Atti Parlamentari - Commemorazione
Sebastiano Tecchio, Presidente
Signori senatori! Ogni volta che, dopo un intervallo anche breve delle nostre tornata, la devozione all'uffizio ci riconduce a questa Assemblea, mi tocca il còmpito doloroso di recarvi l'annunzio che la morte ha cancellato dall'Albo il nome di uno o più degli egregi che abbiamo avuto a compagni.
Sul finire del marzo è venuto meno il commendatore D'Ayala, senatore da poco oltre a dieci mesi.
La città di Napoli, che di solenni pompe esequiali avea poc'anzi onorato due insigni patrioti, due poderosi intelletti, i senatori Luigi Settembrini e Paolo Emilio Imbriani, non minori omaggi ha renduto il 28 marzo alla salma di un illustre loro collega, il senatore Mariano D'Ayala.
Questi era nato il 14 luglio 1809 a Messina: ma bramoso, sin da' primi anni, di apprendere l'arte della guerra, e le scienze che sono a quella potentissimo ausilio e decoro, si tramutò a Napoli come alunno del Collegio militare, che ha nome la Nunziatella: preclaro Collegio, nel quale la fortuna d'Italia ha voluto che il Governo borbonico, certamente senza saperlo e senza sognarlo, allevasse buon numero degli uffiziali che ora ammiriamo nei più alti gradi del nostro esercito, gagliardo e religioso custode della unità e dell'onore della nazione.
Di corto, il giovane alunno raggiunse in quel Collegio il grado di capitano, e l'ufficio di professore di artiglieria.
Si avvicinavano i tempi che l'Italia sospirava da tanti secoli. Ferdinando II pareva volgere a miti consigli negli ordini del reame. Il D'Ayala, non sospettando che quelle lustre sarebbero vane e capziose, assumeva il carico d'Intendente della Provincia d'Aquila; ma lo smetteva, più presto che subito, quando il 15 maggio del 1848 ha rivelato al mondo civile di che razza si fossero e di che tempera le promesse di Re Borbone.
Prese allora il D'Ayala la via dell'esilio: ebbe onesta e lieta accoglienza nella gentile Toscana: fu ministro per la guerra nel breve periodo del triumvirato.
Sennonchè, tosto dopo la sciagura del magnanimo Carlo Alberto, a Firenze sopravvennero le armi dello straniero: onde il D'Ayala, del pari che tanti altri de' suoi, chiese l'ospitalità del generoso Piemonte, il quale, in onta alle ire del fato, continuava a impugnare, per non piegarla giammai, la bandiera dell'italica independenza.
I dieci anni e più della sua emigrazione furono consacrati a rinvigorire la mente e l'animo suo coi bellici studi, ai quali cresceano ornamento quegli altri, egualmente a lui dilettissimi, delle istorie napolitane, e della lingua dei nostri classici, della quale era molto perito, e divoto sino allo scrupolo. Alcuni scritti assai pregiati diede alle stampe: molti più giacciono inediti; ché gli difettavano i mezzi da mandarli pe' torchi: la repubblica delle lettere desidera che presto vengano in luce.
I miracoli del 1860 gli riapersero le porte di Napoli; e quivi si ebbe parecchi uffici elettivi. Fu generale di quella guardia nazionale, che in giorni paurosi e difficili seppe rendere alla causa della libertà e dell'ordine servigi splendidi, cui sarebbe ingiustizia dimenticare. Poco appresso, tenne il comando della divisione militare di Caltanissetta. Il V collegio di Napoli lo inviò alla Camera dei deputati. Il Governo del Re lo ha creato senatore il 15 maggio 1876: deh! che ricordi la data del 15 maggio gli avrà suscitato nell'animo!
Ogni parola, che io dicessi rispetto alla bontà dell'indole, alla dolcezza del cuore, alla integrità, alla fermezza, alla modestia di Mariano d'Ayala, e al suo patrio amore, che altri chiamò idolatria, riuscirebbe troppo minore del vero.
È morto povero: condizione non nuova, né rara tra i valentuomini che hanno meritato altamente della nostra gran madre, l'Italia.
(Vivi segni di approvazione). [...]
MINISTRO GRAZIA E GIUSTIZIA. [...] non posso obliare che l’onorando senatore Mariano D’Ayala divise con me nel corso di una vita intiera le generose aspirazioni e le patriottiche speranze della gioventù, i dolori della proscrizione, i confronti e le gioie del risorgimento della patria nostra.
Quale elogio io potrei consacrare alla sua memoria, che non riesca immensamente inferiore ad un merito incomparabile, pallido, riflesso di una luce d’immortale splendore? E commosso nell’anima sino alle lagrime, saprò col labbro trovare parole che rispondano in questo momento all’altezza del soggetto?
Mariano D’Ayala fu uomo di antichi costumi, di elevato carattere, di elettissimi studi, fiero della sua mobilissima poverà, e di quella costante indipendenza che non era ostentazione orgogliosa, né brama di popolarità, ma era modesta coscienza dei doveri del vero patriottismo, sentimento vivo e profondo dell’umana dignità.
Egli, nell’esercito, negli uffici pubblici, nella vita politica, nell’esilio, da per tutto, fu un modello di virtù rarissime, e non smentì un istante la sua devozione all’Italia, alla sua grandezza, alla sua libertà.
Il Governo, per mia bocca, benché con forme troppo disadorne, ché la commozione dell’animo mi vieta trovarne migliori, si associa al lutto del Senato, al lutto della intera nazione, per questa perdita deplorata e immatura, e d io auguro all’Italia molti cittadini ed uomini politici che rassomiglino a Mariano D’Ayala.
(Segni d’approvazione).
Senato del Regno, Atti parlamentari. Discussioni, 25 aprile 1877.
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