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.:: Dati anagrafici ::. |
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Data di nascita: | 11/24/1816 |
Luogo di nascita: | Milano |
Data del decesso: | 25/06/1900 |
Luogo di decesso: | Milano |
Padre: | Febo, marchese |
Madre: | Khevenhüller, contessa di Casatisma Leopolda |
Nobile al momento della nomina: | Si |
Nobile ereditario | Si |
Titoli nobiliari | Nobile dei marchesi di Pandino e dei marchesi di Cassano |
Coniuge: | Falcò Valcarcel Pio Maria, dei principi di S. Gregorio e marchesi Di Castel-Rodrigo |
Figli: | Giovanni
Leopolda, che sposò Annibale Brandolin, senatore (vedi scheda) |
Fratelli: | Giovanni
Emanuele
Vitaliano |
Parenti: | Emanuele, nipote, senatore
Brandolini Annibale, conte
Brandolini Febo, avo |
Altra residenza: | Milano |
Indirizzo: | Via A. Manzoni 45 |
Professione: | Possidente |
Altre professioni: | Amministratore pubblico |
Carriera: | Governatore, poi prefetto di Torino (1859-13 marzo 1862) |
Cariche amministrative: | Consigliere comunale di Milano (1871-1889)
Consigliere provinciale di Pavia (1875) |
Cariche e titoli: | Membro della Società d'incoraggiamento d'arti e mestieri di Milano [post 1840-ante 1845] (Regno lombardo-veneto)
Capitano (1848) (Regno di Sardegna)
Membro del Consiglio d'amministrazione della Società ferroviaria di Lombardia e dell'Italia centrale, poi Società ferroviaria dell'Alta Italia (1861)
Vicepresidente, poi presidente del Consiglio d'amministrazione della Società ferroviaria dell'Alta Italia (1873)
Presidente del Consiglio d'amministrazione dell'Ospedale maggiore di Milano (1863-1866)
Presidente della Congregazione di carità di Milano (1868-27 febbraio 1886) |
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.:: Nomina a senatore ::. |
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Nomina: | 02/29/1860 |
Categoria: | 21 | Le persone che da tre anni pagano tremila lire d'imposizione diretta in ragione dei loro beni o della loro industria |
Relatore: | Gabrio Casati |
Convalida: | 11/04/1860 |
Giuramento: | 02/04/1860 |
Annotazioni: | Giuramento prestato prima della convalida, in seduta reale d'inaugurazione di sessione parlamentare |
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.:: Onorificenze ::. |
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Commendatore dell'Ordine dei SS. Maurizio e Lazzaro 10 gennaio 1862
Grande ufficiale dell'Ordine dei SS. Maurizio e Lazzaro 25 aprile 1886
Gran cordone dell'Ordine dei SS. Maurizio e Lazzaro 10 ottobre 1886
Commendatore dell'Ordine della Corona d'Italia 16 luglio 1868
Grande ufficiale dell'Ordine della Corona d'Italia 13 ottobre 1873 |
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.:: Senato del Regno ::. |
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Cariche: | Segretario (11 aprile-28 dicembre 1860) (22 febbraio 1861-21 maggio 1863) |
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.:: Atti parlamentari - Commemorazione ::. |
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Stanislao Cannizzaro, Vicepresidente
Signori Senatori!
Ieri si spegneva in Milano, sua patria, uno dei più benemeriti veterani del risorgimento italiano, il senatore Carlo D’Adda.
Nato in novembre del 1816 da famiglia patrizia per tradizione collegata alle vicende politiche della metropoli lombarda, si giovò della posizione e del seguito che aveva il suo casato e delle simpatie che le sue qualità personali gli avevano conciliato di buon’ora, per alimentare nei suoi concittadini la ripugnanza alla dominazione straniera ed il proponimento di sottrarsene.
Incalzando gli eventi, nell’inverno del 1848 egli riparò in Torino, dove divenne l’anello di congiunzione tra i cittadini milanesi che preparavano la riscossa e Re Carlo Alberto.
Singolari invero furono le intime relazioni stabilitesi ben tosto tra quel Re severo di diritto divino, e questo inviato senza credenziali di un segreto Comitato rivoluzionario, ed ammirevole fu la condotta di questo insolito diplomatico per riaccendere nel Re l’ardore patriottico italiano per lunghi anni dissimulato e procurargli la cooperazione e gl’impulsi del patriziato liberale piemontese, di cui era anima motrice il conte di Cavour.
Memorabile e decisivo nella storia del Risorgimento italiano è quel momento in cui, insorta Milano, il conte di Cavour, in un energico scritto proclama: "L’ora suprema della dinastia Sabauda è suonata!".
E Carlo Alberto, questo Re dalle forme rigide e compassate, mostrandosi dal balcone alla folla eccitata che chiede risoluzione, si impadronisce della sciarpa tricolore cinta dal rivoluzionario D’Adda che stava al suo fianco e l’agita come la bandiera dell’indipendenza italiana, alla cui difesa giurò così consacrarsi al cospetto del popolo torinese plaudente.
