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Senato della Repubblica
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VISCONTI VENOSTA Emilio

  







   Indice dell'Attività Parlamentare   


.:: Dati anagrafici ::.

Data di nascita:01/22/1829
Luogo di nascita:MILANO
Data del decesso:28/11/1914
Luogo di decesso:ROMA
Padre:Francesco
Madre:BORGAZZI Paola
Nobile al momento della nomina:Si
Nobile ereditarioSi
Titoli nobiliariNobile
Marchese di Breglio, di Cavour, di Sostegno e di Cà del Bosco, Conte di Isolabella,
Signore di Valdichiesa, titoli riconosciuti con regie patenti nel 1909
Marchese di Avigliana, titolo concesso con regie patenti nel 1915
Coniuge:ALFIERI DI SOSTEGNO Maria Luigia, figlia di Carlo, senatore (vedi scheda)
Figli: Carlo Camillo
Enrico
Giovanni
Fratelli:Giovanni
Parenti:VISCONTI VENOSTA Nicola, avo paterno
BORGAZEI Giovanni, zio, fratello della madre
Luogo di residenza:ROMA
Indirizzo:Via Lucullo, 6
Altra residenza:Milano
Indirizzo:Via Monforte 35
Professione:Diplomatico
Carriera:Inviato straordinario e ministro plenipotenziario a Costantinopoli (18 marzo 1866)
Cariche e titoli: Regio commissario di Varese (1859)
Segretario di Luigi Carlo Farini a Modena (1859-marzo 1860) e a Napoli (novembre 1860-gennaio 1861)
Segretario generale del Ministero degli affari esteri (8 dicembre 1862-24 marzo 1863)
Primo delegato italiano alla conferenza di Algesiras (16 gennaio-7 aprile 1906)
Sovrintendente e presidente del Consiglio direttivo dell'Istituto di scienze sociali Cesare Alfieri di Firenze
Socio della Società geografica italiana (1867)
Socio corrispondente dell'Accademia d'agricoltura di Torino (27 dicembre 1908)
Membro corrispondente dell'Istituto lombardo di scienze e lettere di Milano (8 febbraio 1866)
Membro effettivo dell'Istituto lombardo di scienze e lettere di Milano (30 maggio 1895)
Presidente dell’Accademia di Brera
Membro del Consiglio di belle arti
Conservatore del Museo archeologico di Milano

.:: Nomina a senatore ::.

Nomina:06/07/1886
Categoria:03 I deputati dopo tre legislature o sei anni di esercizio
Relatore:Francesco Ghiglieri
Convalida:14/06/1886
Giuramento:11/12/1886
.:: Onorificenze ::.

Commendatore dell'Ordine dei SS. Maurizio e Lazzaro
Grande ufficiale dell'Ordine dei SS. Maurizio e Lazzaro
Gran cordone dell'Ordine dei SS. Maurizio e Lazzaro
Cavaliere dell'Ordine della Corona d'Italia
Gran cordone dell'Ordine della Corona d'Italia
Cavaliere dell'Ordine supremo della SS. Annunziata 2 giugno 1901
Gran cordone dell'Ordine di S. Stefano d'Ungheria
Gran cordone dell'Ordine di Leopoldo (Belgio)
Gran cordone dell'Ordine di Danebrog (Danimarca)
Cavaliere dell'Ordine dell'Aquila rossa (Germania)
Gran dignitario dell'Ordine della Rosa (Brasile)
Decorato dell'Ordine del Mediydiè (Impero ottomano)

.:: Camera dei deputati ::.

Legislatura
Collegio
Data elezione
Gruppo
Annotazioni
VII
Tirano
25-3-1860
Destra
VIII
Tirano
27-1-1861*
Destra
Ballottaggio il 3 febbraio 1861. Cessazione per nomina a segretario generale del Ministero degli esteri. Rielezione l'11 gennaio 1863 e ulteriore cessazione per nomina a ministro degli esteri. Rieletto il 12 aprile 1863
IX
Tirano
22-10-1865**
Destra
Cessazione per nomina a inviato straordinario e ministro plenipotenziario
X
Tirano
10-3-1867***
Destra
Cessazione per nomina a ministro degli esteri. Rieletto il 9 gennaio 1870
XI
Tirano
20-11-1870
Destra
XII
Tirano
8-11-1874
Destra
XIII
Vittorio
7-1-1877
Destra
Elezione in corso di legislatura
XIV
Vittorio
16-5-1880
Destra
XV
Conegliano (Treviso II)
29-10-1882
Destra


.:: Senato del Regno ::.

