Convegno "Le emergenze cerebrovascolari"
9 Ottobre 2009
Autorità, Signore e Signori,
voglio ringraziare gli organizzatori per l'invito rivoltomi ad intervenire a questo importante congresso di medici ed esperti di un settore - la medicina d'urgenza - che rappresenta l'avamposto cardine della Sanità.
Un Convegno internazionale che vede l'autorevole partecipazione dell'Assemblea Nazionale della SIMEU e che assume quest'anno un particolare significato: finalmente, dopo un lungo dibattito, è nata in molte Università d'Italia la scuola di specializzazione di Medicina di Emergenza, la vera prima linea del soccorso immediato al malato.
Spetta alla Medicina d'emergenza il primo inquadramento diagnostico e il primo trattamento delle urgenze mediche, chirurgiche e traumatologiche.
Se fino ai primi mesi del 2009 non esisteva un percorso formativo universitario definito per le specialità in Medicina d'Urgenza-pronto soccorso, dal marzo 2009 la Conferenza Stato-Regioni ha stabilito, con l'assegnazione dei contratti, la concreta istituzione di questa scuola di specializzazione.
Sono già 25 le sedi universitarie che l'hanno attivata in questo anno accademico; le domande di ingresso di neolaureati sono state 800 e sono circa 100 il numero dei contratti assegnati.
La scuola sarà operativa anche a Palermo nel prossimo anno.
E' già stata istituita e ratificata dai competenti organi Universitari, con l'obiettivo di fornire al medico specializzando di questo settore, le conoscenze e gli strumenti indispensabili ad operare come figura di medico dell'emergenza, operante a livello sia intra che extra-ospedaliero.
Alle spalle dei medici di emergenza opereranno tutti gli altri specialisti da lui coordinati e chiamati ad intervenire a garanzia della migliore assistenza per il cittadino affetto da una patologia.
Il rapporto medico-paziente, soprattutto nella medicina d'urgenza, si basa su una relazione fortemente asimmetrica in cui il paziente si affida ad un medico che non conosce e non ha scelto.
A maggior ragione lo Stato oggi ha l'obbligo morale di garantire la formazione di professionisti dell'emergenza motivati e qualificati.
La medicina di emergenza riguarda il primo trattamento delle urgenze e presuppone che il medico sia in possesso di una soddisfacente conoscenza teorica e competenza professionale nel riconoscimento e nel trattamento delle più diffuse patologie.
Si richiede, pertanto, l'acquisizione della metodologia per un approccio globale e unitario alla soluzione di problemi di salute complessi.
E' altrettanto necessario il raggiungimento di una piena autonomia per potere operare nel sistema integrato delle emergenze urgenze.
Sarà, quindi, una scuola di alta specializzazione con insegnamenti specifici che consentiranno al personale medico di acquisire le necessarie esperienze e competenze che si richiedono soprattutto nell'immediatezza di casi drammatici.
Il nuovo modello organizzativo darà alle strutture ospedaliere il ruolo di centro di riferimento per la gestione di tutte le criticità assistenziali.
La rete qualificata e qualificante che si vuole realizzare rappresenta uno degli anelli di congiunzione tra l'assistenza territoriale e l'alta specialità ospedaliera ed un campo di verifica delle capacità di integrazione di grande rilievo sociale, sanitario e organizzativo, e coinvolge sia il personale ospedaliero, sia quello extraospedaliero.
L'obiettivo è la piena formazione di un sistema integrato che presuppone l'omogeneità su tutto il territorio regionale dei livelli di assistenza e dei modelli organizzativi nell'ambito dell'urgenza-emergenza.
Non possiamo, infatti, non rilevare che l'organizzazione e la competenza di questo tipo di sistema fanno la differenza sull'esito dei percorsi clinico assistenziali delle patologie ad alta complessità.
Per questa ragione i servizi di Pronto Soccorso, D.E.A. (Dipartimenti di emergenza e accettazione) di I e II livello, Centrali Operative 118, forze del volontariato, dovranno essere integrati e cooperare fra loro per affrontare e gestire in piena sinergia gli eventi con il trasporto nel più breve tempo possibile del paziente nella sede più idonea.
Siamo di fronte a una problematica di grande complessità che dovrà essere risolta con modelli organizzativi, formativi e linee guida.
Una ottimale integrazione multidisciplinare fra esperienze e competenze diverse è quanto viene auspicato dai cittadini utenti della sanità.
E' una sfida che certamente consentirà nel nostro territorio nazionale ai nostri medici di accelerare i tempi tra l'insorgenza di gravi patologie e l'intervento ospedaliero.
