile, i commissari Montana e Cassarà, il consigliere istruttore Rocco Chinnici, il procuratore Gaetano Costa.
Anni quelli di dolore ma anche di grande volontà di andare avanti accantonando sensi di paura e di smarrimento, per riuscire a rendere libera la Sicilia.
In costante simbiosi con Giovanni Falcone, Paolo Borsellino aveva concorso con la sua attività instancabile alla riuscita del primo maxi processo.
"La gente fa il tifo per noi" aveva detto sentendo che quel processo che si stava organizzando, per la prima volta veniva seguito e sentito dai siciliani come l'inizio di una nuova fase storica.

Finalmente il popolo siciliano iniziava ad avere consapevolezza che la mafia, di fronte alla quale fino ad allora si era acquietata, non fosse più invincibile.
Poi l'esperienza di Borsellino a Marsala come Procuratore della Repubblica e dal 1991 il ritorno a Palermo al posto di Procuratore della Repubblica Aggiunto ricoperto fino alla sua morte.
Borsellino era un magistrato di grande rigore, di grande serietà e professionalità ma anche di grande umanità.
Soleva dire che il giudice deve non solo apparire ma soprattutto essere imparziale, senza mostrare mai all'esterno le proprie ideologie o i propri convincimenti politici. Così, spiegava, il magistrato si rende credibile ed autorevole. E si comportava di conseguenza.

Uomo dai profondi valori religiosi, cattolico fervente e praticante, amava la sua famiglia oltre ogni cosa.
Dedicava ai suoi figli tutti i momenti, seppure brevi, che riusciva a strappare al lavoro.
E amava i giovani, la forza su cui contare per potere cambiare il futuro e le cose. Per questo non smetteva di andare nelle scuole a parlare dei veri valori, a raccontare agli studenti di mafia, dei mafiosi, dei metodi utilizzati per arricchirsi illegalmente, coinvolgendo i giovani con il suo dialogo chiaro e convincente, cercando di renderli partecipi e di fare loro comprendere i pericoli della droga.
E cominciava ad accorgersi che stava per nascere nelle persone una nuova coscienza, che la gente comune così coinvolta, aveva recepito questi sentimenti e intendeva divenire essa stessa protagonista della lotta alla mafia.
Una vita, quella di Paolo Borsellino, interamente vissuta per lo Stato, per gli altri, per la sua terra, per un futuro migliore.

Se oggi le cose cominciano a cambiare, se i risultati costanti nella lotta alla mafia si susseguono con ritmo incalzante, lo dobbiamo ad uomini come Borsellino, come Falcone che hanno tracciato il percorso con il loro lavoro fino all'estremo sacrificio.
Oggi commemoriamo un uomo al servizio dello Stato, della giustizia, delle Istituzioni.
Ricordiamo gli agenti della Polizia di Stato che per proteggerlo hanno sacrificato anche le loro giovani vite.
Emanuela Loi è stata la prima donna della Polizia di Stato ad essere uccisa dalla mafia; assieme a lei gli altri quattro agenti a cui va la nostra commossa riconoscenza.
Il ricordo di Paolo Borsellino, eroe della legalità, e di tutti gli altri martiri caduti per mano mafiosa ha motivato ancor più l'attività antimafia del Parlamento che non è mai stata così ferma e decisa.

Ne sono prova tutti gli interventi legislativi emanati nel tempo e ancora di più quelli recentemente approvati che hanno reso più efficace l'azione dello Stato contro ogni forma di criminalità organizzata.
Anche le prossime leggi in fase di discussione intendono mantenere alta l'attenzione su questo fenomeno, con mezzi sempre più incisivi di contrasto.
Lo Stato ha dimostrato di sapere reagire e lo ha fatto con atti concreti; lo continua a fare.
E su questo tema tutti gli schieramenti hanno sempre collaborato costruttivamente approvando normative sempre più efficaci all'azione di magistratura e forze dell'ordine.
La lotta alla mafia è un patrimonio collettivo dell'intero Paese; è da sempre una priorità condivisa.

Liberare il Sud dalla criminalità mafiosa significa dare respiro all'intero nostro Paese.
Intervenire sull'esportazione illegale di capitali all'estero, impedire fenomeni di riciclaggio, aggredire i patrimoni mafiosi con misure di prevenzione sempre più mirate, colpire l'economia sommersa braccio economico anche della criminalità organizzata, significa rafforzare il nostro mondo produttivo fondato sul vero e onesto lavoro e tutelare concretamente la legalità.
Con questo fermo convincimento, potremo dire di avere onorato la memoria di Paolo Borsellino e di avere contribuito a creare un futuro migliore per le nuove generazioni.



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