Commissioni:Membro della Commissione per l'esame dei disegni di legge sui trattati internazionali (29 novembre 1901-6 dicembre 1913. Dimissionario)
Membro della Commissione per l'esame del disegno di legge "Dotazione della Corona durante il Regno di Sua Maestà Vittorio Emanuele III" (7 febbraio 1905)
Membro della Commissione per l'esame del disegno di legge "Proposta di un nuovo articolo 103 del Regolamento del Senato in sostituzione dell'articolo in vigore" (13-15 aprile 1905. Dimissionario)

.:: Governo ::.

Governo:Ministro degli affari esteri (24 marzo 1863-24 settembre 1864), (28 giugno 1866-10 aprile 1867), (14 dicembre 1869-5 luglio 1873), (10 luglio 1873-25 marzo 1876), (20 luglio 1896-10 dicembre 1897), (14 dicembre 1897-28 maggio 1898), (14 maggio 1899-24 giugno 1900), (24 giugno 1900-14 febbraio 1901)

.:: Atti parlamentari - Commemorazione ::.

Atti Parlamentari - Commemorazione
            Giuseppe Manfredi, Presidente

            Onorevoli colleghi! [...]
            Ha dato il colmo al nostro duolo la morte del senatore Emilio Visconti Venosta avvenuta il 28 novembre. Io ho perduto l'unico superstite, dopo la morte del Finali, degli amici e cooperatori politici dell'Emilia nel 1859. Nato era in Milano li 22 gennaio 1829 d'illustre famiglia valtellinese, ed infuse teneva nel sangue le civili e patrie virtù. Si può dire, che in lui, come nel D'Ancona, nel Finali, nel Guarneri, nel Di San Giuliano, la mente allo studio, il cuore all'Italia, non ebbero infanzia. Nel 1847 sulla piazza di Milano alla sommossa e nelle cinque giornate del 1848 alle barricate, il giovane con i compagni comparve e nelle file garibaldine marciò. A diciotto anni scriveva nella Rivista europea e nel Vesta verde del Correnti. Dalla Svizzera nel 1849, dopo la disfatta di Novara, rientrò in Milano a tener vivo il sentimento nazionale occultamente. Coprivasi con il Crepuscolo, giornale letterario, cospirando con i mazziniani; dai quali si staccò per il moto del 6 febbraio 1853, che invano aveva sconsigliato, per stringersi in altra associazione segreta, finché, fondata in Torino, annuente il conte di Cavour, e diffusa per tutta Italia, la Società nazionale Italiana, vi aderì. Nella sua casa eran le riunioni, facevasi raccolta di denaro e nel principio del 1859 invio di volontari in Piemonte. Accortasene la polizia austriaca, si sottrasse alla carcerazione passando il confine svizzero. L'attendeva Torino, ove continuò l'azione in corrispondenza con Milano, e nel gabinetto del Ministero degli affari esteri si amicò agli allievi del conte di Cavour, che divennero i migliori diplomatici. Presto egli diede a conoscere la sua valentia, che fu tosto utilizzata. Dato al generale Garibaldi, allo scoppiar della guerra, il comando di un corpo di truppa e volontari per il varco del Ticino e l'entrata in campagna di fianco agli eserciti alleati, fu il Visconti Venosta destinato ad accompagnarlo qual Regio Commissario; ed entrò con lui a Como, a Bergamo, a Brescia, prendendone Governo nel nome di Vittorio Emanuele. Dopo la pace di Villafranca, nella resistenza dell'Italia centrale, il Farini, che la capitanava in Modena, chiamò al suo gabinetto il Visconti per le corrispondenze politiche ed il carteggio diplomatico; e se lo tenne prezioso, costituito ch'ebbe il Governo dell'Emilia con l'unione a Modena di Parma e Bologna. Si viveva colà in quei giorni delle ispirazioni, che venivano da Leri, si destreggiava con Parigi, si coltivava Londra e Berlino. La penna del Visconti Venosta servì mirabilmente. Vittoriose le annessioni d'Emilia e toscana al Regno di Vittorio Emanuele, mercé il ritorno del conte di Cavour al potere, continuò questi a tenere il giovane diplomatico in grande conto, e lo mandò a Napoleone III ed al Gladstone per conservarne il favore; ed a Napoli nel 1860 per preparare l'accoglienza a Garibaldi. Lo volle poi segretario particolare il Farini luogotenente.
            Alla riapertura del Parlamento in Torino con i rappresentanti delle provincie annesse, il Venosta vi fu deputato di Tirano dalla 7ª alla 12ª legislatura. Rappresentò nella 13ª il collegio di Vittorio, e successivamente il 2° di Treviso. Anche nella Camera si guadagnò fiducia e reputazione singolare, che ne designarono il valore per le faccende estere: onde al Ministero per queste fu lungamente chiamato. Segretario generale nel dicembre 1862, ministro Pasolini nel gabinetto Farini; prese il portafoglio nel 1863 dal Minghetti, non avendo più di 34 anni di età. Mandato dal Lamarmora nel 1866 ministro d'Italia a Costantinopoli, richiamato pochi mesi dopo dal Ricasoli, assunse di nuovo lo stesso portafoglio nelle