Il tempo viene definito "golden hour" per sottolinearne la grande importanza.
Ridurre il rischio clinico è la vera priorità, perché il traguardo ambizioso dei medici che si occupano di emergenze è proprio quello di ridurre la mortalità e, in caso di sopravvivenza, il coefficiente di disabilità, tanto minore quanto più tempestivi saranno stati i tempi di intervento.
In proposito, così scrive L'Istituto di Medicina di Washington nel 2006: "la qualità e la rapidità delle cure fornite nel relativamente breve periodo di permanenza nel Pronto Soccorso è in grado di tradursi nella differenza tra la vita e la morte o un lungo periodo di disabilità".
I cittadini chiedono la buona sanità. Cosa significa? Quali le aspettative?
La buona sanità è uno dei parametri su cui si misura un paese civile.
Ospedali moderni e ben funzionanti, fondati sull'umanizzazione e aventi come perno il malato; recupero di reparti inadeguati e chiusura di quelli non utilizzabili secondo canoni moderni; tagli degli abusi di farmaci e prestazioni inutili; abbattimento delle liste di attesa; centri unici di prenotazione; rinnovamento del parco tecnologico; severe misure di protezione dal rischio clinico e da eventi avversi; qualità ricettiva dell'ospedalità; idonea prevenzione, con maggiore ruolo alla medicina del territorio e ai medici di famiglia; assistenza agli anziani e disabili e integrazione con il sociale; sviluppo degli hospice e delle cure palliative con attenzione ai malati terminali, secondo quella che oggi si chiama "slow medicine", cioè medicina della serenità; medici e personale sanitario ben preparati: tutto questo fa la buona sanità.
Ruolo centrale deve essere dato alla valorizzazione della meritocrazia - separando la politica dalla gestione amministrativa e professionale, con criteri premiali per i migliori, sviluppando i centri di alta specialità e di eccellenza, a patto che riversino qualità e saperi sul territorio, trasmettendo formazione e metodologia, per non trasformarsi in isole distanti.
Per tutto ciò è necessario disporre di cospicui finanziamenti.
Ingenti somme possono recuperarsi attraverso un rigoroso e intransigente contrasto alla corruzione e alle infiltrazioni mafiose che hanno illegalmente acquisito enormi capitali.
Più volte, nelle relazioni annuali, la Corte dei Conti è intervenuta sulle disfunzioni del sistema sanità e ha valutato in svariati miliardi di euro le cifre che la criminalità organizzata e le opache azioni di corruttela stornano dai finanziamenti pubblici della sanità.
Proprio recentemente la Corte dei Conti, nella relazione sulla finanza locale, ha denunciato un Paese della Sanità spaccato in due: il Nord che riesce a pareggiare i bilanci, il Sud con i conti in rosso.
Raggiungere livelli di eccellenza è una sfida che ogni regione deve raccogliere.
La capacità di chi governa si misura dalla consapevolezza delle esigenze dell'utente e dalla predisposizione di mezzi adeguati a fare fronte alle richieste.
Certo, non possiamo e non dobbiamo sottacere che esistono limiti economici all'interno dei quali vanno affrontate le spese sanitarie, né possiamo dimenticare che a volte si è verificata in alcune regioni d'Italia una sproporzionata eccedenza del budget.
Ma qualunque investimento, qualunque taglio di spesa, devono e non possono non tenere conto di quello che possiamo a ragione definire l'interesse preminente: il bene della salute del cittadino.
Il problema economico è rilevante perché la spesa sanitaria in ogni regione incide più di ogni altro settore della vita civile.
E' di pochi giorni addietro l'intervento del Ministro Sacconi che ha evidenziato che "la sanità rappresenta l'83% della spesa corrente delle regioni e se non c'è capacità di amministrazione ordinaria, non può esserci capacità di gestione straordinaria"
La spesa sanitaria nazionale nel 2008 è stata pari a circa 107,8 miliardi di euro ed è costituita da: oneri per il personale; oneri per l'acquisto di beni e servizi; spesa farmaceutica a carico del SSN; oneri per le convenzioni per l'ospedaliera accreditata.
Il livello della spesa sanitaria nazionale risulta eccedere il finanziamento annualmente stabilito dallo Stato, con conseguenti disavanzi ascrivibili principalmente - considerando i dati regionali - ai sistemi sanitari di Lazio, Campania e Sicilia.
Sono cifre che sono lievitate negli anni a fronte delle quali non sempre è seguito un impegno politico diretto ad una maggiore oculatezza e alla eliminazione degli sprechi.
