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Senato della Repubblica
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SERAFINI Filippo

  







   Indice dell'Attività Parlamentare   


.:: Dati anagrafici ::.

Data di nascita:04/10/1831
Luogo di nascita:PREORE (Impero Austro Ungarico) - oggi (Trento)
Data del decesso:15/05/1897
Luogo di decesso:PISA
Padre:Domenico
Madre:COMINOTTI Antonia
Nobile al momento della nomina:No
Nobile ereditarioNo
Coniuge:MAGENTA Gina Elvira
Figli: Adelina, che sposò Lando LANDUCCI, senatore (vedi scheda)
Serafino
Enrico
Pierina, che sposò Pietro COGLIOLO, senatore (vedi scheda)
Ercolina coniugata Caporali
Elvira coniugata BOELHOUWER
Fratelli:Antonio
Pietro
Filippo
Giovanna
Domenico
Teresa
Arcangelo
Adelaide
Catarina
Parenti:SERAFINI Gian Pietro, avo paterno
SERAFINI BETTA Teresa, ava paterna
SERAFINI Maria Dorotea, zia, sorella del padre
SERAFINI Giovanni, zio, fratello del padre
SERAFINI Antonio, zio, fratello del padre
SERAFINI Maria Teresa, coniugata GALETTI, zia, sorella del padre
SERAFINI Francesco, giudice, zio, fratello del padre
SERAFINI Bernardino, zio, fratello del padre
SERAFINI Lucia Maria, zia, sorella del padre
SERAFINI Ottavio, zio, fratello del padre
SERAFINI Catarina, zia, sorella del padre
Titoli di studio:Laurea in giurisprudenza
Presso:Università di Vienna
Professione:Docente universitario
Carriera giovanile / cariche minori:Professore incaricato di Diritto romano e Storia del diritto all'Università di Pavia (5 settembre 1857)
Carriera:Professore ordinario di Istituzioni di diritto romano all'Università di Pavia (20 febbraio 1860)
Professore ordinario di Diritto romano all'Università di Bologna (11 maggio 1868)
Professore ordinario di Diritto romano all'Università di Roma (19 ottobre 1872)
Rettore dell'Università di Roma (1872-1873)
Professore ordinario di Diritto romano all'Università di Pisa (1873-15 maggio 1897)
Rettore dell'Università di Pisa (1894-1895)
Professore onorario dell'Università di Pavia
Cariche e titoli: Membro del Consiglio superiore della pubblica istruzione (30 aprile 1882-4 maggio 1884) (1° giugno 1885-31 maggio 1889) (1° luglio 1891-30 giugno 1895)
Membro della Giunta del Consiglio della pubblica istruzione (1° maggio 1883-4 maggio 1884) (1° luglio 1891-30 giugno 1895)
Direttore della rivista "Archivio giuridico" (1869-1897)
Condirettore della rivista "La legge" (1870)
Condirettore della rivista "Diritto commerciale"
Socio nazionale dell'Accademia dei Lincei (6 maggio 1880)
Socio corrispondente dell'Accademia delle Scienze di Torino
Socio dell'Accademia dei Fisiocritici di Siena
Socio dell'Accademia degli Agiati di Rovereto
Socio onorario dell'Accademia di scienze, lettere e arti di Palermo

.:: Nomina a senatore ::.

Nomina:11/21/1892
Categoria:19 I membri ordinari del Consiglio superiore di istruzione pubblica
dopo sette anni di esercizio
Relatore:Piero Puccioni
Convalida:30/11/1892
Giuramento:23/11/1892
Annotazioni:Giuramento prestato prima della convalida, in seduta reale d’inaugurazione di sessione parlamentare
.:: Onorificenze ::.

Cavaliere dell'Ordine della Corona d'Italia 22 maggio 1869
Ufficiale dell'Ordine della Corona d'Italia luglio 1871
Commendatore dell'Ordine della Corona d'Italia 2 gennaio 1873
Cavaliere dell'Ordine dei SS. Maurizio e Lazzaro 1° settembre 1871
Ufficiale dell'Ordine dei SS. Maurizio e Lazzaro 20 giugno 1895
Commendatore dell'Ordine della Corona (Prussia)
Cavaliere dell'Ordine dell'Aquila Rossa (Prussia)


.:: Atti parlamentari - Commemorazione ::.