difficili circostanze d'allora, e lo tenne sino all'aprile 1867. Fu ancora ministro degli Esteri dal dicembre 1869 al marzo '73 nel gabinetto Lanza, cui diede mano ad effettuare la presa di Roma capitale, e mente a risolvere l'arduo punto di pubblico diritto circa le relazioni fra la civile sovranità ed il pontefice, mediante la legge sulle guarentigie. Rientrò agli Esteri nel gabinetto Minghetti e vi rimase dal 1873 al 18 marzo 1876. A vita privata oltre un ventennio si dilettò delle belle lettere l'uomo, che n'era geniale cultore; e di belle arti, essendo dell'Accademia di Brera e conservatore del Museo archeologico di Milano. Consentì nel 1896 di ritornare ministro degli esteri nel gabinetto Di Rudinì ed a rimanervi con il Pelloux ed il Saracco sino al 1901. Ogni volta la sua politica fu tale quale si conveniva ad elevare l'Italia fra le grandi potenze. Legato è il nome di Emilio Visconti Venosta ai principali atti del risorgimento nazionale; alla cospirazione, alla rivolta, alla guerra, alle annessioni centrali, al moto del Mezzogiorno, alla cessione di Venezia, alla liberazione di Roma. Onorò l'Italia, che fosse arbitro nel 1894 tra l'Inghilterra e gli Stati uniti d'America nella questione della pesca delle foche nel mare di Behring. Ultimo notabile suo servizio allo Stato fu nel 1906 la rappresentanza dell'Italia alla conferenza di Algesiras. La scelta del Visconti Venosta tornò a lode del ministro Di San Giuliano, e fu presa ad indice del suo avvenire. Plauso generale ebbe l'omaggio dell'ingegno, che sorgeva, verso l'anziano insigne. Esercitò autorità il Visconti Venosta nella Conferenza; del risultato egli ed il Governo del Re furono soddisfatti. I meritati onori al compianto collega nostro conferì il sovrano, il marchesato, il collare dell'Ordine supremo; il massimo segno di riconoscenza della patria aggiunto innanzi alla salma, da casa Savoia lagrimata. Dalla tomba, ov'è stata chiusa, il pensiero degli italiani memori volgesi a Santena, ove riposa il grande, alla cui illustre erede il marchese Emilio era coniuge. Se cosa di quaggiù può salire ai trapassati, niun maggior diletto potrà prendere lo spirito dell'amato nostro, che di sapere unita la sua memoria a quella del fatidico consigliere del padre della patria. (Approvazioni). [...]
            SALANDRA, presidente del Consiglio, ministro dell'interno. Domando di parlare.
            PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
            SALANDRA, presidente del Consiglio, mini­stro dell'interno. Con animo commosso e reverente il Governo si associa alle nobili parole pronunciate dal Presidente del Senato per onorare la memoria degli eminenti uomini che il Senato ha perduto.
            Il meritato compianto del paese ha accompagnato all'ultima dimora Emilio Visconti Venosta e Gaspare Finali. I loro nomi rimarranno scritti nel libro d'oro del risorgimento italiano.
            La tarda età li aveva esclusi ormai dagli uffici attivi; ma risplendeva diritta e lucente, come sempre, la fiamma della loro mente, alimentata dal più puro, dal più nobile patriottismo.
            Prezioso sarebbe stato il loro consiglio nell'ora storica che attraversiamo; ci sorregga l'esempio della loro vita, consacrata gloriosamente tutta al servizio della patria. (Approvazioni generali).
            PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il senatore Tittoni, primo iscritto.
            TITTONI. Poche volte la parola mesta e solenne del Presidente ha annunciato al Senato perdite così gravi per la patria.
            Innanzi alla pleiade di uomini insigni che scompare, torna alla mente il pensiero malinconico di un uomo di Stato, il quale, vedendo morire in breve spazio di tempo molti contemporanei suoi di grandissimo valore, ebbe ad esclamare: "Sembra quasi che la morte abbia dei momenti nei quali, con speciale cura, vada alla ricerca delle personalità più elette!".
            Io mi sentirei tratto a parlare di ciascuno di essi, poiché nei pubblici uffici ebbi l’onore di trovarmi a collaborare con Emilio Visconti-Venosta, con Gaspare Finali, con Antonino Di San Giuliano, con Giorgio Arcoleo. Né vorrei tacere di Alessandro D'Ancona. Ma per tutti potrei ripetere la frase di Cicerone, il quale assicurava un posto speciale agli Elisi omnibus qui patriam conservarint, adiuverint, auxerint. [...]