Purtroppo anche le statistiche attestano l'esistenza del divario tra Nord e Sud, un Paese diviso in due.
Lo conferma il recente studio per il Welfare del laboratorio "managment e sanità" della Scuola Superiore Sant'Anna di Pisa che ha effettuato con una griglia di 29 indicatori di qualità, sulla base degli ultimi anni riferiti al 2007, l'efficienza e la valutazione delle gestioni nel settore della sanità.
I quattro parametri, assistenza ospedaliera, assistenza sul territorio, farmaceutica e assistenza sanitaria e collettiva e di prevenzione hanno evidenziato efficienza e cure migliori al nord dove i conti reggono, bilanci in rosso al sud dove invece la gestione e la qualità dei servizi sono peggiori; un paese spaccato in due.
E ancora, analizzando i dati per ciascuna regione, è evidente la divisione del Paese: mentre nelle regioni più virtuose si colgono i frutti di politiche messe in atto negli ultimi anni, nelle altre di pagano le conseguenze dell'assenza di programmazione e gestione inadeguata.
Soprattutto nel Mezzogiorno vi è una frequenza ancora troppo elevata del ricorso all'ospedalizzazione, indice di una scarsa azione sul territorio basata su prevenzione e cure primarie, con conseguenti sprechi e ricoveri non appropriati.
Anche secondo il Rapporto CENSIS aumenta il divario tra Nord e Sud; il CENSIS utilizza l'indicatore sintetico dell'offerta sanitaria, uno strumento statistico che tiene conto di diversi aspetti: il giudizio dato dai cittadini-utenti al servizio sanitario del proprio territorio, l'offerta ospedaliera, ma anche il numero dei medici di famiglia per 1.000 abitanti, il personale infermieristico e medico del SSN, posti letto per acuti, nonché la modernizzazione delle apparecchiature, la mobilità ospedaliera e l'assistenza territoriale ovvero la presenza sul territorio di consultori materno-infantili, strutture di assistenza agli anziani, di assistenza psichiatrica, di assistenza a disabili.
In base a questi dati emerge che a meritare il punteggio più alto è l'Emilia Romagna (con 67,6), seguita dalla Toscana (62,9) e dal Veneto (55).
In coda alla classifica: Sicilia (14,7), Campania(13,8) e Calabria (9,8).
A ciò si aggiunge il dato preoccupante dei ricoveri annui nelle regioni del Nord, i viaggi della speranza, di pazienti del Sud (oltre 100.000 annui nella sola Sicilia), a conferma di una psicologia non favorevole verso la sanità del Sud.
Sono palesi manifestazioni di disuguaglianza, difformità direttamente o indirettamente, generate da fattori sociali, economici e ambientali.
E sono pienamente condivisibili l'analisi e le proposte del Ministro Sacconi per ridurre questo pesante divario: evitare che la sanità possa essere utilizzata come leva impropria per il consenso elettorale e approvare con celerità il federalismo fiscale.
Il riassetto migliorativo presuppone l'apporto di tutti.
Il coinvolgimento consapevole del cittadino è basilare. Diversamente da quanto possono pensare i cittadini la "questione sanità" non si configura come problema di assetti politici, preminenza partitica, giochi di potere. Il bene del malato deve essere al centro di questa dialettica.
In ogni caso le norme devono essere calate nelle realtà regionali, che presentano forti difformità tra un territorio e l'altro.
Ma soprattutto riorganizzazione e sviluppo devono configurarsi come azioni declinate alla crescita e non come tagli selvaggi finalizzati unicamente al risparmio, pur nella compatibilità della situazione finanziaria.
La sanità è da governare secondo due piani di intervento tecnico e politico.
E' corretto che i tecnici predispongano piani di risparmi, tagli o misure restrittive, secondo canoni economico-finanziari coerenti con le norme e gli indirizzi regionali e nazionali.
Ma successivamente, subentra il primato della politica, che valuta e decide non solo su parametri contabili, ma soprattutto in base a principi ed esigenze più generali, anche sociali, per evitare che si abbia sulla comunità una ricaduta negativa, lesiva del diritto alla salute.
Occorre rimuovere le storture causate da squilibrio tra concezione tecnologica e quella antropologica della medicina.
E che portano a parlare di "malasanità", con l'aumento del rischio clinico.
Viene da pensare che l'errore in medicina, che sempre più spesso è attribuito solamente al medico, sia in realtà errore di sistema, sia dovuto a carenze strutturali, a deficit tecnologici.
