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FERRARIS Galileo

  







   Indice dell'Attività Parlamentare   

   Fascicolo personale   


    .:: Dati anagrafici ::.

Data di nascita:10/30/1847
Luogo di nascita:LIVORNO PIEMONTE (Vercelli) - oggi LIVORNO FERRARIS (Vercelli)
Data del decesso:07/02/1897
Luogo di decesso:TORINO
Padre:Luigi
Madre:MESSIA Antonia
Coniuge:Celibe
Fratelli:Giuseppa
Adamo
Angela
Teresa, che sposò Francesco BOTTO ed era madre di Luigia, Angela, Giovanni, Ugo, Carlo Guido
Innocenzo
Ugo
Parenti:FERRARIS Carlo, zio, fratello del padre
Titoli di studio:Laurea in ingegneria civile
Presso:Scuola d'applicazione per gli ingegneri di Torino [Politecnico di Torino]
Professione:Docente universitario
Altre professioni:Ingegnere
Carriera giovanile / cariche minori:
Carriera:Professore ordinario di Fisica tecnica al Museo industriale di Torino, poi Istituto di istruzione superiore industriale (2 novembre 1879-7 febbraio 1897)
Professore titolare di Fisica generale alla Scuola di guerra di Torino (febbraio 1884)
Cariche amministrative:Consigliere comunale di Torino (16 giugno 1887-1897)
Assessore comunale di Torino all'illuminazione pubblica (assessore supplente, 29 ottobre 1888) (assessore effettivo, 22 novembre 1889-1895)
Consigliere comunale di Livorno Piemonte (21 luglio 1895-7 febbraio 1897)
Cariche e titoli: Direttore del Laboratorio di elettrotecnica del Museo industriale di Torino
Membro della Società operaia di mutuo soccorso di Livorno (1885)
Membro del Comitato di sorveglianza dell'Istituto industriale professionale femminile di Torino (1887) (n.d.r denominato Maria Laetitia e poi con la fusione con la Scuola superiore "Margherita di Savoia", Istituto superiore di studi femminili)
Fondatore della Scuola di elettrotecnica presso il Museo industriale italiano (14 novembre 1888), poi incorporata nel Politecnico di Torino
Direttore della Scuola di elettrotecnica presso il Museo industriale italiano (16 dicembre 1888)
Membro del Consiglio direttivo del Liceo musicale di Torino (febbraio 1892-7 febbraio 1897)
Presidente della Commissione superiore metrica italiana (gennaio 1897)
Membro della Società degli ingegneri e degli architetti di Torino (4 gennaio 1871)
Presidente della Società degli ingegneri e degli architetti di Torino (dicembre 1895-7 febbraio 1897)
Socio ordinario dell'Accademia d'agricoltura di Torino (3 febbraio 1880)
Socio nazionale dell'Accademia delle scienze di Torino (23 dicembre 1880)
Membro corrispondente dell'Istituto veneto di scienze, lettere e arti di Venezia (16 giugno 1889)
Socio ordinario del Club alpino italiano (CAI) (12 dicembre 1890)
Socio corrispondente dell'Accademia dei Lincei di Roma (18 luglio 1891)
Socio nazionale dell'Accademia dei Lincei di Roma (4 agosto 1892)
Membro della Società italiana delle scienze, detta dei XL (30 ottobre 1892)
Socio dell'Accademia nazionale di scienze, lettere ed arti di Modena (1896)
Fondatore e presidente dell'Associazione elettrotecnica italiana (AEI) (27 dicembre 1896)

    .:: Nomina a senatore ::.

Nomina:10/25/1896
Categoria:18 I membri della Regia accademia delle scienze
dopo sette anni di nomina
Relatore:Salvatore Majorana Calatabiano
Convalida:01/12/1896
Giuramento:02/12/1896

    .:: Onorificenze ::.

Cavaliere dell'Ordine dei SS. Maurizio e Lazzaro 5 novembre 1884
Ufficiale dell'Ordine dei SS. Maurizio e Lazzaro 11 giugno 1885
Commendatore dell'Ordine della Corona di Prussia 2 maggio 1892
Commendatore dell'Ordine della Corona d'Italia
Commendatore dell'Ordine di Francesco Giuseppe (Austria)


    .:: Atti parlamentari - Commemorazione ::.