            Due dei colleghi che commemoriamo, Visconti Venosta e Finali, appartenevano a quella generazione che iniziò l'unità d'Italia e della quale il nostro Presidente Manfredi rimane uno dei pochi e gloriosi superstiti. (Approvazioni - Vivissimi applausi). Insieme a lui siedono ancora in Senato alcuni valorosi combattenti delle prime battaglie dell’indipendenza nazionale, circondati tutti dal nostro affetto e dalla nostra venerazione. (Benissimo). Gli uomini di quella generazione consacrarono alla patria tutta la loro esistenza e forse mai come oggi sarà stato opportuno ricordarne e celebrarne le virtù, i sacrifici, lo spirito di concordia e di abnegazione.
            Inspiriamoci dunque, carissimi colleghi, a quei grandi esempi e confidiamo che, nella grave ora presente, sappiano e vogliano dar prova di concordia e di abnegazione le diverse parti politiche, le quali, mentre perseguono fini di partito, non devono dimenticare che c’è qualche cosa al disopra di esse, al disopra di tutti, al disopra di tutto: l'Italia! (Applausi vivissimi).
            PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare l'onorevole senatore Morra di Lavriano.
            MORRA DI LAVRIANO. Egregi colleghi. Dopo le nobilissime parole del nostro Presidente, e quelle non meno nobili del collega Tittoni - al quale porgo un particolare ringraziamento pel ricordo dei superstiti delle prime battaglie dell'indipendenza - io non avrei realmente ragione di parlare: ma ne sento imperioso il dovere, per un sentimento di profonda riconoscenza che mi lega all’illustre Visconti Venosta e per l'infinito cordoglio che provo per la sua dipartita.
            Fu Visconti Venosta che propose all’amato e compianto Re Umberto, di mandarmi in Russia a rappresentare l'Italia; fu egli che vinse con longanime insistenza la mia riluttanza ad andare in quei lontani paesi con una missione così elevata e per me nuovissima, e ciò in età già avanzata e in condizioni di famiglia non facili. Vinse il sentimento del dovere e cercai di compiere la mia missione il meno male possibile, sorretto dal prudente e luminoso consiglio del Visconti Venosta.
            Ho la piena convinzione che, nei sette anni passati a Pietrogrado, riannodando vincoli antichi, stringendone dei nuovi e rendendo amico all'Italia il grande Impero russo, la modesta opera mia non fu inutile al mio paese. E siccome l'unica ambizione della mia vita intera fu di servire utilmente la mia patria ed il mio re, così in quest'ora dolorosa ho sentito il bisogno di manifestare pubblicamente davanti a questa imponente Assemblea i sentimenti della mia viva gratitudine.
            Coetaneo, o quasi, di Visconti Venosta, venuti da campi diversi ma per un unico fine, percorsa egli una luminosissima carriera, io una modesta, ci ritrovammo alla meta, stretti da amicizia, confortata anche da vincoli di parentela, e mi era dolce il trattenermi con lui in conversazione familiare. Lo vidi l'ultima volta dodici giorni prima della sua morte: egli era quasi immobile nella sua solita poltrona, ma la mente lucidissima e lo sguardo ancora vivace.
            Parlammo naturalmente dei momenti attuali, ed egli mi diceva: "Chi avrebbe mai supposto che noi ci saremmo potuti trovare ancora, alla nostra età, davanti ad una guerra così terribile e a dover purtroppo palpitare per la nostra cara patria?" E un senso di perturbamento velava quasi il suo sguardo!
            "Indipendenti sempre, isolati mai", tale era il suo motto. Sentiva questi due termini indivisibili tra di loro, sentiva che un giovane Regno non può vivere senza appoggi; aveva la più grande fiducia nel senno del Re, negli uomini degni che siedono al Governo e aveva approvato quanto da loro si era fatto, e certo approverebbe oggi le nobili e patriottiche dichiarazioni del presidente del Consiglio. (Benissimo).
            Cerchiamo che la nostra Italia, per l'indipendenza e per l'unità della quale abbiamo tutti data l'opera nostra, trovi il suo posto nel mondo e la compagnia delle altre nazioni non potrà mancarle. Siamo forti e audaci e non saremo isolati mai!
            Rendendomi interprete dei miei colleghi, prego l'illustre Presidente di voler mandare le condoglianze vivissime all’intera famiglia Visconti Venosta: alla sconsolata vedova, compagna serena, intelligente, affettuosa d'ogni ora, d'ogni momento del compianto estinto, agli inconsolabili figli che si stringono attorno alla madre, alla desolata cognata Adele Alfieri, vero angelo di carità nei terremoti di Messina e delle Calabrie, sui campi della Libia, per tutti quelli che soffrono, per tutti quelli che piangono! (Approvazioni vivissime. Applausi).
            DE CESARE. Domando di parlare.
            PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
