Atti Parlamentari - Commemorazione
Giuseppe Manfredi, Presidente
Onorevoli colleghi! [...]
Il nostro lutto è al colmo per la morte di Pasquale Villari.
L'insigne storico, pedagogista, sociologo, è spirato in Firenze il 7 del corrente. Piangono le lettere, la cattedra, le accademie, il Parlamento. Che dire di lui che già non risplenda nella sua celebrità? Vanta Napoli di avergli dato i natali nel 3 ottobre 1827. Il 1848 lo trovò alle scuole private, che erano in uso, e fra i giovani ardenti di patria e libertà; onde, nella reazione, il rifugio a Firenze, ove passò il decennio raccolto ai suoi studi ed alle ricerche storiche; non inerte però al cospirare.
Nel 1859 il Governo di Torino lo chiamò all'insegnamento della filosofia della storia nell'Università di Pisa; lo inviò nel 1862 a Londra giurato della sezione pedagogica di quella Esposizione; e da quel viaggio ebbe occasione il suo primo scritto di pedagogia. Tornato a Pisa vi diresse la Scuola normale; finché, nominato professore ordinario di Storia moderna nell'Istituto degli studi superiori di Firenze, su quella cattedra lungamente rifulse, insegnandovi da ultimo la Propedeutica storica, e terminando professore emerito sempre più venerato.
Del discepolo di Francesco De Sanctis resero anche più chiaro il nome i libri: La storia di Girolamo Savonarola e dei suoi tempi, il Niccolò Machiavelli; Le incursioni barbariche; i Saggi storici e critici. Succedette al Bonghi nella "Dante Alighieri"; fu presidente dell'Istituto storico italiano.
In tanta vita letteraria il politico non scomparve; e fu il Villari l'eletto dei collegi di Bozzolo, Guastalla ed Arezzo, alla Camera dal 1873 al 1880 in sommo onore di carattere, di mente e di eloquio. Benché di parte moderata, propugnò nelle questioni sociali larghe idee; manifestate nelle Lettere meridionali.
Senatore del Regno dal 26 novembre 1884, fu lustro di quest'Assemblea e nostro amatissimo Vicepresidente in una sessione. Prezioso fu il concorso, che diede ai lavori, aurea la parola alle discussioni. Memorabili sono, fra gli altri, i discorsi sul disegno di legge per gli infortuni sul lavoro.
Al sapere ed alla dignità di tant'uomo ricorse frequentemente il Governo con incarichi e commissioni; e la Corona nel 1891 gli affidò il portafoglio della pubblica istruzione. Presiedette il Consiglio superiore della pubblica istruzione; il Consiglio superiore degli archivi di Stato.
Elevato fu ai più alti onori: era accademico dei Lincei e della Crusca; corrispondente di numerose società scientifiche straniere, fra cui l'Istituto di Francia, dottore honoris causa delle Università di Edimburgo, di Halle, di Budapest e di Oxford; insignito della croce dell'Ordine civile di Savoia e del gran collare dell'Ordine supremo della SS. Annunziata.
La modestia, che adornava il merito di Pasquale Villari, ha voluto i funerali in forma assolutamente privata, senza inviti, senza discorsi. Ma lo ha accompagnato alla tomba l'intenso rammarico del Re, l'amplesso nostro lagrimante, la riconoscenza della patria, della quale è stata una gloria la vita sua. (Approvazioni). [...]
MAZZONI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
MAZZONI. Onorevoli colleghi, consentitemi che, anche in nome della Facoltà di filosofia e lettere del R. Istituto di studi superiori in Firenze e in nome della R. Accademia della Crusca per la lingua d'Italia, io profferisca poche parole sul compianto collega Pasquale Villari. Non già a commemorarlo, che egli non volle, ma a compiere un omaggio che mancargli da parte nostra non può.
Il nome del Villari è di quelli che nell'opinione universale sono di per se stessi un'altissima lode. E uno dei nomi che, direi, bastano a se stessi.
Negli studi storici e letterari il Villari lascia opere di grande valore, degnamente celebrate non solo in Italia, ma dovunque è luce di scienza e di umana civiltà. Perché egli non soltanto fu un dotto; fu altresì un sapiente; e fu pertinace e caldo propagatore di quanto gli apparisse utile verità o bellezza d'arte feconda.
Negli studi economici e sociologici il Villari lascia tracce non tanto profonde quanto luminose: tracce che valgono soprattutto a indicare l'ardore comunicativo che era nella fiamma di quell'animo integro e di quell'alto intelletto.
Nelle memorie della scuola italiana il Villari come ministro e come insegnante, lascia un insigne esempio di criteri assennati e ben ragionati, di matura e ponderata dottrina, d'impareggiabile zelo.
Ma più importa, oggi e qui, ricordare l'italianità di tutta la sua vita; chiara, normale, semplice, praticamente attiva, nelle opere giornaliere; e franca, non mai pedantesca, materiata di buon senso, mirante a idealità non mai nebulose, nel lavoro scientifico e nell'artistico.
Dell'italianità egli, nato meridionale, comprese e assorbì tutti quanti gli spiriti migliori derivandoli a sé da ogni altra regione della penisola; e li contemperò insieme, fervidamente e accortamente, per l'unico vantaggio della patria comune.