O ancora che sia attribuibile a insufficienze nella catena gestionale o nelle scelte politiche supportate da valutazioni che, se da un lato e in astratto possono essere adottate per fini economici teoricamente lodevoli, dall'altro certamente, proprio in relazione alla situazione geografica di regioni in cui vengono impiegate, alla fine penalizzano gli utenti della sanità.
I malati sempre più si rivolgono alle sedi giudiziarie per chiedere che vengano accertate responsabilità dei medici che reputano gli unici responsabili in caso di malasanità.
E sempre più numerosi sono i casi di conseguenze penali a carico dei sanitari, con interminabile calvario giudiziario, quando invece le responsabilità dovrebbero essere imputate a errori di strutture o ad altro.
Aumenta, di conseguenza, il fenomeno della medicina "difensiva", vale a dire la prescrizione di farmaci ed esami diagnostici e strumentali inutili o ripetitivi, il ricovero in ospedali di pazienti che possono essere curati in laboratorio, il rinvio o la non effettuazione di interventi chirurgici a rischio troppo elevato.
Tutto questo si traduce in un aggravio di costi per il Servizio sanitario e quindi per tutti i cittadini e in ogni caso si concretizza in un danno spesso grave per il malato.
Tutto questo rompe il patto millenario tra medico e malato e stravolge il concetto della medicina che è ben altro.
Una corretta gestione della sanità richiede l'abbandono di sprechi, richiede rigore e contenimento dei costi.
Ma l'efficienza sanitaria significa anche tutela del rischio clinico.
I due principi devono essere coniugati in parallelo non dimenticando comunque che obiettivo primario è la tutela della salute di ogni singolo cittadino.
Occorre allora fare attenzione per non rischiare di alterare questo equilibrio.
Il contenimento dei costi nella sanità non deve mai allontanarsi dal rigoroso rispetto e dalla tutela del rischio clinico al quale il paziente è quotidianamente sottoposto, in modo tale da assicurargli assistenza tempestiva qualificata ed efficiente attraverso il mantenimento di modelli strutturali adeguati a tali obiettivi.
I modelli strutturali che non rispondessero a tali requisiti rischiano di costituire un vulnus per la tutela della salute del cittadino, per cui occorre una coraggiosa scelta di campo: apertura all'utenza in stato di efficienza o chiusura.
In sostanza, tenere in vita un ospedale non in grado di assolvere alle sue funzioni di pronta accoglienza del paziente, espone la Sanità pubblica ospedaliera a rischi e pericolo.
Come quelli, ad esempio, che emergerebbero dalla Relazione preliminare redatta sulla nota vicenda dell'ospedale di Mazzarino dal relatore della COMMISSIONE PARLAMENTARE D'INCHIESTA SUGLI ERRORI IN CAMPO SANITARIO E SULLE CAUSE DEI DISAVANZI SANITARI REGIONALI istituita presso la Camera dei Deputati.
Tale Organismo procede alle indagini con gli stessi poteri e le stesse limitazioni dell'Autorità Giudiziaria, ai sensi dell'art. 82 della Costituzione.
Una delegazione di questa Commissione si è recata, infatti, sui luoghi.
Il relatore rileva che con decreto del 15 giugno 2009 l'Assessore alla Sanità della regione siciliana, in attuazione del piano di conversione della rete ospedaliera e del territorio, aveva ordinato la cessazione delle funzioni di acuzie per lo stabilimento Santo Stefano di Mazzarino con direttive finalizzate a disattivare le funzioni di assistenza ospedaliera in quel presidio entro e non oltre il 31 agosto 2009.
La Relazione rileva: " Si deve però evidenziare che, se un ospedale viene tenuto attivo ed aperto sino ad una data prestabilita (in questo caso 31 agosto 2009), la struttura dovrebbe risultare aperta e operativa nella sua completezza, e per qualunque emergenza, sino alla data stabilita".
Aggiunge il relatore: "Così non è stato per il presidio "Santo Stefano" di Mazzarino, in relazione al quale risulta che svariati contratti di collaborazione con professionalità mediche e chirurgiche erano già stati a vario titolo disapplicati prima di quella data.
Essi sono stati di seguito rinnovati, sino al dicembre 2009, ma solo posteriormente agli eventi oggetto della presente relazione".
Ancora si legge che "il chirurgo, in occasione del soccorso prestato al giovane di Mazzarino, era consapevole dell'assenza, in quella struttura, di un consulente vascolare, nonché dell'impossibilità di intervenire lui stesso d'urgenza sul paziente ferito in sala operatoria, non operativa per le emergenze!"
