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Senato della Repubblica
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DEL ZIO Floriano

  







   Indice dell'Attività Parlamentare   

   Fascicolo personale   


.:: Dati anagrafici ::.

Data di nascita:04/02/1831
Luogo di nascita:MELFI (Potenza)
Data del decesso:01/02/1914
Luogo di decesso:ROMA
Padre:Tolomeo
Madre:MANDILE Anna Maria
Nobile al momento della nomina:No
Nobile ereditarioNo
Coniuge:Celibe
Coniuge:No
Fratelli:Ireneo
Basilide
Parenti:DEL ZIO Francesco Saverio, avo paterno
DEL ZIO Antenoro, zio, fratello del padre
Basilide nipote, dottore
Luogo di residenza:ROMA
Indirizzo:Via Quattro Fontane, 33
Titoli di studio:Laurea in giurisprudenza
Presso:Università di Napoli
Professione:Docente universitario
Carriera:Professore di Filosofia ed etica presso il Liceo di Cagliari (febbraio 1862-1865)
Professore di Filosofia ed etica presso il Liceo di Ferrara (1865)
Professore di Filosofia ed etica all'Università di Pisa (1865)
Cariche e titoli: Commissario del Comitato unitario costituzionale di Melfi (1860)

.:: Nomina a senatore ::.

Proponente:[Sottoprefetto di Melfi]20/06/1889
Nomina:11/20/1891
Categoria:03 I deputati dopo tre legislature o sei anni di esercizio
Relatore:Salvatore Majorana Calatabiano
Convalida:28/11/1891
Giuramento:27/01/1892

.:: Camera dei deputati ::.

Legislatura
Collegio
Data elezione
Gruppo
Annotazioni
IX
Melfi
22-10-1865*
Sinistra
Ballottaggio il 29 ottobre 1865
X
Melfi
10-3-1867
Sinistra
XI
Melfi
20-11-1870
Sinistra
XII
Melfi
8-11-1874
Sinistra
XIII
Melfi
5-11-1876
Sinistra
XIV
Tricarico
11-7-1880
Sinistra
Elezione in corso di legislatura
XV
Tricarico
(Potenza III)
29-10-1882
Sinistra


.:: Senato del Regno ::.

Commissioni:Membro della Commissione per l'esame del disegno di legge "Proroga a tutto luglio 1902 dell'abbuono del 30 per cento per la distillazione dei vini concessa della legge 29 dicembre 1901, n. 522" (30 aprile 1902)

.:: Atti parlamentari - Commemorazione ::.