            DE CESARE. Vissuto per vari anni nella maggiore intimità di pensiero e di sentimento con Emilio Visconti Venosta, io mando un saluto riverente e commosso alla sua memoria. Si è spento in lui l'ultimo dei maggiori italiani del risorgimento, l'uomo che rappresentò nella lunga età il patriottismo più puro e più illuminato; che fu fedele ai suoi ideali ed alla sua parte, ma ne intese i doveri e le responsabilità; nobile esempio di carattere politico a due generazioni. (Benissimo).
            La stampa italiana e straniera, con commovente unanimità, riconosce in lui uno dei maggiori artefici del risorgimento nazionale; e l'illustre e carissimo uomo che ci presiede, ne ha riassunta la vita con l’affetto dell’amico e l'indiscussa autorità di chi, come lui, fu anche partecipe di quei gloriosi avvenimenti.
            La città di Roma vide poche volte, nelle sue vie, funerale più solenne e più degno.
            La vita del Visconti Venosta segue le maggiori tappe del risorgimento italiano, dai giorni delle insurrezioni e delle congiure, a quelli della grande e magnifica preparazione, onde gli eventi superarono le speranze, e dalla fortunata guerra del 1859, in poco più di un anno, attraverso difficoltà infinite, potute superare con uno spirito di concordia, di cui son pochi gli esempi nella storia d'Italia, si costituì l’unità della patria. Si costituì con a capo un re, che, nato di diritto divino, comprese i tempi, e divenne freno e garanzia della rivoluzione innanzi al mondo, assicurandone il trionfo. Quel Re ebbe consiglieri degni di lui, ed egli fu degno di loro. (Approvazioni).
            Uno di quei consiglieri fu Emilio Visconti Venosta, già combattente nelle cinque giornate, già mazziniano, convertito apertamente e lealmente alla Monarchia di Savoia, quando la monarchia si affermò vindice dei destini d'Italia; esule pieno di ardore, e uomo di azione che non misurava i pericoli. Inviato commissario di Vittorio Emanuele nella prima terra lombarda che si andava a liberare, duce Garibaldi, a Cavour, che gli raccomandava le maggiori cautele, essendo egli suddito dell'Austria, rispose con la caratteristica calma consueta: Per noi lombardi la forca non è che una malattia di più. (Impressione).
            Fece parte, l'anno dopo, della famosa spedizione a Napoli, guidata da Vittorio Emanuele, che andava a ricevere il plebiscito, onde diveniva Re di tutta l'Italia. Di quella spedizione era il solo superstite, e ne ricordava con compiacenza i particolari più interessanti e curiosi: il trionfale ingresso e la consegna del plebiscito, fatta da Garibaldi al re, nell'antica reggia dei Borboni.
            Fu ministro a 33 anni: Farini e Minghetti ebbero la mano felice nella scelta di lui, che fu prima segretario generale degli esteri, e poi ministro, succeduto al degnissimo Pasolini. Quel giovane così misurato e riguardoso, parco di parole, alieno da ogni vanità, come da ogni volgarità, e precoce uomo maturo, suscitava non poche diffidenze, e grande era l'attesa del suo primo discorso, che pronunziò il 26 marzo del 1863 sulla questione polacca. Fu un successo, per le cose che disse e il modo come le disse. L'argomento era scottante, dati i tempi. Il discorso si chiuse con la indimenticata dichiarazione: indipendenti sempre, ma isolati mai, che strappò gli applausi più caldi dell'Assemblea. Quel discorso apri la serie dei suoi successi parlamentari, che furono tanti nei molti anni che resse il Ministero degli esteri.
            Erano riserbate al Visconti Venosta la gloria e la fortuna di legare il proprio nome alla uscita degli stranieri dall'Italia. Mercé la Convenzione del settembre 1864, andarono via i francesi da Roma; e dopo la guerra del 1866, gli austriaci dal Veneto. Ma la maggior gloria fu l'impresa di Roma nel 1870, che compì il più grande evento dell'epoca moderna: la fine del potere temporale dei papi, garantendo alla Chiesa il libero svolgimento della sua azione religiosa nel mondo, e garantendo la coscienza cattolica rispetto alla nuova condizione fatta al papato. Nel tempo stesso si dava all’Italia la sua capitale. Il testamento di Cavour si compiva, ed esecutore testamentario era il Visconti Venosta. (Benissimo).
            Dopo la bufera elettorale del 1876, il Visconti stette lontano per molti anni dalla politica attiva senza irrequietezze, né impazienze morbose, né petulanti lamentele. (Vive approva­zioni). Rifuggiva da ogni volgarità, ed aveva alta la coscienza di sé. Non si potrebbe affermare se quel!’uomo fu più modesto che superbo. Si occupò di arte, e fu presidente dell’Accademia di Brera e membro del Consiglio di belle arti. Si occupò di fiori; e le collezioni di rose e di crisantemi a Santena, da lui curate con rara intelligenza, sono fra le più interessanti d'Italia.