Atti parlamentari Commemorazioni.
    Domenico Farini, Presidente

    Signori senatori! [...]
    Alle ore 12.20 del giorno 15 di maggio spirò il professor Filippo Serafini.
    Nato a Preore nel Trentino il 10 aprile 1831, ai primi studi nel Tirolo, nell'Università di Vienna attese a quelli del diritto. Innsbruck, Berlino, Heidelberg, i più importanti istituti della Germania frequentò; a Siena ed a Pisa udì le lezioni del Conticini e del Doveri.
    Dotto in ogni ramo del giure, nel diritto romano ebbe fama mondiale. Con onore fino dal 1857 lo insegnò a Pavia, dal 1868 ne tenne con plauso cattedra a Bologna; di quella di Roma nessuno fu reputato degno più di lui, quando sapienza di Stato intese e volle che dalla capitale la face della scienza mostrasse al mondo gli alti intenti della nuova Italia: a Pisa una gioventù avida di sapere, per circa un quarto di secolo, si affollò alle sue lezioni, oltrecché di diritto romano, di diritto commerciale e di introduzione enciclopedica alle scienze giuridiche.
    Bel parlatore, senza ostentare dottrina, senza affastellare erudizione, parlasse o scrivesse, riusciva mirabile di chiarezza e di semplicità. E semplice e spigliato e giocondo appariva in ogni atto della vita, con sorriso amorevole irradiando l'animo sereno nella famiglia, nella scuola, fra i colleghi, i discepoli con amorevolezza paterna indirizzando ed aiutando. Così mercé sua e di altri egregi sorse una generazione di valorosi romanisti onde l'Italia oggi si onora, ed attorno al maestro si diffuse un prestigio che conferì sempre alla pace ed all'ordine degli studi, anche quando a Roma ed a Pisa fu sopra a tutti preposto.
    Dirigendo l'Archivio giuridico, collaborando nella Legge e nel Diritto commerciale, illustrando molte controversie di diritto, dettando sapienti opinamenti, le quante volte discendesse dalla pura speculazione; in ogni occasione raccolse e trasmise larga eredità di dottrina agli studiosi che verranno. I quali a tacere d'altro nelle sue ”Istituzioni di diritto romano” e nelle ”Pandette di Arndts” che tradusse ed annotò troveranno insieme alla gran messe tesoreggiata, la impronta di una mente, nella storia del diritto versata, quanto splendente ed acuta.
    Come tale, le più illustri accademie, a cominciare dalla nostra dei Lincei, se l'associarono. Come tale l'onorarono le università, i dotti d'Italia e d'ogni parte del mondo, compiendo egli il trentacinquesimo d'insegnamento l'anno 1892, ed il Senato l'accolse nel proprio albo.
    Ed ora che il comune Pisano con intendimento civile gli decretò gli onori del camposanto urbano; ora che docenti e discenti e cittadini, mesti ne tumularono la venerata salma fra i gloriosi avelli, alla insigne memoria noi pure tributiamo rammarico ed onore. Perché Filippo Serafini fu un cittadino illibato che l'aspro sentiero della vita da forte ascese per nativa virtù, e dal suo poderoso ingegno la patria fu onorata. (Approvazioni). [...]
    PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il senatore Buonamici.
    BUONAMICI. Ben poco posso aggiungere a ciò che così bene ha detto il nostro signor Presidente, commemorando la perdita che la scienza e la patria ha fatto nella morte del senatore Serafini.
    Ma quel poco che mi resta a dire lo dirò; che mi sembra con questo di compiere un dovere di affettuosa ricordanza verso il collega e l'amico; e mi sembra anche di non uscire affatto dall’intento che questa onorevole Assemblea deve sempre avere innanzi a se stessa, vale a dire l'intento del pubblico interesse; imperocché sia pubblico interesse il lodare e il commemorare le persone che illustrarono la patria. Queste ultime mie parole senza dubbio convengono a Filippo Serafini; il quale durante la sua vita non ebbe altro scopo del suo continuo lavoro che giovare alla scienza ed agli studi della gioventù italiana; perché questa riuscisse degna della fama che nel diritto ebbe per non breve correr di secoli il paese nostro.
