SI
Senato della Repubblica
Senato della Repubblica
Siete qui: Senatori d'Italia » Senatori del Regno (1848-1943) » Scheda Senatore  


DI GIACOMO Gennaro

  







   Indice dell'Attività Parlamentare   


.:: Dati anagrafici ::.

Data di nascita:09/19/1796
Luogo di nascita:NAPOLI
Data del decesso:01/07/1878
Luogo di decesso:CASERTA
Padre:Giuseppe
Madre:LOMBARDO Maria Giuseppa
Nobile al momento della nomina:No
Nobile ereditarioNo
Presso:Seminario urbano arcivescovile di Napoli
Professione:Ecclesiastico
Altre professioni:Docente
Carriera:Sacerdote (18 marzo 1820)
Docente di Geografia e storia patria al Collegio militare di Napoli (1830)
Supplente di Diritto canonico all'Università di Napoli (1832-1833)
Lettore di poetica nel Liceo arcivescovile di Napoli (1833-1836)
Parroco della Chiesa di S. Maria della Rotonda di Napoli (1836)
Vicario curato del Duomo di Napoli (1843)
Vescovo di Alife, Cerreto e Telese (4 marzo 1849-estate 1873)

.:: Nomina a senatore ::.

Nomina:05/24/1863
Categoria:01 Gli Arcivescovi e Vescovi dello Stato
Relatore:Giuseppe Vacca
Convalida:03/08/1863
Giuramento:03/08/1863


.:: Atti parlamentari - Commemorazione ::.