Atti Parlamentari - Commemorazione
    Giuseppe Manfredi, Presidente

    Onorevoli colleghi! [...]
    Floriano Del Zio nei primi di quest'anno, in una nuova edizione del suo discorso del 23 dicembre 1870 alla Camera dei deputati sul trasporto della capitale a Roma, notò sé fra i superstiti di coloro, che votarono l'ordine del giorno di gratitudine a Firenze. Giovanni Barracco, il primo di essi, pochi giorni sopravvisse; lo ha seguito Floriano Del Zio nella tomba il primo di questo febbraio.
    Nato in Melfi il 2 aprile 1831, il suo 82° anniversario fu festeggiato in Roma nello scorso aprile dal Fascio Lucano, che l'aveva acclamato presidente onorario. Tutta Lucania salutò lui de' più puri ed intemerati suoi figli; ed il presidente del Consiglio provinciale gli portò i voti di Melfi sua e della provincia; onorando l'integrità ed operosità della sua vita pubblica, l'austerità e frugalità della vita privata, il forte ingegno, la nobiltà de' sentimenti patriottici. Era predestinato, che alla gioia di quel giorno dovesse succedere prima d'un altro aprile il pianto; al festeggiamento del Fascio Lucano il convoglio funebre. Ma l'onore della vita di Floriano Del Zio, lui spento, non perde, aumenta anzi del suo splendore purissimo.
    Giovane, da Melfi a Napoli portò l'intelletto, presto aperto al sapere, come il cuore all'amore della libertà e della patria. Furono suoi studi i letterari ed i filosofici, e negli universitari di giurisprudenza si laureò; ma i filosofici ebbero la sua predilezione, e la filosofia professò nella vita e dalla cattedra fatta libera, e negli scritti.
    Cospiratore ardente contro la tirannide borbonica, nel moto italico fu commissario insurrezionale nel Melfese; organizzò le giunte nei comuni di Melfi, Rapolla, Barile, Rionero ed Atella; il 30 agosto 1860 arringò al popolo nella piazza e nella cattedrale di Melfi, eccitandolo a proclamare la decadenza della borbonica dinastia.
    A lui ricorsero i concittadini per i principali uffici amministrativi e nelle elezioni politiche. Rappresentò alla Camera il collegio di Melfi dalla IX a tutta la XIII legislatura; quello di Tricarico lungo la XIV; ebbe un seggio fra i rappresentanti del terzo collegio di Potenza a scrutinio di lista nel corso della XV. Fu dei più assidui ai lavori, cui prestò le sue idealità e la facile parola. Entrato in Senato per nomina del 20 novembre 1891, qui pure dimostrossi lo zelo suo per il vero e per il bene.
    La mente di Floriano del Zio fu sempre alle alte contemplazioni, ai sublimi concetti filosofici e politici; ed il candore del suo carattere egli serbò sino all'ultimo nella dignitosa povertà. Quanta fosse la nobiltà del suo animo, è attestato da chi gli fu competitore nelle lotte elettorali. Nel giorno delle esequie il telegrafo mi recò un dispaccio di Giustino Fortunato da Napoli in questi termini: "Se le mie condizioni di salute me lo avessero concesso, sarei personalmente venuto ad annunziare la dolorosa morte del collega Del Zio, che generosamente mi onorava di paterno affetto. Forzatamente assente, permetta io dica, che la mia provincia natale non ebbe uomo più altamente degno di lui e che alla sua memoria io renda con pietoso animo il tributo della devota mia riconoscenza". Lode massima dell'estinto; lode al vivente. (Vive approvazioni). [...]
    FILOMUSI GUELFI. Chiedo di parlare.
    PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
    FILOMUSI GUELFI. Dopo le nobili parole pronunciate dal nostro illustre Presidente e che lumeggiano l’intera vita del compianto collega senatore Del Zio, mi permetto di aggiungere qualche parola intorno al suo valore filosofia, giacché egli era un cultore appassionato della filosofia.
    Ricorderò, come egli stesso mi ha detto ed io ho potuto riscontrare questa notizia sopra alcune riviste di quell'epoca, che il senatore Del Zio fu insegnante di filosofia a Napoli dal 1853 fino ai 1860.
    In quell’epoca Napoli sì rinnovava la filosofia di Hegel ed il senatore Del Zio fu appunto un appassionato hegeliano. Inoltre egli fu amico di Bertrando Spaventa.
