Sul 60° anniversario della Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo
10 Dicembre 2008
Onorevoli colleghi, «Il riconoscimento della dignità inerente a tutti i membri della famiglia umana e dei loro diritti, uguali e inalienabili, costituisce il fondamento della libertà, della giustizia e della pace nel mondo».
Con questa affermazione si apre la Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo, di cui ricorre oggi il 60° anniversario.
Subito dopo, la Dichiarazione ricorda «che il disconoscimento e il disprezzo dei diritti umani hanno portato ad atti di barbarie che offendono la coscienza dell'umanità».
La dichiarazione che oggi celebriamo non nasce dunque da un pensiero astratto, da un ideale assoluto, ma si radica nella tragica lezione della storia: l'offesa portata dal totalitarismo alla "coscienza dell'umanità".
In questo clima l'Assemblea costituente approvò la nostra Carta fondamentale, di cui sempre quest'anno abbiamo celebrato il 60° anniversario.
La nostra, come le altre Costituzioni del dopoguerra, si apre con il riconoscimento e la garanzia dei diritti inviolabili dell'uomo, con l'affermazione della pace come valore da promuovere. La nostra, come le altre Costituzioni europee del dopoguerra, fissa poi quel principio di apertura al diritto e alle organizzazioni internazionali che segna uno spartiacque fondamentale nella storia e nella natura stessa dei nostri Stati.
La sovranità non equivale più a onnipotenza.
Viene superata quella carica ideologica che aveva portato ai conflitti che hanno insanguinato il Novecento.
Su queste fondamenta si è sviluppato il processo di integrazione europea che ha ricomposto il nostro continente, dilaniato nei secoli da guerre, in un unico spazio di sicurezza, libertà e giustizia.
Oggi, celebrando la Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo, una volta di più dobbiamo ricordare, specie ai più giovani, la forza e il valore di questi principi che costituiscono il fondamento della nostra convivenza, in Italia, in Europa e nel mondo.
Con orgoglio dobbiamo rivendicare l'azione che il nostro Paese conduce nella comunità internazionale a favore della promozione e della tutela dei diritti umani, nella convinzione, così chiaramente scritta nella nostra Carta costituzionale, che il loro rispetto costituisce un valore essenziale e al contempo condizione indispensabile per garantire pace e giustizia.
Dieci anni fa qui a Roma abbiamo ospitato la Conferenza che ha adottato lo Statuto della Corte penale internazionale; italiana è stata l'iniziativa della campagna per la moratoria della pena di morte all'Assemblea generale delle Nazioni Unite a tutela del diritto - quello alla vita - più sacro e inviolabile. Ed ho appreso con piacere dal neo Presidente della Commissione diritti umani, il collega Marcenaro, che la Commissione stessa inizierà i propri lavori proprio nella giornata odierna.
Oggi, colleghi, di fronte a nuovi «atti di barbarie che offendono la coscienza dell'umanità», alla cieca violenza del terrorismo, alle violenze che feriscono la libertà religiosa (e non posso non ricordare qui in Senato la mozione che poche settimane fa abbiamo insieme approvato sulle terribili violenze contro i Cristiani), dobbiamo ricordare una volta di più la scelta di valore che l'Assemblea generale delle Nazioni Unite fece 60 anni fa, proclamando, come la più alta aspirazione dell'uomo, «l'avvento di un mondo in cui gli esseri umani godano della libertà di parola e di credo e della libertà dal timore e dal bisogno».
Che questo possa avverarsi, in un mondo che ha il dovere di credere ancora nelle ragioni della speranza, è l'auspicio - ne sono certo - di tutto il Senato. (Generali applausi).