Atti Parlamentari - Commemorazione
    Sebastiano Tecchio, Presidente

    Signori senatori.
    Nella sera del 1° luglio un venerato nostro collega, Monsignore Gennaro di Giacomo, andò all'altra vita.
    Era nato in Napoli il 17 settembre 1796.
    Non ancora compiuti gli anni sei dalla nascita, era entrato nel Seminario di Gaeta. In tre anni percorreva lo studio delle grammatiche, e s'è altresì accostato alla matematica. Una fierissima malattia il costrinse a uscire di quelle scuole. Le vicende della famiglia, al cadere del 1806, lo trassero a Roma; dove continuò gli studi nel Collegio Romano, poc'anzi sgombrato dai Gesuiti. Dopo due anni, reduce a Napoli, fu accolto nel Seminario arcivescovile, allora governato dal gran Vicario monsignore Della Torre, stante l'esilio dell'arcivescovo cardinale Ruffo. Nel 1814, vinto il concorso per via di esame, venne ammesso al Pensionato Normale; Instituto, che il Capone nell'elogio storico del ministro Zurlo ha così definito: “Fu un bellissimo pensamento, messo in opera sotto il Ministero del conte Zurlo, il Pensionato Normale, ossia un Seminario di professori futuri nelle varie Facoltà, composto di giovani di ottimo ingegno e di buona indole, che imparassero, per dover insegnare, tenendo frattanto un luogo medio tra studianti e maestri.
    Poi, deliberato di proseguire la carriera ecclesiastica, diventò alunno nel Seminario urbano arcivescovile di Napoli, e vi rimase sino al Sacerdozio, al quale fu assunto nel 1820, mentreché gli mancavano 13 mesi di età canonica. La dispensa dei 13 mesi gli era stata impartita dalla Santa Sede come premio di una conclusione filosofica che fino dal 1816 egli avea propugnato in faccia a gravissimi contraddicenti. Frattanto l'alunno ebbe ufficio di sostituto alle scuole di lettere latine e greche, e oltracciò di prefetto del Circolo di filosofia. Nel 1827 salì in quegli studi arcivescovili la Cattedra di rettorica. Per tre anni esercitò la gioventù nella letteratura latina, e singolarmente nella interpretazione del Diritto romano, e più che mai delle Pandette, la cui latinità (così egli scriveva) è ben noto quanto sia precipua. Nel 1830 fu nominato professore di Geografia e di Storia patria nel Collegio militare di Napoli. Nel biennio 32-33 fece le veci del professore Caterino nella Cattedra di Diritto Canonico all'Università. Dal 1833 al 36 fu lettore di Poetica nel Liceo arcivescovile. Sul finire del 1836, chiamato a parroco di Santa Maria della Rotonda in Napoli, cessò dall'ufficio di cattedratico: ma sì accesa era la sua passione degli studi, che nelle ore di tregua a' servigi della parrocchia si radunava intorno a sé i vogliosi giovani, e apriva loro i precetti e le gioie dei classici di Atene e di Roma.
    Nel gennaio del 1849 fu innalzato alla Sedia vescovile di Piedimonte d'Alife; e non per questo seppe o volle distogliersi dai vecchi amori alle lettere, e dalle abitudini del docente. Sicché io m'ebbi sottocchi a questi di un documento del 20 ottobre 1869, nel quale i deputati delle Scuole e Disciplina del Seminario Alifano affermavano” che monsignore Di Giacomo, fin dall'epoca del suo ingresso in quella diocesi, come quasi sollievo dell'animo suo, e senza scapito o sturbo dell'esercizio delle cure episcopali, ha messo grande sollecitudine nella istruzione, specialmente letteraria degli alunni, non soltanto sopraintendendo e vigilando personalmente, ma personalmente insegnando, sopra di ogni altro, lettere latine e greche; nel quale insegnamento ciò che è stato sommamente riputato degno di applausi per la sua utilità è stato appunto il metodo, quanto breve, altrettanto facile ed energico.
    Ma chi mi saprebbe dipingere i vigili accorgimenti ond'egli, monsignore Di Giacomo, in quegli anni, ch'erano il colmo della reazione, s'adoperava a difendere e guarentire or l'uno or l'altro de' diocesani dai sospetti e dalle ire della tirannide? Bene io godo a pensare meco medesimo i magni giorni del 1860, quand'egli, primo dei vescovi del reame, muovea dinanzi all'aspettato dalle genti, Vittorio Emanuele II, e acclamavalo Re d'Italia!
    Il decreto 24 maggio 1863, ha scritto monsignore Di Giacomo nell'Albo dei senatori.
    E qui, a far fede se in lui era acuto l'ingegno, doviziosa la erudizione, profonda la dottrina, prepotente l'affetto alla patria, ci valgono le Allocuzioni che egli ha pronunciate alla nostra Assemblea in due momentosissime contingenze: l'una, sullo scorcio del 1864, quando agitava le menti e gli animi la Convenzione che tramutò la capitale da Torino a Firenze; l'altra, nel marzo del 1865, mentre fervevano le contenzioni se l'articolo primo dello Statuto non impedisse alla podestà laica di dettar legge ai matrimoni dei cittadini, - e dettarla nei termini del libro I, titolo V, del Codice civile del Regno.
    Chi ben guarda al suo Discorso circa la Capitale, non può non accorgersi come il buon Vescovo, il buon senatore, sentisse e presagisse che la convenzione di settembre non punto riescirebbe a rompere il nostro programma, o a frenare le nostre aspirazioni verso la eterna Città; talché ei bramava, e consigliava instantissimamente, gli accordi del Pontefice col Re eletto; e conchiudeva in queste parole: “Io voglio sperare che il magnanimo Pio IX, il quale dal primo giorno del suo pontificato non respirò un'aura di calma, chiara or veggendo la condizione d'Italia, tanto concepisca interesse per noi, che, quando siano scomparse dal suolo di Roma le armi francesi, altamente proclami trovar egli il suo appoggio nell'amore leale degli Italiani (1)”.
    Dell'altro Discorso sul matrimonio civile, già preceduto da una sua lettera divulgata in istampa a Torino il 7 luglio 1864 (2), io non presumo di cavare la essenza: tanti ivi sono, e tanto arguti i rispetti dell'oratore; tanta la lotta tra il cattolico e il filosofo; e irrefrenabile l'ansia di metter pace tra le ragioni e le competenze diverse della Chiesa e dello Stato; questo, che governa il contratto de' cittadini; quella che dona la grazia ai credenti (3). Fatto è, che il sapientissimo Giuseppe Vacca, ministro Guardasigilli, preludendo alla confutazione di molti oratori, così si espresse: “Non mi attenterò, o signori, di entrare nel ginepraio delle teologiche disquisizioni. Dirò solo, che mi fu grato di udire una parola autorevole levarsi in questo recinto, la parola di un prelato senatore (monsignore di Giacomo), il quale non si peritò di ridurre al giusto valore alcuni argomenti di che avea intessuta la sua orazione l'onorevole senatore Mameli, ma lo fece in verità con quelle riserve, reticenze, e precauzioni, che gli erano consigliate dal suo carattere augusto. Non pertanto ei disse abbastanza per lasciar intendere che la pura dottrina cattolica non è poi così inflessibile, né così intollerante, come vorrebbero interpretarla i ferventi campioni di essa (4)”.
    Anche dopo il 1865 monsignore di Giacomo, comeché rotto dagli anni, si recava ogni tanto alle nostre tornate; e niuno ha dimenticato che nel luglio del 1876 qui lo vedemmo, pazientissimo testimonio dei combattuti destini della legge sui punti franchi.
    È noto che pe' suoi principî liberali ha dovuto sostenere, non rade volte, aspri conflitti col Cardinale di Napoli e colla curia romana: e corse voce che del suo intervento al Senato nel 76 gli abbia fatto censura il Pontefice; e per giunta gli sia stato imposto di smettere il vescovato. Certo che, d'indi in poi, prese stanza a Caserta, ospitato e soccorso dal Re; e quivi poco prima di giungere all'anno ottantesimo secondo dell'età sua, ha esaltato lo spirito tra le benedizioni, e le lagrime, soprattutto dei poveri, che in lui ammiravano l'angelo della carità veramente evangelica.
    (Vivi segni di approvazione).

    Senato del Regno, Atti parlamentari. Discussioni, 13 luglio 1878.
    (1) Discussioni della Camera dei senatori. Tornata 7 dicembre 1864. Roma, tipografia Cotta e Comp. pag. 2158.
    (2) Lettera agli onorevoli senatori, membri della Commissione speciale per riferire il primo titolo del Codice civile del Regno d’Italia. Torino, tipografia Favale.
    (3) Discussioni della Camera dei senatori. Tornata 18 marzo 1865. Roma 1873, tipografia Cotta e Comp. pag. 2606.
    (4) Discussioni della Camera dei senatori. Tornata 21 marzo 1865. Roma, tipografia Cotta e Comp. pag. 2647.


Attività 0849_Di_Giacomo_IndiciAP.pdf