    Allora a Napoli si combatteva una battaglia critica e filosofica tra la scuola di Bertrando Spaventa, alla quale io apparteneva ed alla quale apparteneva pure il Del Zio, e quella di Augusto Vera. Il dissenso era questo: che lo Spaventa credeva che la filosofia hegeliana non segnasse l’ultimo limite del processo dello spirito, ma fosse una sosta, una tappa mentre il Vera interpretava alla lettera il pensiero dell'Hegel e diceva che non si poteva andare al di là.
    Ora, il Del Zio, cominciando il suo corso l'anno 1861 in un liceo di Napoli, volle leggere ai suoi allievi la prolusione dello Spaventa intitolata: Della nazionalità della filosofia e ne fece i più grandi elogi, augurando il rinnovamento degli studi filosofici, che egli giudicava in decadenza.
    In quell'epoca, insieme con Antonio Tari, il Del Zio scrisse in un periodico: II trionfo dell'idea in Italia, titolo essenzialmente hegeliano. Ma poi, come assai spesso accade, fra questi due hegeliani sorse un dissenso, anche di scuola, determinato specialmente dal fatto, che il Tari aveva creduto di allontanarsi dal linguaggio, abbastanza oscuro di Hegel, per sostituirvi un altro linguaggio anche più oscuro. All’assoluto il Tari sostituiva l’inconosciuto. Ed allora il Del Zio diceva nella sua critica: Come potete chiamare l'inconoscibile, se non lo conoscete? E criticando questo indirizzo, il Del Zio combatté la filosofia, che allora era professata a Napoli e non solo con la filosofia giobertiana, rosminiana, tomistica, francese, ma anche con le teorie del Krause, introdotte in Napoli specialmente per opera dell’Ahrens.
    Inoltre il Del Zio scrisse un altro opuscolo dedicandolo alla gioventù napoletana, opuscolo nel quale inneggia all'ideale della scienza e combatte le obiezioni fatte all'hegelismo, combatte il sentimentalismo, la superstizione.
    Fra le varie sue opere pubblicate, deve essere ricordata: l'Introduzione alla filosofia di Hegel e gli Studi sulla logica di Hegel. Ma, oltre a queste opere il Del Zio lascia moltissimi manoscritti, dei quali si aspetta la pubblicazione dalia pietà degli eredi.
    Notevole sopratutto nell'opera filosofica di Del Zio è, che egli non ha mai rinnegato l'hegelismo, e non lo ha rinnegato nemmeno dal punto di vista della sua credenza che in Hegel non ci fosse l'ateismo, perché tutti sanno che la morte del Del Zio è stata cristiana, anzi cattolica, e che egli ha dato l'esempio che con l'hegelismo si può conciliare Dio e la religione.
    Queste considerazioni servono solo a ricordare l'opera di filosofo del DeiLZio, che deve essere completata coll'ultimo discorso che egli fece nella tornata del 30 maggio 1913, discutendosi, dell'istituzione di una Cattedra di filosofia della storia presso l'Università di Roma.
    Egli combatté le opinioni espresse dagli oratori contrari e si appoggiò specialmente alla autorità di Giuseppe Ferrari, che egli chiamò suo illustre amico e maestro.
    Il Del Zio fu fedele alla tradizione vichiana e all'Hegel il cui libro sulla Filosofia della storia sebbene, sia caduto nei.particolari, nell'idea generale rimane. Fu questo discorso al Senato l'ultimo pronunziato dal Del Zio. Egli rimase hegeliano fino alla morte: aveva difeso Hegel contro l'accusa di ateismo ed aveva sostenuto che la filosofia hegeliana non è contraria alla religione. A questo esempio di virilità del pensiero fino alla tarda vecchiezza, io fo omaggio e mi auguro che questo esempio del vecchio filosofo possa valere anche per combattere una specie di scetticismo che tarla l’animo, specialmente dei giovani filosofi italiani, perché io credo che nella filosofia vi debba essere la fede. Questo il mio augurio, e con questo ho finito il ricordo dell'amico e collega carissimo. (Approvazioni).
    FORTUNATO. Domando di parlare.
    PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