    Questo è il punto di vista da cui deve essere specialmente considerata la vita del Serafini.
    Quindi io non mi fermo sul ricordare i sentimenti di buon italiano che costantemente mantenne in sé Serafini. Dirò soltanto che egli amò grandemente la patria sua e la libertà della patria sua, e l'amò, se mi è permesso di dir così in doppio modo; vale a dire l'amò col pensiero d’italiano, e l'amò ancora con un vivo e diverso desiderio, pensando al suo proprio paese, il Trentino, ove era nato.
    Non dirò nemmeno del suo carattere buono, e tranquillo, della sua tolleranza per tutte le opinioni, anche a proposito delle dottrine da lui sostenute; né dell'affetto paterno e pieno di sollecitudine, che, come è stato qui già detto, esso dimostrò verso i suoi discepoli. Essi lo ricambiarono sempre con venerazione, e con amoroso cuore di figli. Commossi della disgrazia che, negli ultimi giorni del vivere del loro professore, prevedevano vicina, non lasciavano la sua casa, assistendolo notte e giorno, a vicenda fra loro. E quando egli fu spento, vegliarono il suo corpo: di più vollero portare sui loro omeri, or l'uno or l'altro alternativamente, il di lui feretro nel lungo tragitto per la città, fino all'ultimo luogo del suo riposo. Il quale fu decretato spontaneamente dal Comune di Pisa nel camposanto monumentale, là dove in mezzo ai miracoli dell'arte risorgente tanti illustri hanno il sepolcro; come il Decio, il Mossotti, il Salvagnoli, il Meneghini, il Betti ed altri che precedettero nella vita e nella fama Filippo Serafini; il quale però alla pari di essi meritò questa suprema onoranza.
    Dal narrare minutamente queste cose ora io mi astengo, come ho già detto, benché potessero formare argomento di lungo e opportuno discorso; volendo sollecitamente ritornare a quel punto già accennato, che è quello per il quale il nome di Serafini sarà specialmente ricordato nella storia delle dottrine giuridiche italiane.
    Ognuno sa, che quando si vuole delineare la figura di un uomo che, dopo la morte lascia dietro a sé una bella fama, bisogna raggruppare tutti i fatti della sua vita, considerarli insieme, vedere se da tutti questi fatti risulta una idea, o un concetto principale che animò e diresse il vivere di cotesto uomo, e se questa stessa idea, che usci fuori da molti fatti, convenne al tempo in cui l’uomo illustre visse, ed al suo paese.
    La fama e il nome di lui è il prodotto di questo complesso di fatti e dell'idea che li illuminò; ed è ciò che veramente lo storico deve ricercare.
    Tentiamolo ancor noi a riguardo di Filippo Serafini.
    Egli fin da giovinetto si dedicò con passione allo studio del diritto. E dopo avere, come già è stato narrato, visitate e praticate le università germaniche; e dopo avere nell'Università di Vienna seguito il corso del Arndts, di cui tradusse il celebrato corso delle Pandette, e Io commentò con note veramente erudite e stupende; tornò in Italia.
    Immediatamente fu chiamato ad insegnare a Pavia, a Bologna e a Roma, dove, come rettore, primo nel 1875 introdusse gli ordini scolastici nuovi nell'università.
    Di là fu invitato a Pisa per voto unanime della facoltà legale alla cattedra delle Pandette.
    In tutti questi insegnamenti, e in tutti questi luoghi, riuscì a risvegliare l'affetto dei giovani a codesta scienza; onde si videro seguire volenterosi, in gran numero, ed anco gareggiando fra loro le lezioni e gli esercizi del maestro nelle interpretazioni e nelle conciliazioni più difficili e disperate delle leggi. In tal guisa egli intendeva a persuadere che il diritto romano solo poteva essere il vero principio di un rinnovamento necessario di tutta la nostra giurisprudenza. Colle sue lezioni, colla sua traduzione dell'Arndts e del Gluch, con altri lavori, che a mano a mano pubblicava nell’Archivio giuridico, sempre a questo scopo si volgeva; e così riusciva a restaurare fra noi gli studi del diritto romano. Ecco proprio il punto che deve essere considerato. Ecco il pensiero dominante o l'idea che io cercava. Ecco quel fatto complesso che abbraccia e comprende tutta la vita di questo scienziato. Il fatto che regge e rileva la sua vita adunque è questo, la restaurazione in Italia dello studio del diritto romano.