Queste considerazioni contrastano con quanto emerge dalla Relazione Preliminare di accesso presso gli ospedali di Mazzarino e Caltanissetta degli Ispettori dell'Assessorato Regionale alla Sanità che riporta la stessa cronologia dei fatti evidenziando, tuttavia, come la sala operatoria dell'ospedale di Mazzarino fosse in piena efficienza anche per gli interventi chirurgici in emergenza.
Conosciamo tutti gli esiti della vicenda: il giovane decedeva qualche ora dopo l'arrivo al nosocomio di Caltanissetta, presso il quale la predetta Commissione Parlamentare d'inchiesta ha segnalato anomalie, diagnosi e procedure terapeutiche inadeguate ad una felice soluzione del caso.
Queste sono alcune prime conclusioni cui è pervenuto il relatore della Commissione parlamentare d'inchiesta: "E' necessario ed imperativo anche riflettere sul fatto che se il primo presidio ospedaliero (quello di Santo Stefano di Mazzarino), che come si è visto ha accolto tempestivamente il paziente, fosse stato in efficienza e in completo servizio, con la sala operatoria attiva e comunque attivabile per le emergenze diurne e notturne (come dovrebbe essere in ogni struttura sanitaria "aperta"), gli esiti della vicenda sarebbero stati probabilmente diversi.
Al riguardo si deve anche considerare che in quella sede era stata formulata la diagnosi corretta di ipovolemia nei confronti del paziente, dovuta alla lacerazione dell'arteria tibiale anteriore, che è stata poi la causa della morte del paziente stesso.
Un intervento operatorio ed un'assistenza rianimatoria eseguiti nell'ora successiva all'incidente stradale avrebbe sicuramente favorito un esito diverso, forse opposto, della vicenda in esame".
Sono considerazioni che certamente impongono a tutti noi che operiamo per il bene degli altri, una seria riflessione: se l'ospedale è aperto all'utenza, deve essere in grado di adempiere alla propria funzione, altrimenti va chiuso.
Ecco perché, ribadisco ancora una volta, occorre trovare sempre un punto di equilibrio tra qualunque politica di rigore dei costi, con l'attuazione di modelli di efficienza organizzativa e professionale cui affidare con efficacia la gestione del rischio clinico.
La salute, dalla prevenzione, alla diagnosi, alla cura, è un bene primario e un diritto inalienabile tutelato dalla Costituzione e non può essere ancorata solo ad obiettivi economico-amministrativi.
Sino ad oggi si sono create illusioni, disillusioni, speranze e drammi.
La sanità non è assolutamente paragonabile ad un'impresa che produce beni di consumo.
Lodevoli motivazioni economiche e di obbligatorio contenimento dei costi possono essere causa di una deriva umiliante della professione medica e del malato.
Nel mondo della sanità, ove il grado di efficienza degli ospedali è rimesso a criteri matematici, che poco hanno a che fare con la salute del paziente, non bisogna mai cedere alla tentazione di affievolire la qualità del servizio in nome dell'efficienza.
Senza umanesimo e valori, l'economia in sanità rischia di dominare la medicina; invece ogni progetto deve essere fondato su etica e alti valori.
La medicina non è una semplice disciplina naturalistica, né può essere considerata una comune scienza applicata.
Nel tempo della prevalenza della gestione amministrativa della sanità e della tecnica, torna il bisogno di punti fermi di riferimento a favore del soggetto debole e infermo.
Un vero e proprio progetto antropologico: la necessità di farsi carico dei problemi del paziente; la comprensione del significato della malattia da parte dei malati e delle famiglie; sapere ascoltare, sapere comunicare; la capacità di mettersi in relazione con i pazienti anche con i silenzi e i gesti.
La sofferenza non è mai solo una questione fisica, ma coinvolge corporeità e spiritualità.
Per questo, dalle diagnosi alle terapie, dalla ricerca alle sue molteplici applicazioni, vanno sempre salvaguardati e osservati i perenni valori etici della medicina, considerata ed esercitata come pieno e integrale servizio alla vita e alla dignità della persona umana.
E' la vicinanza nel dolore che deve orientare ogni scelta di chi ha veramente a cuore la salute dei cittadini.
Occorre rivendicare il primato della persona quale soggetto abbisognevole di cure che vadano anche al di là dell'aspetto terapeutico, investendo anche il campo della solidarietà umana.
In ogni modello sanitario l'essere umano occupa il primo posto.
Ogni politica, anche quella di gestione, deve sforzarsi di porre al centro della propria missione il paziente, non dimenticando come il diritto alla salute sia un valore essenziale e irrinunciabile nella scala dei valori della nostra società.