    FORTUNATO. Per la filiale devozione (e sono grato all’onorando Presidente di avermene fatto generosa testimonianza), che io professai costante all'alta, gentile anima di Floriano Del Zio, dacché ebbi modo di avvicinarlo e di conoscerlo; per l'affetto più che paterno che egli ebbe per me nella diuturna consuetudine, posso dire, di oltre trent'anni: consentite, signori senatori, che insieme col mio, io esprima l'unanime sentimento di cordoglio della comune terra nativa per la sua morte, e renda anche io, qui, ov'egli sedeva da oltre un ventennio, l’ultimo, reverente saluto alla sua memoria.
    Se mai una vita ebbe intera, severa conformità di pensiero e di azione, una e l'altro informati a quanto, di più puro e di meno contingente, direi anche di meno personale, è nello spirito umano, quella certamente fu la vita, per semplicità e per modestia più unica che rara, di Floriano Del Zio: prima del 1860 uno dei maggiori della scuola idealistica napoletana, che fu scuola e culto di libertà; a mezzo agosto di quell'anno, commissario di Garibaldi nei suoi e miei paesi del Vulture, che egli tenne e lasciò in pace; e dopo il '60, dapprima insegnante di filosofia, per volere del ministro De Sanctis, a Cagliari, poi tra i più risoluti, ma, insieme, tra i più equanimi di parte democratica costituzionale nella Camera elettiva, che lo ebbe assiduo e diligente da tutti amatissimo per sette legislature.
    Or sempre e per ogni dove, pure in così vario e lungo corso di tempo, egli, quantunque nato assai più alla meditazione che all'azione, benché incline alla solitudine per innato abito della mente, così facile ad innalzarglisi al di sopra delle cose sensibili, sempre e per ogni dove egli irradiò, col quotidiano esempio delle proprie virtù, la dolente, travagliata regione in cui visse, tra il santo e il veggente, l'animo sempre alto sui casi e le miserie umane, per quasi tutti gli anni della vita ognora dedicati allo studio.
    Singolare tempra di studioso, se parve alle volte astratto nella idea o intralciato nel costrutto di argomenti scientifici, relativi, per lo più, alla filosofia della storia, nei cui dettami, come l'illustre suo maestro ed amico Giuseppe Ferrari, ebbe fede, nessuno più lucido e, mi piace soggiungere, nessuno più leale di lui nella espressione immaginosa e fervida, conforme al suo temperamento, del pensiero politico, secondo il più nobile, ma anche il più effettivo significato della parola. Accenno a pochi, lontani ricordi. Il 1861, in una sua prolusione, dettava: "Un Dio che non contraddica la scienza, una fede che non ripugni alla ragione, un'autorità che non violi la giustizia, una legge che non calpesti la morale, questo lo spirito novello, che ancora una volta soffia sulla faccia del mondo, ed a cui tutte le istituzioni, politiche, religiose e civili, debbono ormai ritemprarsi"; e il ‘65, egli chiudeva il programma elettorale: "La prossima soluzione del gran problema di Roma, che restituirà all'Italia, in nome della unità dello incivilimento fatto dalla scienza, la signoria che le spetta, farà sì che i popoli non saranno più servi, né più le coscienze legate dagli arcani del tempio e la terra, cessando di essere straniera agli elisi del Cielo, apparirà sacra a tutte le potenze del vero e del bello". Ed eccolo, appena giunto in Firenze deputato per la IX legislatura, scrivere ai suoi concittadini, una prima volta: "Ho di sicuro, animo preso il mio posto nell'Aula di Palazzo Vecchio, lontano dai due poli della estrema destra e della estrema sinistra, perché solo così potrò seguire liberamente il moto dei partiti parlamentari, ed appoggiare sempre e soltanto il più ragionevole"; e una seconda: "Voi confidate, miei amici, nell'avvenire della rivoluzione, che quanto più si ordina, tanto più si fa forte, e non pentitevi mai di avere invocato la libertà per voi, per l'Italia, per tutti. Essa risana ogni piaga, essa ricolloca i popoli oppressi o sviati nella gran corrente del progresso generale. No, non fu vostra la colpa se la plebe affamata volse le spalle a principii che non intendeva, a costituzione che non diveniva riforma economica, a moto che si traduceva in disordine amministrativo. Ora che è superato ogni ostacolo, voi potete, voi dovete attendervi giorni migliori".