    Certamente in quest'opera utilissima non fu solo. La verità avanti tutto. Altri lo aiutarono. Io non sto a citarne i nomi. Basta il dire che uno di essi (Francesco Schupfer) attualmente concorre a fare il decoro dell'Università di Roma. Non fu adunque solo nella nobile impresa. Ma se è vero questo, è anche vero che fra coloro i quali cooperarono a ciò fu il primo.
    Quindi la sua precipua qualità e il suo titolo ai riguardi della storia è proprio questo: essere stato il primo moderno restauratore degli studi del diritto romano in Italia.
    Non è questo il momento, né io debbo spiegare a voi, signori, la opportunità e la importanza di questo fatto. Mi permetta il Senato però di notare a questo proposito usa cosa. Altre volte l'ho notata ma mi sembra degno di notarla ancora.
    Tutte le volte che in Italia si è sentito un soffio di libertà, e tutte le volte che un soffio di libertà ha invaso il campo della scienza, o il campo della dottrina civile e della politica, i rinnovamenti civili dell'Italia sono stati accompagnati dal rinnovamento degli studi di diritto romano.
    Fatto singolare ma vero. Quando le repubbliche italiane rovesciarono i poteri imperiali e vollero crearsi da se le proprie leggi; quando riuscirono a scacciare i segni del feudalismo, e a ordinarsi in popoli liberi, cosa fecero esse? In sostanza in molti luoghi al diritto longobardo sostituirono il diritto romano. Quando nel risorgimento degli studi si incominciò a percorrere quella via stupenda che portò al perfezionamento delle lettere, il Poliziano e l’Alciati ricercarono i testi del diritto romano e furono, come tutti hanno detto, precursori del Cujacio. Anche oggi, per lasciare tanti altri esempi, felicemente spirando un'aura di libertà sull'Italia, e l’Italia, riconoscendo quasi se stessa, e la sua istoria, incominciò una vita civile nuova, ecco che gli studi di diritto romano hanno avuto un vero risorgimento fra noi.
    È luminosamente dai fatti provato però, che questo risorgimento venne dopo l’insegnamento del Serafini; giacché dopo questo soltanto, si videro pubblicare da ogni parte d'Italia lavori sulla storia del diritto romano, o sulle questioni positive del medesimo, e giornali contenenti articoli e scritti tutti di romano argomento.
    È vero: anche prima c'era un diritto romano usato nella pratica. Qui in Roma si studiava e si applicava largamente e nobilmente. Ma era un'altra forma di diritto romano, e non la vera. Era un insieme confuso di regole e di leggi, molte delle quali fra loro in discordia non mai composta. Era un elenco di massime le quali si sapevano benissimo applicare, ma senza indagare il vero spirito e organismo delle leggi, in modo che i commenti uccidevano la vita del diritto.
    Quando mercé la luce venuta dalla Germania, la storia si congiunse intimamente al diritto, ben si capì che il giure romano non era mi ammasso di esempi e di regole soltanto, bensì una scienza, la vera scienza del diritto privato contenuta in un libro, il quale fu ben detto essere dopo la Bibbia il più gran libro del mondo.
    Ed è così che il Serafini intese il suo mandato nella scienza e nell’insegnamento, e riuscì ad ottenere questo suo alto intento; riuscì, vale a dire, a restaurare siffatti studi in Italia.
    Fu infatti sotto la sua direzione ed eccitamento che, come già diceva, da poco tempo in qua i lavori di diritto romano continuamente si riproducono fra noi. Bisogna di questo gloriarsene. Noi oggi per i lavori di storia non che per i lavori di diritto romano positivo, possiamo gareggiare colla Germania e colla Francia, senza scendere o parer minori dirimpetto alla dottrina di coteste nazioni.