Domenico Farini, Presidente
      Addì 7 del mese di febbraio moriva a Torino il professore Galileo Ferraris. Non ancora cinquantenne, per essere nato a Livorno Vercellese il 3 ottobre 1847 [sic], aveva conquistata fama mondiale. Senatore per decreto dell'ottobre scorso, la scelta era stata suffragata dal plauso di quanti pregiano altezza d'ingegno e d'animo.
      D'ogni maggiore onore, natura l'aveva fatto degno.
      Sortito d'una di quelle famiglie la cui condizione mezzana serba e mostra tutto il nativo vigore del tronco onde si alzò e, emersa d'in fra la folla, ha già superato il più rude ostacolo a più alta meta; studio, mente e volontà lo fecero grande.
      Ingegnere laureato nell'Università torinese, in giovine età aggregato alla Facoltà di scienze fisiche e matematiche, socio dell'Accademia delle scienze, di quella dei Lincei e di altre nostrane e forastiere, il forte e lucido suo ingegno splendeva, oltreché per il preciso concepire, di eccezionale nitidezza nell'esporre. Da questo procedette la prima notorietà acquistata, o si travagliasse nei più astrusi problemi della matematica, o sui principi dell'acustica e dell'ottica e le applicazioni loro scrivesse, o la fisica insegnasse. A Torino professore di fisica generale alla Scuola di guerra, di fisica tecnologica al Museo industriale e creatore della Scuola e del laboratorio di elettrotecnica aggiuntavi, nell'insegnamento mise l'anima dell'anima sua.
      Parola propria, discorso esatto, ragionare semplice ed a filo tale da renderne evidenti le conclusioni, infaticata industria di spiegare ogni più difficile teoria, di dimostrare ogni legge, ogni fenomeno con il minore sussidio di calcoli o di formole trascendentali, aprirono a più d'uno larghi e chiari orizzonti da nebbie arcane prima ravvolti e preclusi. Tutti nella scuola pendevano dal suo labbro: tutti dalla ingenuità, dalla soavità dei suoi modi erano attratti ed avvinti. L'insegnamento dell'elettrotecnica, le scoperte, le applicazioni dell'elettricità lo levarono in grande rinomanza.
      Di questi fluidi, di questa forza della quale noi ammiriamo le prime maraviglie e che forse muterà faccia all'avvenire, egli intuì, scoperse nuove leggi, feconde di applicazioni importantissime, non per sorriso del caso, ma per induzione di calcolo sapiente (Bene); maggiore fra tutte quella sulla quale si fondano gli attuali motori elettrici con forza generata a grandi distanze. Così la scienza, della quale le scoperte immortali di Galvani e Volta un secolo addietro preparavano i progressi odierni, operò nuovi prodigi per virtù di un altro genio italiano! (Benissimo).
      Immune da rivalità, incurioso, inconscio della propria grandezza, l'egoismo od il tornaconto non lo tormentarono: l'amore della scienza non appannò con l'avidità d'ammassare ricchezze, non imbrattò col soddisfacimento di nessun volgare interesse.
      Come fra i dotti, così in privato e nella vita pubblica. Torino ve lo aveva avviato noverandolo fra gli amministratori del comune, con ottimo effetto. Quel tirocinio lo palesava a chiunque non albagioso per il bel nome e per le universali lodi, spinto da memore affetto verso ogni immegliamento sociale: gli istituti civili promosse; lo zelo cittadino onde ferveva ne mostrò patentemente l'insieme dei nobili sentimenti e delle promettenti attitudini. Gli uni e le altre si manifestavano con parole e con atti mantenuti sempre nelle serene altezze, dove il suo spirito soleva poggiare e spaziare; operava e discorreva con animo intento al bene, acceso d'un fuoco che dagli occhi profondi sfavillava. Il suo aspetto di asceta nell'ansiosa contemplazione, nella ferma ricerca del bello, del buono, del vero si trasfigurava; il nobile sentire ne colorava allora la parola con poetici fulgori. (Bene).
      E tanto ingegno, e tanto animo furono spenti nel pieno rigoglio: e la morte d'un tratto li schiantò, mentre la scienza ne attendeva sicura altri trionfi, e la cosa pubblica a buon diritto maggiori servizi se ne riprometteva (Bene).
      Vercelli, Torino, Livorno Vercellese, testé andate a gara nel festeggiarlo senatore, con emula mestizia lo piansero estinto: lieti onori ahi! troppo presto mutati in triste lutto.
      Ma il valoroso, che destino avverso troncò nel meglio dell'esistenza, lascia dopo di sé memoria e beneficio che non si sperderanno. Gli sopravvive il monumento che fondando la Scuola d'elettrotecnica egli a se stesso eresse nella metropoli piemontese; gli sopraviveranno le scoperte immortali, a gloria del nome suo e della patria. (Benissimo - Applausi). [...]
      FALDELLA. Domando di parlare.
      PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
      FALDELLA. Le magnifiche parole con cui l’eccellentissimo nostro Presidente ritraeva la vita ed onorava la memoria del nostro giovane collega Galileo Ferraris, fecero palpitare specialmente il cuore a me, che gli ero legato dalla comunanza del mandamento natio e dalla più riconoscente amicizia.
      Nominato senatore, proprio d’accosto a lui, confuso dalla bontà dei nostri conterranei nella stesse onoranze a lui tributate, io fui colpito dalla sua morte, come se un fulmine mi avesse portato via un amico, un fratello, con cui camminavo a braccetto.
