Terenzio Mamiani, Vicepresidente
Signori Senatori.[...]
Or fa quattro giorni soltanto, l’Italia perdeva nel nostro Collega Raffaello Lambruschini un suo luminare di scienza e di segnalate virtù.
In tempi siccome i nostri oscurati, più che altri, da opinioni eccessive e da sètte fanatiche, fu dolce e confortevole cosa vedere nel Lambruschini un esempio vivo e parlante dell’ecclesiastico fatto e costituito, in ogni opera sua, secondo lo spirito del Vangelo, che è spirito liberalissimo. Per ciò innamoratosi egli per tempo così della fede come della scienza e delle virtù cittadine, contraddisse costantemente a coloro che separano con violenza la libertà e la civiltà dalla religione e dal sacerdozio. E perché non dissimulò mai cotesti pensieri e mai non li disgiunse dall’opera secondo che i tempi lo concedevano, appena nel ‘48 splendette un raggio di sorti migliori alla misera patria, i toscani lo elessero deputato al lor Parlamento. Risorte nel 1860 le nostre speranze comuni, il Lambruschini sedette prima nella Consulta di Stato; e dopo il trattato di Villafranca fu Vice-Presidente dell’Assemblea, la qual dichiarava lo scadimento della Casa di Lorena e il voto dei Toscani di voler perdere nel nuovo Regno italiano l’autonomia loro antichissima, il che decise per sempre della libertà e indipendenza della penisola.
Tutto questo non distoglieva il nostro collega dagli altri carichi assunti da lui d’uomo di chiesa e d’uomo di scienza. Egli aveva sortito una mente larga, ordinata, perspicua e ne fecero bella e continua testimonianza quelle sue prose purgatissime, quel suo scrivere semplice, chiaro, evidente e cosparso tutto d’una eleganza sempre spontanea, sempre nemica del ricercato e dell’ampolloso.
Nudrito di varii ed assidui studi, mentre era capace di opere di forte lena e di alto concetto, s’inchinò spesso a dettati che sembrano di tenue materia e nel fondo non sono; imperocché agevolar per più lati e diffondere la istruzione e l’educazione del popolo minuto, è tema così difficile come meritevole e santo, e degno davvero di chi professava altamente la perfezione cristiana e il magistero sacerdotale. Le medesime cure indefesse verso il bene e il dirozzamento del popolo, mossero l’illustre collega nostro a occuparsi in agricoltura e massime nelle parti più vicine alla pratica e più intelligibili al campagnuolo.
Per tutto ciò i molti volumi dell’Educatore rimarranno lungo e invidiabile testimonio del suo ingegno, quanto del suo bel cuore.
Auguriamoci, Signori, che un giorno il clero italiano ricalchi le orme di questo giusto e da lui impari la via più larga e sicura di giungere a Dio.
Senato del Regno, Atti parlamentari. Discussioni, 12 marzo 1873.
|