Fallito nel 1849 quel primo tentativo della indipendenza italiana, Carlo D’Adda, dopo qualche tempo, tornò quatto quatto nella sua patria, e si adoperò sopra tutto a tenere ferma nella cittadinanza la speranza di una prossima nuova riscossa e la fede nella Casa Savoia, a cui era rimasta affidata la guida e la custodia dell’avvenire d’Italia.
Salutò con entusiasmo il risveglio del 1859 e da sua parte si pose a cooperare da funzionario e da cittadino al successivo sviluppo del programma unitario monarchico italiano, combattendo con tutte le sue forze ogni tentativo di deviazione da quel programma.
Prestò ben tosto al Governo del Re l’opera sua come Governatore e poi come Prefetto della provincia di Torino.
Adempì con costante zelo l’ufficio di senatore a cui fu nominato nel 1860 e quello di segretario dell’ufficio di Presidenza, a cui fu immediatamente eletto; e sin anche in questo anno, non ostante la malferma salute per la tarda età, l’abbiamo veduto prender parte alle nostre deliberazioni.
Nella sua città natale prestò il suo concorso nelle principali amministrazioni cittadine; presidente dei Luoghi Pii ospitalieri, presidente della Congregazione di carità, consigliere comunale ecc. ecc., facendosi costantemente venerare per la serena dignità del carattere, per l’animo nobilissimo, per l’esemplare integrità e spirito filantropico.
Signori senatori, Piacemi chiudere questo breve ricordo del nostro venerato collega leggendo le seguenti affettuose parole a lui dirette con un telegramma dal Re Umberto nella occorrenza della commemorazione delle Cinque giornate milanesi:
"Mentre", gli telegrafò il Re, "ferveva l’eroica lotta delle Cinque giornate, Ella accorreva a chiedere, a nome dei combattenti, il fraterno soccorso delle truppe piemontesi e il mio Avo brandiva allora la spada e iniziava la guerra dell’indipendenza italiana. Nel rammentare questi sacri ricordi, il mio pensiero corre a Lei che annovero tra i più generosi patrioti di quei tempi fortunosi, ed auguro che la Sua vita, sempre dedita al bene della patria, possa per lunghi anni essere di esempio tra i suoi concittadini alle giovani generazioni".
Aggiungiamo ora a quelli del Re i nostri voti, che la fermezza dei propositi e la perseveranza nell’operare, di cui diede prova il compianto patriota milanese, sia imitato dalle cittadinanze italiane, affinché l'Italia raggiunga gli alti suoi destini. (Vive approvazioni).
GADDA. Domando la parola.
PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare.
GADDA. Desidero di dire una parola in commemorazione del defunto nostro collega Carlo D’Adda.
Mi rincresce di non aver potuto raccogliere alcuni dati che mi metterebbero in grado di precisare fatti che altamente onorano la vita del D’Adda.
Devo però dire, sicuro di essere all’unisono con tutti gli amici di Milano, che il D’Adda ebbe un carattere di tale elevatezza che pochi possono eguagliarlo. Egli non ha mai deviato un momento da quella retta linea di condotta che si era prefissa.
Come ha cominciato la sua vita pubblica, spendendola tutta pel paese, così egli l’ha continuata finché le sue forze glielo hanno consentito.
Dobbiamo ricordare che il D’Adda ha appartenuto a quel gruppo di eletti milanesi che hanno dimorato a Torino dal 1848 al 1860. Egli, con l’Arese, col Correnti, col Porro, col Giulini e con altri, fece nell’esilio volontario grande onore alla emigrazione lombarda ed alla storia del nostro risorgimento; ha rappresentato degnamente il vero concetto lombardo che era la libertà e la indipendenza della patria.
Egli seppe conquistare tutta la stima di Cavour, in guisa che ebbe l’onore di essere da lui chiamato amico e fu suo interprete presso noi lombardi.
Il D’Adda ha appartenuto a quella eletta schiera che noi, di pochi anni più giovani, guardavano come esempio e modello di patriottismo.
Il Cavour rese allora un grande servizio ai milanesi, quando nominò governatore di Torino il D’Adda. Con ciò volle che Torino, quella città che si univa a Milano con tanto trasporto di affettuoso patriottismo, che rappresentava il futuro della nostra Italia, volle che avesse un campione dei nostri valorosi, il quale facesse testimonianza favorevole di Milano. Per questo fatto noi uomini di quell’epoca, conserviamo ancora gratitudine al conte di Cavour, perché la scelta del D’Adda dimostrò come il sentimento nazionale e liberale fosse rappresentato a Milano.
In moltissime occasioni io ebbi ad ammirare la nobiltà di carattere del nostro collega defunto, di questo gentiluomo senza macchia e senza paura. (Bene).
Non ero preparato a fare oggi una commemorazione del D’Adda; mi limiterò soltanto a dirvi, onorevoli colleghi, che noi abbiamo perduto molto colla morte di Carlo D’Adda, perché egli era uno di quegli uomini che difficilmente si possono rimpiazzare. Vi dirò anche che io mi sentii trascinato a dire queste parole, perché il D’Adda a me, suo coetaneo, ricorda la più bella epoca della nostra vita, quella in cui si è combattuto per la patria e si è vinto. (Approvazioni).
Senato del Regno, Atti parlamentari. Discussioni, 26 giugno 1900.
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