            Tornò al Governo, e vi stette qualche anno, nei ministeri Rudinì, Pelloux e Saracco. Se questo secondo periodo della sua vita come ministro non fu storicamente pari al primo, ebbe la sua importanza per un diverso indirizzo da lui dato alla nostra politica con la Francia, onde fu potuto stabilire un trattato per regolare la condizione giuridica degli italiani a Tunisi, e sottoscrivere il famoso protocollo sull'Africa mediterranea. Tale accordo, importantissimo, tenuto conto delle nostre aspirazioni sulla Libia, divenne più esplicito, quando al Visconti Venosta successe Giulio Prinetti nel Ministero Zanardelli.
            L'ultima missione del Visconti Venosta fu quella di Algesiras, ben nota nei suoi risultati. La sua azione sagace, conciliante e soprattutto autorevole, riuscì ad evitare la guerra; ma, purtroppo, le cause di discordie e di avversioni eran tante, che non si poté se non allontanare di poco il presente flagello. (Bene).
            Appena scoppiata la guerra, il Visconti Venosta credette suo dovere lasciare la villa di Santena e venire a Roma, per trovarsi qui, nel caso che il Governo avesse bisogno del suo consiglio. Lo rividi nel settembre, e fui assai contristato delle condizioni della sua salute. Una grande depressione fisica, ma alacre lo spirito e alta l'intelligenza. Era assai preoccupato delle cose politiche, che giudicava di una gravita eccezionale: non breve la guerra, incerto e pericoloso il domani, imprevidibile il futuro assetto dell'Europa. Mi confermò che aveva approvato la dichiarazione di neutralità da parte dell'Italia. Egli escludeva, in modo assoluto, l'obbligo per il nostro paese di prender parte alla guerra. Nel trattato di alleanza non era preveduto il caso, che nel conflitto scendesse l'Inghilterra; e per l'Italia non era possibile, per gli stretti legami tradizionali, una guerra contro questa potenza. Aveva molto gradita la visita fattagli qui a Roma dal presidente del Consiglio, andato a ringraziarlo del telegramma di adesione alla neutralità.
            Alla memoria di Emilio Visconti Venosta, il Senato, del quale egli fu altissimo decoro, decreterà un busto, che propongo sia messo accanto a quello di Giovanni Barracco, col quale egli ebbe tanta comunanza di ideali, in politica ed in arte, e vincoli stretti di amicizia. Nati entrambi nel 1829, son morti entrambi in questo triste anno 1914. Insieme deputati e senatori della stessa nomina, Giovanni Barracco fu tra i pochi che non lo dimenticarono. (Benissimo).
            Propongo che siano espresse le condoglianze del Senato alla nobile famiglia, alla città di Milano, ove nacque, e alla fida terra di Valtellina, ove dorme il sonno della morte, accanto ai congiunti che tanto amò.
            Sia pace al suo spirito immortale. (Vivissime approvazioni. Applausi). [...]
            PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare l'onorevole senatore Chimirri.
            CHIMIRRI. Furono parecchie e gravi le perdite fatte dal Senato durante le vacanze.
            Di tutte disse parole degne e commoventi l’onorevole nostro Presidente. Mi sia concesso di recare un tributo di sincero rimpianto alla cara memoria del marchese Emilio Visconti Venosta, di Gaspare Finali e del marchese Di San Giuliano, coi quali ebbi maggiore consuetudine, comunanza di idee e solidarietà di azione nelle lotte della politica.
            Nella vita operosa di quei sommi si riepiloga e rispecchia larga parte delle vicende avventurose che contribuirono all'unificazione della patria.
            Visconti Venosta ricorda l'indomita e dignitosa resistenza passiva della Lombardia e di Milano nel decennio di angosciosa preparazione fra il 1849 e il 1859.
            Il Visconti, giovane di anni ma maturo di senno e già provato nelle cinque giornate di Milano, e nelle rischiose congiure, fu tra i primi a riconoscere l'inefficacia dei metodi rivoluzionari per liberare l'Italia dallo straniero, ed abbandonata fin dal 1853 l'utopia repubblicana, spese la sua larga influenza a indirizzare gli occhi e le speranze delle popolazioni lombarde al Piemonte e alla casa Savoia. [...]
            Visconti e Finali, anime ardenti di patrioti e di artisti, innamorati degli stessi ideali, devoti alla medesima causa, si incontrarono nel 1859 a Torino, l'uno profugo da Milano, l'altro da Cesena.
            Quivi conobbero il conte di Cavour e Luigi Carlo Farini, guadagnandone la stima e la fiducia, e vennero fin d'allora adoperati in incarichi ed uffici delicatissimi, che furono scala alla magnifica e rapida ascensione, cui erano destinati.