    E quei giorni bene auspicati, onorevoli colleghi, ne'quali io non so che altri della inquieta onda di quel tempo ebbe laggiù fede più invitta della sua, per buona sorte Floriano Del Zio vide ed amò, molto indulgendo agli errori, molto perdonando al triste retaggio, molto confidando in quella che io (posso e voglio dirlo), dacché ebbi uso di ragione, sempre stimai la sola, grande forza redentrice del Mezzogiorno, l’unità nazionale. (Bene, bravo!). Il 29 gennaio, dai fratelli accorsi qui in Roma al suo capezzale, mi faceva scrivere che egli non temeva la morte, perché non aveva pentimenti né rimorsi. Possa l'immacolato suo spirito alitare ognora benefico intorno a me e a tutti di mia e sua terra natale, non mai immemori, io spero, che nessun rimprovero ci colpirebbe tanto acerbo quanto quello di non essere stati abbastanza degni di lui!
    Veglia il Senato mandare le proprie condoglianze alla città ed alla famiglia del caro estinto. (Vive e prolungate approvazioni - Applausi).
    RIDOLA. Domando di parlare.
    PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
    RIDOLA. Dopo le parole nobilissime del nostro illustre Presidente, dopo quelle di Giustino Fortunato, in cui sempre non si sa se ammirare più l'altezza del concetto o la purezza della forma, è vera audacia la mia se oso prendere la parola; ma pure ho il dovere di rendere anch'io un tributo di affetto a questa nobile figura di senatore; ho anch'io il dovere di ringraziare in nome della Lucania il Sanato perché volle rendergli onoranze speciali.
    Se l'affetto par la mia provincia, ricca di memorie antiche e di sventure moderne.
    Un senatore interrompendo. Le sventure sono antiche quanto le memorie.
    RIDOLA..e l'altissima stima che io ebbi pel nostro caro estinto non mi fanno velo all'intelletto, io vi dirò che quelle onoranze furono ben meritate.
    Non starò qui a dimostrarvelo ripetendo l'elogio già fatto del suo intelletto e dell'opera sua; vi dirò invece che in questa nuova età, affaccendata, scompigliata, arrivista, non è frequente incontrare uomini di quello stampo e di quella tempra antica, di quel valore e di quella modestia, e specialmente di quel complesso armonico tra il pensare e l'agire. Oh, diciamolo pure, non è facile né frequente oggidì, nella nuova generazione, trovare in un sol uomo compendiate così armonicamente le forze dell'intelletto e la bontà dell'animo, l'equilibrio di tutte le facoltà della mente e di quelle dal cuore; la contemperanza tra le misere e prosaiche esigenze della vita e la religione del dovere; la povertà nobilmente sopportata e l'integrità, la fierezza del carattere e l’immacolata condotta della vita.
    Floriano Del Zio non deviò mai dalla via retta e quando il bisogno picchiava alla sua porta e le necessità lo assediavano, egli non smise mai la sua serena fierezza e rifiutò ogni sorta di onorificenze e rifiutò posti retribuiti. Egli non chiamò mai evoluzione ed abilità politica il mutar di bandiera.
    Questa classica figura, bella nella sua modestia, non si smentì mai. Cittadino, insegnante, professore, patriota, organizzatore di rivoluzioni, uomo politico, deputato, senatore, egli fu sempre pari a se stesso, fu sempre lui.
    Nelle sue dolci sembianze e nella rigida persona pareva un asceta pieno della sua fede e delle sue idealità. Nel suo portamento dignitoso e modesto, nei suoi occhi vivi e pieni di tanta luce d'intelligenza, egli pareva un redivivo filosofo della Magna Grecia; pareva che sotto quelle vesti moderne si celasse l'anima di Pitagora.
    Siano dunque grazie a voi per quello che faceste, onorevoli senatori, e voi, che foste qui suoi antichi compagni d'arme salutate con me per l'ultima volta questo granatiere della vecchia guardia che, dopo 83 anni di aspra battaglia della vita e per la vita, seppe morire senza arrendersi mai. (Approvazioni vivissime).

    Senato del Regno, Atti parlamentari. Discussioni, 26 febbraio 1914.


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