Sussidiarietà: nuova dimensione della libertà tra responsabilità e solidarietà
4 Febbraio 2010
Autorità, Signore e Signori,
desidero rivolgere un caro saluto a Giorgio Vittadini che ancora una volta realizza con impegno ed efficacia iniziative di assoluto valore per contribuire alla crescita di tutto il Paese.
Un cordiale saluto alle Autorità, agli organizzatori, a quanti interverranno e a tutti i presenti.
Viene oggi presentato il Rapporto sulla sussidiarietà 2009 che approfondisce uno dei profili da sempre ritenuti essenziali per la comprensione delle dinamiche di ammodernamento e sviluppo dell'intero sistema Paese: la Pubblica Amministrazione Locale.
L'indagine curata da Carlo Lauro e Lorenza Violini merita un particolare e convinto apprezzamento: innanzitutto per il rigore e la puntualità dei dati raccolti, delle loro proiezioni statistiche, per i criteri di quantificazione e valutazione assunti; nonché in secondo luogo, per la precisione con la quale ogni elemento oggettivo viene inserito all'interno di una valutazione complessiva, estremamente concreta, mai generale ed astratta, eppure sempre capace di delineare le linee essenziali di sistema.
L'indagine che oggi viene presentata non rappresenta inoltre un evento di natura episodica. Si inserisce invece all'interno di un percorso di approfondimenti dove la parola sussidiarietà, da mera nozione o concetto, quasi una sorta di vocabolario facilmente accessibile, a tratti abusato, diventa "sintassi", cioè costruzione logica, coerente nelle sue premesse e nelle sue conclusioni. Il riferimento alla Pubblica Amministrazione Locale è l'ultima tappa di una serie di approfondimenti che hanno riguardato, nell'ordine: l'educazione, le riforme istituzionali, le piccole e medie imprese.
I lavori che la Fondazione per la Sussidiarietà ha meritoriamente realizzato fin dalla data della sua costituzione nel 2002 rappresentano pertanto una punta avanzata nel tentativo di individuare i risvolti concreti e più immediatamente percepibili dalla cittadinanza di quelle tematiche generali che appaiono ancor oggi di primario rilievo.
La Pubblica Amministrazione Locale rappresenta il terminale istituzionale in assoluto più vicino ai bisogni dei singoli cittadini, una sorta di manifestazione immediata del potere dello Stato in una società complessa e globalizzata come la nostra.
La Pubblica Amministrazione Locale è l'espressione sia della dimensione verticale sia della dimensione orizzontale delle istituzioni democratiche. Infatti è l'apparato più decentrato a rappresentare per i cittadini l'elemento di raccordo tra il libero esercizio delle loro libertà individuali e le esigenze della comunità. Ed è allo stesso tempo il punto di raccordo tra la dimensione istituzionale più ampia - quella europea, quella statale, quella regionale - e il libero svolgimento delle persone all'interno delle associazioni e aggregazioni sociali.
La Pubblica Amministrazione Locale è pertanto posta di fronte alla possibilità di "chiedere" e, allo stesso tempo, alla potenzialità di "essere richiesta" come fattore decisivo per la soluzione dei problemi emergenti.
Alludo in particolare al tema occupazionale. La chiusura di alcune realtà produttive dislocate nel territorio rappresenta un banco di prova per tutte le istituzioni, gli imprenditori, i lavoratori e le loro famiglie.
Non è pensabile che a fronte di un impegno costante dello Stato nei confronti di realtà produttive, quali l'industria automobilistica e metallurgica, pur nella difficile crisi economica che attanaglia le economie di tutto il mondo, si assista alla progressiva dismissione di stabilimenti che rappresentano, in alcune aree storicamente ancora più fragili, quali la Fiat di Termini Imerese e l'ALCOA di Portovesme, un vero e proprio presidio sociale.
Agli operai di questi siti che rischiano il posto di lavoro, va tutta la nostra solidarietà e vicinanza nella loro battaglia per la difesa di un bene primario di così grande rilevanza sociale.
A fronte di un impegno delle Istituzioni che nel tempo hanno concesso forme di agevolazione, investimento, incentivo, non si può rispondere con il disimpegno.
Serve con coraggio rilanciare proprio in alcune aree depresse un duraturo sviluppo economico ed occupazionale, poiché la salvaguardia dei redditi più deboli è sempre garanzia della legalità e sicurezza dei cittadini.
In particolare in Sicilia l'occupazione è la prima ed irrinunciabile risposta dello Stato e della società al giogo della mafia, che si avvale, sfrutta, ricatta i lavoratori e le loro famiglie, utilizzandoli al pari di merce di scambio con i propri interessi criminali.
Il mio è un appello accorato alla Fiat ma non solo, è a tutte le Istituzioni. E' una richiesta da uomo del sud che ben conosce gli ulteriori pericoli della disoccupazione per lavoratori che vivono in territori dove purtroppo esiste ancora la criminalità organizzata.
E' necessario salvare quei posti di lavoro. Mi permetto di fare appello all'etica non solo delle Istituzioni, ma anche della politica industriale.
In un momento in cui stiamo superando la più grande crisi economica del dopoguerra, dobbiamo chiedere alle imprese un ulteriore e più intenso senso di responsabilità sociale.
L'aspetto occupazionale, ora come non mai, assume alta rilevanza sociale.
Bisogna avere il coraggio di dire basta ad elargizioni statali se non vengono salvaguardati i posti di lavoro e i presidi industriali.