      Ora con l’animo tuttavia lacerato dal dolore, a nome delle nostre terre, devo ringraziare l’eccelso Presidente di averne illustrata l’immagine scientifica ed umana. Al ritratto datone dal nostro Presidente nulla si aggiunge, nulla si appulcra. Egli tutta riferì la benemerenza sapiente, tutta scolpì l’altezza morale di Galileo Ferraris; il quale, se proseguendo, combinando con lo studio indefesso e col genio inventivo le leggi dei suoni, dei colori, dei movimenti eterei, donava all’umanità scoperte, per cui meglio si diffonde il beneficio della luce artificiale e quasi si imprime un moto perpetuo all’energia elettrica, non minore beneficio apportava con la vibrazione morale dell’anima sua, propagando la luce della bontà e della virtù, con la consacrazione genuina e invitta agli ideali, con la commovente modestia con la illibata e geniale condotta, col labbro affascinante e castigato.
      Alla commemorazione fatta dal nostro Presidente nulla si aggiunge, nulla si appulcra.
      Ma, poiché era volere di Dio che io parlassi per la prima volta in questa augusta Assemblea col rimpianto del fraterno amico, e poiché Iddio disperse il suo nobile proposito di lavorare pure indefessamente in questo Senato, che egli chiamava il più grande laboratorio della patria, permettete che per la patria io qui citi e rechi alcune gemma del suo dire cor mentale, che egli sparse nell’umile mia terra, quando vi si inaugurava il ricordo marmoreo del padre glorioso del nostro Presidente. In quel giorno Galileo Ferraris, con quel sentimento di poesia intima e profonda, che si direbbe più propria delle razze fresche e civilmente vittoriose, con un sentimento poetico veramente degno di Withmann e di Longfellow, esprimeva la sensazione che si prova nel visitare i luoghi abitati ed esercitati da un uomo grande divenuto genius loci.
      Fra l’altro egli diceva: “Il fremito che mi corse per le vene, quando mi si mostrò un vecchio seggiolone ed un calamaio, che erano stati di Washington, superò quello che tutte insieme potrebbero suscitare le statue, con le quali tutte le città degli Stati Uniti hanno onorato il grande cittadino. Nella casa e attorno all’oggetto che ha servito alla vita quotidiana di un uomo, palpita e vive eternamente lo spirito di lui. Nella casa e attorno alle cose che a lui hanno appartenuto, nacquero i suoi ideali; ivi essi abitano perpetuamente.
      Qui in Saluggia, Luigi Carlo Farini ritemprava nel riposo e nella pace la vigoria della grande anima sua, e qui vive ed alita il suo grande ideale, l’ideale della patria una, libera ed onorata. Oh! Vengano e si ispirino a questo ideale i nostri fratelli, i figli nostri, e ancora per lunghi anni esso guidi e governi i loro pensieri e le opere loro!
      Problemi grandi ed ardui ci stanno innanzi; e nuovi concetti cresciuti giganti sospingono la società con forza crescente sulla via operosa del progresso. Tutto si muove; ma notava il grande fisico "vi hanno moti ordinati e moti disordinati. I primi conducono all’equilibrio, al bene, gli altri al caos. Sono ordinati i moti che si fanno attorno a un certo, su di un fulcro solido e sicuro. Il centro, il fulcro sia per lunghi anni l’ideale di Luigi Carlo Farini, sia il pensiero della patria". (Bene).
      Ancora nell’ultimo suo discorso di Livorno Vercellese egli, ricordando le discussioni dei nostri santi vecchi, diceva che le illuminava un faro grandemente luminoso, il faro della patria.
      Ora, poiché l’eccelso nostro Presidente ha menzionata onorevolmente la modesta famiglia del nostro Galileo, io credo di interpretare il desiderio più gentile di quello spirito patriottico e casalingo nominando qui nel Senato d’Italia il modesto ed intemerato borghigiano suo padre, farmacista Luigi, che lo crebbe severamente e amorevolmente alla patria, ala scienza e alla virtù, e l’eroico fratello dottor Adamo, degno particolarmente di essere qui menzionato siccome colui che combatteva valorosamente a Monte Rotondo e a Mentana per rivendicare più presto questa Roma in libertà (Benissimo). [...]
      COSTA, ministro di grazia e giustizia. Domando la parola.
      PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare.
      COSTA, ministro di grazia e giustizia. [...] Ma il pensiero s’arresta riconoscente e mesto specialmente a due degli illustri estinti. A quello cui fu troncata la vita nel vigore degli anni, varcata appena la soglia del Senato, quando tante speranze vibravano intorno al suo nome ed al suo avvenire: parlo di Galileo Ferrarsi.
      Egli ci ha lasciato purtroppo, quando tutti coloro che coltivano la scienza tenevano fisso lo sguardo in lui, specialmente per gli studi dell’elettrotecnica.
      Ed ora si rimane addolorati al pensiero che è scomparso anzi tempo questo illustre figlio d’Italia, il quale, con tanto genio e con tanto valore, aveva saputo trovare il modo di applicare una delle più grandi forze allo sviluppo dell’economia nazionale.

      Senato del Regno, Atti parlamentari. Discussioni, 6 aprile 1897.


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