    Al Serafini giovò per conseguire questo fine anche il costituire in Pisa il Seminario giuridico, come allora si chiamò, dove alcuni giovani scelti convenivano al fine di studiare al tavolino sotto la guida del professore, non bastando certo a tutto per i volenterosi le lezioni della cattedra, ed al fine di analizzare i diversi testi del diritto, cercare i confronti, estendersi alle applicazioni.
    E voi sapete o signori, che da questo Seminario giuridico, il quale fu costituito da Filippo Serafini, dal compianto professore Saverio Scolari e da me che ivi portai pure le mie deboli forze, da cotesto Seminario giuridico uscirono giovani i quali cuoprono oggi e onorano le cattedre delle varie università italiane.
    Il quale scopo così raggiunto da Filippo Serafini non importa ripetere se fu nobile e opportuno. A me basta qui osservare, o signori, che codesto scopo, codesta vittoria ottenuta per gli studi, fu veracemente opera nazionale.
    Non posso tacere, prima di accennare ad altro, di questo punto, che mi par tanto importante. Il rinnovamento degli studi romani procurato dal Serafini fu veramente opera nazionale, perché tutti sanno che il diritto romano è dottrina nostra.
    Gli stranieri profittarono delle nostre ricchezze e ci lavorarono intorno di continuo; ma in sostanza esso è nostro, e tutto appartiene alla storia romana e italiana; onde mi rammento a questo proposito di un fatto antico che conferma il concetto da me espresso. Umberto Biancamano, quando a lui fu domandato, secondo il costume del tempo, di qual legge si voleva servire in un certo contratto, essendovi allora la professione del diritto, rispose: mi valgo del diritto romano, perché sono italiano.
    Quest’antica dottrina è adunque, lo ripetiamo ancora, cosa nazionale italiana; onde quando si fanno risorgere questi studi ed essi mostrano di divenire elevati come già lo divennero in Germania, allora l'Italia si può gloriare di questi effetti, e può ricordare con molto onore chi è stato a capo di cotesto rinnovamento.
    Non dico altro, neppur di quello che aveva divisato di dire; e chiedo invece di essere scusato se anche troppo lungamente parlai; che la memoria del Serafini di tanto non aveva d’uopo.
    In ogni modo credo, o signori, che abbiamo compiuto insieme un dovere: per me un dovere forse un dovere accompagnato da qualche ardimento, parlando innanzi a voi, ma pure un dovere: per voi un dovere di bontà, tollerando il mio discorso, ed un dovere di ossequio alla memoria dell’illustre collega.
    Finisco pregando S.E. il Presidente e l’onorevole Senato, d'inviare speciali lettere di condoglianza alla famiglia e all’Università di Pisa che ha perduto nel Serafini, ciò che costituiva gran parte della sua bella rinomanza.
    PELLOUX, ministro della guerra. Domando la parola.
    PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare.
    PELLOUX, ministro della guerra. Dopo le commemorazioni fatte dal nostro Presidente, come al solito, splendide, io non ho proprio nulla da aggiungere per illustrare la vita dei nostri colleghi ora commemorati, e per questo io mi associo, a nome del Governo, alle nobili parole del nostro Presidente e mando un saluto alla memoria dei nostri compianti colleghi.
    GIANTURCO, ministro della pubblica istruzione. Domando la parola.
    PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare.
    GIANTURCO, ministro della pubblica istruzione. Mi consenta il Senato di aggiungere poche parole a quelle nobilissime, che ha pronunziato l'illustre Presidente commemorando il senatore Filippo Serafini e il senatore Cordova. [...]
    A me più specialmente, come ministro della pubblica istruzione, spetta di aggiungere poche parole a quelle pronunziate in quest’Aula per commemorare Filippo Serafini.