            Entrambi, dopo il 1860, collaborarono, secondo la loro speciale competenza, con Minghetti, Sella e con gli altri maggiori uomini della Destra, a comporre gli organi amministrativi, politici e finanziari del nuovo Regno.
            A Visconti Venosta toccò la fortuna di trovarsi alla direzione della politica estera nei momenti più critici e risolutivi della nostra esistenza nazionale.
            Entrato nel primo Ministero Minghetti come ministro degli esteri, il suo pensiero dominante fu la soluzione con mezzi pacifici della questione romana.
            Per affrettarla conchiuse con l'imperatore Napoleone l'accordo pel richiamo delle truppe francesi da Roma, che erano il maggiore ostacolo all’acquisto della capitale.
            Nel 1866, richiamato dalla breve legazione di Costantinopoli per dirigere lo stesso Ministero durante la guerra austro-prussiana, nella quale l'Italia scese in campo alleata con la Prussia, stipulò la cessione di Venezia, respingendo le restrizioni e gli oneri eccessivi, che l'Austria voleva imporre.
            Nel 1870 raggiunse l'apice della sua gloriosa carriera facendo parte del Ministero Lanza-Sella, al tempo della guerra franco-germanica, in circostanze che presentano molta analogia con gli attuali avvenimenti.
            Se il Ministero Lanza non avesse resistito con irremovibile fermezza alle incalzanti sollecitazioni di Napoleone III e ai generosi e cavallereschi impulsi di Vittorio Emanuele II, il nostro paese avrebbe subito le disastrose conseguenze di quella campagna sfortunata.
            La neutralità, scrupolosamente osservata, preservò l'Italia da quella iattura e le schiuse le porte di Roma.
            A Visconti Venosta e a Buggero Bonghi spetta principalmente il merito di quel monumento di sapienza civile che è la legge delle guarentigie, la quale rese possibile la pacifica convivenza del Re e del papa in Roma.
            Le disposizioni di quella legge furono recentemente adottate in Francia per regolare la residenza del Re dei Belgi sul territorio della repubblica. [...]
            Visconti Venosta, dopo venti anni d'immeritato oblio, trascorso nella dolce intimità della nuova famiglia e gli studi prediletti, tornò al potere chiamatovi dal marchese Di Rudinì, e successe a Canevaro nel Ministero Pelloux del 14 maggio 1899.
            In quel periodo rivolse le sue cure a preparare coi mezzi diplomatici la soluzione dei due più ardui problemi, che allora incombevano sulla nostra politica estera, la sicurezza dell'Adriatico e l'equilibrio del Mediterraneo.
            Con la convenzione di Monza del 1897 assicurò la neutralizzazione dell’Albania per impedire che l'Austria o altra grande potenza si affacciasse a Vallona; e, migliorate le relazioni economiche e politiche con la Francia, concluse il trattato del 1900, col quale, lasciandole mano libera di attuare le sue aspirazioni nel Marocco, ottenne in ricambio il riconoscimento del nostro diritto sulla Tripolitania e sulla Cirenaica.
            Fummo compagni l'anno seguente nel Ministero Saracco, Ministero breve ma non infecondo, che pacificò nella Camera gli animi esacerbati dalle competizioni politiche, e dopo l'esecrando delitto di Monza serbò fede alla politica liberale, senza cedere a propositi di reazione.
            Ed oggi che la sua nobile ed imponente figura è sparita, l'Italia intera lo piange ed onora. (Approvazioni).
            La stampa straniera rievocando i più interessanti ricordi della sua vita elogia ed esalta il carattere intemerato e l'opera benefica del grande statista, diplomatico di antico stile per il tatto, la compostezza e la signorilità dei modi, ma modernissimo per lo spirito e la cultura.
            L'ultimo suo atto nella politica internazionale fu la presidenza della conferenza di Algesiras, ove dissipò con la lealtà le diffidenze e raggiunse con l’equanimità de’ giudizi il difficile accordo che evitò nel 1906 il conflitto che ora insanguina l’Europa.
            Scoppiata nello scorso luglio la guerra, l'illustre vegliardo, quantunque affranto dagli anni, abbandonò la tranquilla dimora di Santena per recarsi a Roma a mettere al servizio del Governo e del paese il suo illuminato consiglio e la consumata esperienza.
            L'estremo lampo della sua mente presaga fu l'adesione piena ed intera alla politica di neutralità vigile ed Armata dichiarata dal Governo di fronte all’immensa catastrofe, che devasta il vecchio continente e si ripercuote al di là degli oceani, politica saggia, accorta e riguardosa, che meglio si conviene alla tutela degli interessi nazionali italiani, e risponde all'opinione della maggioranza del paese, il quale, nei momenti difficili, rivela sempre quel finissimo senso politico, che è qualità atavistica della nostra gente. (Vivissime approvazioni; applausi).
            PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare l'onorevole Malvano.
            MALVANO. A me che fin da remoto tempo, e più volte nel tempo successivo, ebbi la singolare fortuna di trovarmi, modesto collaboratore, accanto all'illustre uomo che oggi piangiamo estinto, sia consentito di porgere alla sua memoria un omaggio estremo.
            Con autorità ben maggiore della mia, il nostro amatissimo Presidente ha ricordato le grandi benemerenze dell’onorevole Visconti Venosta, e l'opera sua come ministro, la quale, quattro volte ripresa in poco meno di un cinquantennio, dalla Convenzione che nel giovane Regno, tuttora insediato nella vecchia capitale piemontese, riconosceva il diritto di pattuire di Roma e delle sue contingenze future, va all'accordo che, dandoci mano libera per Tripoli, agevolava il successo della recente nostra impresa.
            Spirito calmo e sereno, dei fatti acuto indagatore, dei dettami del diritto interprete sicuro, l'onorevole Visconti Venosta possedeva in grado eminente tutte quelle doti che all'uomo di Stato assicurano, per quanto nelle cose umane può giovare il valore della persona, la meritata fortuna del successo. Come il suo nome vivrà lungamente nel riconoscente ricordo del paese, così l'opera sua, luminosamente segnata negli annali della diplomazia italiana, sarà, più di una volta, insegnamento e guida nei casi futuri. Alla memoria di lui, che oggi non è più tra noi, ma che pur sta vivo nell’animo nostro, inchiniamoci grati e riverenti. (Approvazioni). [...]
            PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare l'onorevole senatore Faldella.
            FALDELLA. [...] Mi ritorna infine una visione che ebbi fanciullo. Ricordo che alla stazione ferroviaria di Saluggia una volta scesero due giovani alti, l'uno biondo, radioso, l'altro bruno ed atletico. Domandarono l'indicazione della casa del cavaliere Farini, che allora era il fulcro degli emigrati patrioti forti ed intellettuali, compreso Alessandro D'Ancona, di cui oggi pure piangiamo la dipartita. Di quei due giovani che si recavano ad indettarsi col futuro dittatore dell'Emilia, l'uno Emilio Visconti Venosta, già cospiratore con l'apostolo Mazzini, diventò milite di Garibaldi, commissario di Cavour ed uno dei più elevati diplomatici di Europa per il bene della patria; l'altro, Gaspare Finali, uscendo pur egli dalle più focose aspirazioni repubblicane, divenne inclito ministro dei tre primi Re dell'Italia libera ed unita.
            Possa la visione di così esemplari altezze passare dal Senato alla odierna gioventù d'Italia! (Approvazioni vivissime Applausi). [...]
            PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare l'onorevole senatore Ponti.
            PONTI. Mi sia lecito, anche a nome di molti amici di Milano, esprimere viva gratitudine all'illustre Presidente del Senato, agli illustri ed eloquenti oratori che l'hanno seguito, per il riverente e solenne omaggio reso al nome del marchese Emilio Visconti Venosta. A Milano dove per antica consuetudine si amava stimarlo cittadino d'onore e di affetto, egli fu lungamente capo acclamato del partito liberale; né altri meglio di lui avrebbe potuto simboleggiarne ed impersonarne le nobili aspirazioni, le benemerenze pubbliche, l'opera gagliarda, l'influsso illuminato e moderatore.
            Nell'avveduta preparazione del patrio risorgimento, nei pericoli delle cospirazioni e delle guerre, nell'attività parlamentare, nei meditati e supremi ardimenti dello statista, nei consigli d'Europa, nel severo ufficio di arbitro e di maestro autorevole fra i più provetti, tutta la vita sua, esemplare per purezza, per dignità e per lena feconda nel culto degli studi e delle arti, fu dedicata al bene, alla grandezza, al lustro dell'Italia nostra. Gli amici, gli ammiratori che non dimenticano e non dimenticheranno, si associano commossi al paese ed al Parlamento nel piangere l'illustre estinto e nel rievocarne lo spirito eletto che resterà sacro in ogni tempo alla gratitudine, all'amore ed alla venerazione degli italiani. [...]
            PRESIDENTE. Mi farò un dovere di adempiere a tutti i desideri espressi dagli onorevoli senatori.

            Senato del Regno, Atti parlamentari. Discussioni, 3 dicembre 1914.

Note:Partecipò alle cinque giornate di Milano (18-23 marzo 1848).
Archivi:È conservato l'archivio della famiglia (provincia di Sondrio)
Archivi e/o corrispondenza in altri Stati:
Columbia University Libraries, Guglielmo Ferrero papers, Archival Collections


Attività 2335_Visconti_Venosta_Emilio.pdf