Dopo che egli ebbe a varie generazioni insegnato molto, e previsto per le ulteriori non poco, la tardissima età lo fe' assistere alle belle prove dell'esercito nostro, e gli diede margine (pur troppo) anche ad assistere alle recenti sciagure; ma felicemente gli concesse, subito dopo, la suprema consolazione di sapere che resistiamo, che resisteremo, che si vincerà!
italiano e fervido ammiratore dell'Inghilterra, vide congiunte le armi nostre a quelle degli alleati anche sui campi d'Italia. E poté, morendo, salutare con l'estremo voto il giorno in cui la bandiera nostra e quelle degli alleati sventoleranno glorioso e gioiose sulle terre liberate, sulle terre redente, per la giustizia, per la libertà, per l'incivilimento progressivo che vanta banditori solenni l'italo Dante della Commedia e l'inglese Shakespeare della Tempesta, che egli del pari ammirava ed amò.
Non più Luciferi né Capanei dell'Inferno dantesco, non più Calibani né Trinculi della Tempesta shakespeariana; ma l'uomo sereno nella coscienza, gagliardo nel lavoro, ben saldo coi pié sopra il suolo, ben dritto con la fronte verso la speranza, anzi la fede, del bene. (Approvazioni vivissime).
BERENINI, ministro dell’istruzione pubblica. Debbo portare per la prima volta la mia parola modesta in questo alto consesso, per commemorare insigni uomini che vi hanno appartenuto onorandolo e ricevendone onore. [...]
Pasquale Villari! Onorevoli senatori; che potrei io dire di lui oltre di quella che ne disse Guido Mazzoni? Egli ha ricordato che non si commemora Pasquale Villari: egli in atto di grande umiltà non Io volle, noi in atte di grande onore non lo vogliamo, poiché nati ci sarebbe possibile dire degnamente di lui. Troppa poca cosa sarebbe la nostra parola, tanto minor cosa la mia parola, se a così grande opera mi accingessi Ma egli fu veramente maestro e da lui noi traemmo tante e così grandi leggi del pensiero e della vita; fu educatore di una generazione: quella, alla quale egli appartenne. Io, consentitemi, voglio di lui soltanto rammentare come egli storico fosse, perché seppe ed intuì - tale era l’indole del suo squisito cervello - intuì che dalla storia sopratutto dovevansi comprendere ed intendere gli elementi della vita non già per raccogliere dalla storia per fine di erudizione, di coltura e di soddisfazione a sazietà del desiderio del sapere individuale, i fatti onde essa si intesse, ma per trarre da essa gli elementi superiori della vita. Non dettò egli le leggi della vita, ma della storia della quale attinse gli ammaestramenti nei fatti, trasse gli elementi per governarla. Apostolo di educazione egli volle, e tutta la sua opera fu a questo intesa, volle avvicinare la scuola alla vita; volle che il discente non fosse già il seguace di uno spirito dominatore del maestro che lo guida ma, sotto l’esibizione squisita, precisa, assidua, continua dei fatti della storia, fosse egli medesimo il ricostruttore intiero, libero ed autonomo intellettualmente di quelle meravigliose sintesi delle quali egli seppe darci l’esempio. Noi possiamo seguirlo nel cammino costantemente laborioso nella sua vita, dalle indagini negli archivi d’Italia, sopratutto negli archivi fiorentini, alle sue opere più grandi; e noi vedremmo il raccoglitore in mirabili analisi di tanti elementi, ond’egli poté poi esprimere nelle meravigliose sue opere la sintesi geniale che ci diede sopratutto della vita italiana nel rinascimento, della quale egli seppe indagare le remote origini nelle quali vibra il quadro complesso, quasi forza dinamica, delle sue manifestazioni, nelle quali egli vide già le luci presaghe del risorgimento che venne di poi. Ed ecco che noi possiamo attingere anche oggi e potranno attingere anche più tardi quelli che dopo di noi verranno, gli ammaestramenti più superbi della vita. Egli (consentitemi questo solo ricordo e mi taccio perché non vorrei, dilungandomi, recare offesa al proposito che mi ero fatto), permettetemi che ricordi come egli seppe, non solo maestro di ricerche, ma maestro sublime di arte, nel meraviglioso scenario del rinascimento scolpire vive, ed egli stesso riviverne la vita, le più grandi figure che lo significarono per quanto difformi d’intelletto e gradi di coscienza, Girolamo Savonarola e Niccolò Machiavelli.
E lasciate che ricordi soltanto un altra delle sue grandi opere che ci additano quanto fosse vivo e stretto il suo contatto con l’Italia contemporanea; nelle sue” Lettere meridionali” scritte quando si andava ricostruendo lo Stato italiano, occorreva serenità e fortezza di mente per potere tra le diverse ed opposte passioni tracciare a sé medesimo la via luminosa della verità. Come da quelle lettere si rivela e si afferma quella sua grande caratteristica intellettuale era la ricerca della realtà per la realtà onde fare della realtà la legge perseverante della vita.
Onorevoli senatori, non aggiungo parola: dico soltanto che egli è scomparso nell’ora in cui dava all’Italia il più grande conforto, quello di presidiare la sua grande impresa, alla quale essa dedica tutto il meglio delle sue forze morali e materiali e di presidiarla di un consiglio e d’un consenso altamente consapevole. Ebbene egli ha lasciato una innumerevole schiera di giovani che sono passati nelle aule ove risuonò la sua grande parola. Quei giovani, diciamolo noi da qui, siano essi in armi di fronte al nemico, siano essi in opera di solidarietà civile intenti nel paese, quei giovani, ricordando e benedicendo alla memoria del loro illustre maestro, benedicono ai fati d’Italia. (Approvazioni vivissime, applausi).
Senato del Regno, Atti parlamentari. Discussioni, 13 dicembre 1917.
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