    La città di Pisa ha già voluto che la salma di lui fosse sepolta in quel campo santo urbano, dove rifulge così splendida la gloria di Nicolò Pisano e di tanta parte dell'arte italiana. Pisa con le onoranze a lui decretate non solo dalla rappresentanza comunale, ma dal sentimento di tutto il popolo ha voluto mostrare la riconoscenza profonda che l’Università di Pisa a lui deve, e con l’Università di Pisa tutte le università italiane, perché Filippo Serafini insegnò anche a Pavia, a Bologna, a Roma; perché a lui e a coloro che con lui collaborarono (mi consenta il ricordo nella sua modestia il senatore Buonamici), il prof. De Crescenzi, il prof. Schupfer, il mio maestro Polignani e altri moltissimi si deve un nuovo risorgimento del diritto romano. Non che il diritto romano non fosse presso di noi praticato anche come diritto comune, ma perché ai brocardici forensi come argomento dell'una o dell'altra parte litigante, si è venuta sostituendo la coscienza giuridica della nuova Italia, ed un sentimento profondo dei nessi, che il diritto ha con la storia, con la filosofia, con la vita nazionale.
    Questo è il gran merito di Filippo Serafini; un merito, che bisogna tributargli, non come a semplice continuatore della scuola tedesca, poiché Filippo Serafini, pure avendo evidentemente attinto a quelle fonti, pure avendo lungamente dimorato in Germania, pure avendo frequentato le università tedesche, serbò la mente lucidamente italiana. E questa è la vera differenza, che corre tra lui e i professori tedeschi, poiché leggendo le sue opere quello che colpisce è che egli non cerca di essere profondo a furia di essere oscuro, né involge di dubbi le dottrine, ma le snebbia e le mette nella migliore luce.
    Filippo Serafini trovò il segreto della vera e propria nostra scienza, il segreto dal quale trasse nuovo vigore anche lo studio del diritto positivo moderno. L'opera sua anzi non solo riuscì feconda per i nuovi codici italiani, ma giovò anche alla compilazione dei codici di altre nazioni.
    A testimoniarlo è valsa la presenza qui di un insigne professore svizzero, venuto ad esprimere la riconoscenza che sente quella nazione, per l’uomo che ha avuto molta parte nella codificazione svizzera.
    Filippo Serafini ha elevato a se stesso un monumento aere perennius in quell’Archivio, ove sono raccolte opere insigni, che è stato largo incoraggiamento a tutti i giovani, i quali hanno voluto seguire il maestro in quella via e in cui si può per così dire, tener dietro a tutti i moti, a tutti i successivi progressi della scienza italiana.
    In quell’Archivio sono raccolte, memorie di tutti i nostri più insigni professori, le quali si riferiscono a tutte le parti del diritto, anche al diritto moderno, ed al diritto pubblico, poiché Filippo Serafini intese come il diritto romano fosse una grande fonte d'insegnamento anche per ciò che riguarda il diritto pubblico e il penale; parti queste che ai nostri antichi parevano quasi trascurabili, dopo le grandi mutazioni avvenute nella nostra organizzazione politica.
    Non dubito che il Senato, il quale degnamente rappresenta e compendia il sentimento della nazione, vorrà attestare la sua lode alla memoria di colui che è stato maestro di tre generazioni; poiché tutti coloro che hanno studiato nelle università italiane dal 1870 fino ad oggi, si possono dire suoi discepoli.
    Mi permetta, il Senato che a nome di queste tre generazioni d'italiani, io mi associ alle elevate parole dell'onorevole Presidente, mandi alla memoria di Filippo Serafini il più reverente ed affettuoso saluto. (Approvazioni).
    PRESIDENTE. IL senatore Sprovieri ha proposto che si mandino condoglianze alle famiglie degli estinti. Il senatore Buonamici ha proposto che il Senato voglia far giungere le sue condoglianze per la morte dei senatore Serafini anche all'Università di Pisa.
    Coloro che approvano queste proposte sono pregati di alzarsi. (Approvato).

    Senato del Regno, Atti parlamentari. Discussioni, 25 maggio 1897.


Attività 2071_Serafini_Filippo_IndiciAP.pdf