Occorre fermare la logica degli incentivi se non è seguita da un'attenta e forte politica delle imprese che esalti e tuteli l'occupazione.
Gli aiuti dello Stato vanno erogati solo se le aziende rispettano questo preciso dovere etico.
Il patrimonio industriale e produttivo della Fiat di Termini Imerese deve essere salvato; non dobbiamo e non possiamo disattendere questo impegno morale.
Così come per l'Alcoa, ci attendiamo da parte della Commissione Europea un via libera al provvedimento adottato dal Governo ed all'esame del Senato, finalizzato ad agevolare in termini economici il mantenimento nel nostro Paese di quel presidio industriale a capitale estero.
Anche l'Europa, infatti, non deve arroccarsi su mere regole ragionieristiche che guardino esclusivamente al profitto industriale.
La libertà del mercato, a volte, deve misurarsi con la tutela dell'imprescindibile valore sociale del lavoro e della sua salvaguardia.
Sia ben chiaro: questo non significa in alcun modo che lo Stato, come in anni ormai lontani, voglia porsi come guida primaria della politica economica e sociale, al cui volere i soggetti economici, finanziari ed industriali debbano subordinare le proprie scelte.
Quelle esperienze sono ormai lontane e superate. Quello che invece si richiede è una comune responsabilità, dello Stato e degli altri soggetti nella gestione dei processi di sviluppo.
E ciò nello stesso interesse del mondo economico, in quanto un Paese in cui la ricerca e l'investimento - pubblico e privato - sono finalizzati al consolidamento e allo sviluppo dei livelli occupazionali, e quindi dei redditi e dei consumi, è un Paese in cui il progresso non può che essere più forte e duraturo.
Dare lavoro è realizzare nel concreto un codice etico di rispetto della persona, e delle sue prioritarie esigenze individuali e collettive. Come ha sostenuto il Santo Padre Benedetto XVI, "la crisi economica sta causando la perdita di numerosi posti di lavoro, e questa situazione richiede grande senso di responsabilità da parte di tutti: imprenditori, lavoratori, governanti".
Ciascuno deve concretamente adoperarsi affinché "sia fatto tutto il possibile per tutelare e far crescere l'occupazione, assicurando un lavoro dignitoso e adeguato al sostentamento delle famiglie".
Chi ha molto ricevuto è moralmente tenuto a dare con impegno generoso soprattutto nei momenti di crisi.
La Pubblica Amministrazione Locale e gli Enti territoriali sono pertanto pienamente legittimati a chiedere, pretendere e ottenere risorse ed investimenti, pubblici e privati, necessari al rilancio strategico delle aree depresse e più deboli del Paese.
Sussidiarietà significa allora in concreto saper coniugare la libertà individuale, la stessa libertà d'impresa, con le esigenze primarie della solidarietà e della responsabilità. Si tratta di recuperare e affermare la dimensione etica dell'agire quotidiano, che passa attraverso la piena consapevolezza e partecipazione del destino degli altri, attraverso il riconoscimento del valore centrale della persona e la realizzazione di politiche concrete capaci di soccorrere, aiutare, supportare i cittadini e le famiglie in difficoltà. Solo attraverso la promozione e il sostegno dei più deboli una comunità può rimanere coesa e libera. Dove viene meno anche il pane quotidiano, nuove forme di materialismo ed utilitarismo possono portare alla alienazione, allo sfruttamento criminale, alla sopraffazione, alla violenza del più forte su chi chiede aiuto.
Non basta parlare dei disoccupati, serve parlare con i disoccupati per dare loro una vera speranza. Ciascuno di noi si deve sentire arricchito dall'incontro con il più debole, l'emarginato, l'escluso. Nessuno deve sottrarsi al dovere della condivisione e della partecipazione ai drammi di chi all'improvviso non ha più certezze per il proprio avvenire. Questa solitudine è la tristezza del povero verso il quale ciascuno di noi deve sentirsi debitore di qualcosa. Nessuno può restare indifferente.
La parola sussidiarietà assume allora un significato preciso di fronte ai processi riformatori in atto. Quelle che Lorenza Violini e Giorgio Vittadini indicano come "le parole d'ordine" del movimento riformatore di questi anni, ossia "decentrare, semplificare, privatizzare" possono conservare una valenza positiva a patto che il principio di sussidiarietà ad esse sotteso non diventi una forma celata o surrettizia di deresponsabilizzazione dei singoli cittadini e delle Istituzioni.
Oggi sarebbe irresponsabile spacciare la delocalizzazione come decentramento. Ed altrettanto irresponsabile sarebbe fraintendere la semplificazione come mera cancellazione degli interessi del più debole. Ed infine sarebbe del tutto irresponsabile confondere la privatizzazione con l'abbandono di quegli interessi pubblici fondamentali di un moderno Stato democratico.
Decentrare, semplificare, privatizzare, senza una prospettiva etica di sviluppo integrale della persona altro non sarebbe che sinonimo di nascondere, voltare lo sguardo dall'altra parte. Lo stesso pluralismo istituzionale si tradurrebbe in relativismo, marchingegno svuotato di ogni valore.
Ciascuno di noi è chiamato a riconoscersi nella vita reale delle persone. Anche le autonomie locali, in tale prospettiva, rappresentano, con le parole di Carlo Esposito, la "vita effettiva [...] nella vita dello Stato"; "non hanno rilievo solo per la organizzazione amministrativa, ma incidono in profondità nella struttura interiore dello Stato". In altre parole diventano "espressione, modo di essere, garanzia di democrazia e di libertà".