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.:: Dati anagrafici ::. |
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Data di nascita: | 01/10/1798 |
Luogo di nascita: | TORINO |
Data del decesso: | 08/03/1878 |
Luogo di decesso: | TORINO |
Padre: | Alessandro |
Madre: | PEYRETTI DI CONDOVE Gabriella |
Nobile al momento della nomina: | Si |
Nobile ereditario | Si |
Titoli nobiliari | Conte di Salerano |
Coniuge: | AVOGADRO DI COLLOBIANO Isabella, contessa |
Fratelli: | Federico
Clara Teresa
Carlo Ambrogio
Maria Adelaide |
Luogo di residenza: | Torino |
Titoli di studio: | Laurea in giurisprudenza |
Presso: | Università di Torino |
Professione: | Magistrato |
Carriera: | Membro del Senato di Piemonte (28 febbraio 1829)
Avvocato generale presso il Senato di Piemonte (20 giugno 1844-1847)
Primo presidente onorario del Magistrato d'appello di Piemonte (1847) |
Cariche politico - amministrative: | Presidente del Consiglio provinciale di Torino (1865-1877) |
Cariche amministrative: | Consigliere comunale di Torino dal 1849 al 1878
Consigliere provinciale di Torino (1862-1878) |
Cariche e titoli: | Vicepresidente della Commissione superiore di statistica
Membro della Commissione superiore di liquidazione
Membro della direzione dell'Opera pia ed ospedale "S. Luigi Gonzaga" di Torino
Professore emerito della Facoltà di Giusprudenza dell'Università di Torino
Ministro di Stato
Vicepresidente del Consiglio superiore della pubblica istruzione
Vicepresidente della giunta permanente del Consiglio superiore della pubblica istruzione
Vicepresidente del Comitato per l'istruzione universitaria (27 dicembre 1866-settembre 1867)
Presidente del Contenzioso diplomatico (1858)
Socio residente dell'Accademia delle scienze di Torino (13 marzo 1828)
Vicepresidente dell'Accademia delle scienze di Torino (13 dicembre 1863-30 aprile 1864)
Presidente dell'Accademia delle scienze di Torino (1° maggio 1864-8 marzo 1878)
Socio dell'Accademia di scienze, lettere ed arti di Modena (1860)
Socio della Società reale di Napoli (20 maggio 1862)
Socio ordinario della Società di agricoltura, industria e commercio di Torino (26 luglio 1865)
Membro onorario dell'Istituto lombardo di scienze e lettere di Milano (8 febbraio 1866)
Socio nazionale dell'Accademia dei Lincei di Roma (20 maggio 1877)
Socio onorario nazionale della Deputazione di storia patria per le Venezie (1876)
Membro residente della Deputazione di storia patria di Torino
Vicepresidente della Deputazione di storia patria di Torino (1853)
Presidente della Deputazione di storia patria di Torino
Presidente della Deputazione di storia patria per le antiche province di Lombardia
Socio della Deputazione di storia patria delle Romagne
Membro della Società ligure di storia patria
Membro aggregato della Società accademica di Savoia, poi Accademia di Savoia
Membro onorario emerito dell'Accademia d'agricoltura di Torino (1874)
Membro della Società siciliana di storia patria |
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.:: Nomina a senatore ::. |
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Nomina: | 07/10/1849 |
Categoria: | 05
09
18
20 | I Ministri segretari di Stato
I primi Presidenti dei Magistrati di appello
I membri della Regia accademia delle scienze
dopo sette anni di nomina
Coloro che con servizi o meriti eminenti avranno illustrata la Patria |
Relatore: | Luigi Cibrario |
Convalida: | 31/07/1849 |
Giuramento: | 30/07/1849 |
Annotazioni: | Giuramento prestato prima della convalida, in seduta reale d'inaugurazione di sessione parlamentare |
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.:: Onorificenze ::. |
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Cavaliere dell'Ordine civile di Savoia 1° marzo 1834
Commendatore dell'Ordine dei SS. Maurizio e Lazzaro novembre 1847
Grande ufficiale dell'Ordine dei SS. Maurizio e Lazzaro 3 agosto 1857
Gran cordone dell'Ordine dei SS. Maurizio e Lazzaro 13 giugno 1858
Cavaliere dell'Ordine supremo della SS. Annunziata 21 aprile 1868
Cavaliere dell'Ordine della Corona d'Italia
Cavaliere dell'Ordine della Legion d'onore (Francia)
Cavaliere dell'Ordine di S. Giuseppe (Granducato di Toscana)
Gran croce dell'Ordine della Concezione di Villa Viciosa (Portogallo) |
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.:: Camera dei deputati ::. |
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Legislatura | Collegio | | Data elezione | Gruppo | Annotazioni |
I | Torino IV | | 27 aprile 1848 | | |
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.:: Senato del Regno ::. |
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Cariche: | Vicepresidente (14 dicembre 1857-21 gennaio 1860, 3 febbraio 1861-21 maggio 1863)
Presidente (24 maggio 1863-13 ottobre 1864, dimissionario) |
Commissioni: | Membro della Commissione per le petizioni (19 gennaio-19 novembre 1850)
Membro della Commissione per l'esame del progetto di legge sul primo libro del Codice civile (9 marzo 1850)
Membro della Commissione per l'esame del progetto di legge sul Codice civile (20 giugno 1853)
Membro della Commissione per l'esame del progetto di legge sulla sicurezza pubblica (17 aprile 1850)
Membro della Commissione di finanze (27 novembre 1850-27 febbraio 1852)
Membro della Commissione di contabilità interna (27 novembre 1850-27 febbraio 1852)
Membro della Commissione incaricata dell'esame del progetto di legge sul reclutamento militare (5 febbraio 1851)
Membro della Commissione sulle domande di congedo (4 giugno 1851-27 febbraio 1852)
Membro della Commissione per l'esame del progetto di legge sul contratto del matrimonio civile (12 luglio 1852)
Membro della Commissione per l'esame del progetto di legge sulle modificazioni al Codice penale (4 aprile 1857)
Membro della Commissione per l'esame del progetto di legge sulle servitù militari (7 aprile 1858)
Membro della Commissione per la legge sull'istruzione superiore (28 novembre 1861) |
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.:: Governo ::. |
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Regno di Sardegna post 04 Marzo 1848 - Regno d'Italia: | Ministro per gli affari ecclesiastici, di grazia e giustizia (16 marzo-27 luglio 1848) |
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.:: Atti parlamentari - Commemorazione ::. |
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Atti parlamentari - Commemorazione
Sebastiano Tecchio, Presidente
Prego i signori Senatori a ripigliare il loro posto per udire le meste letture delle quali son debitore all’Assemblea.
Signori,
non appena riaperto il Parlamento, ci sopraggiunse l’amarissimo annuncio che di quaggiù dipartivasi un altro Senatore, il conte Federigo Sclopis di Salerano.
La vita e i meriti di ciascheduno di codesti nostri Colleghi vengo oggi a commemorarvi per sommi capi, come vuole la consuetudine, come comporta il dolore.
Il conte Federigo Sclopis di Salerano nasceva di spettabilissimi genitori a Torino il 10 gennaio 1798.
Erano in quella metropoli molti e lodati i maestri e i cultori delle lettere classiche; e la Università godeva assai .rinomanza per la dottrina e la copia dei valentuomini che delle scienze dispensavano i canoni e scioglieano gli enigmi. Colà il conte Federigo, con grande amore e mirabile diligenza, forniva i suoi primi studi. Indi ascoltava i cattedratici dell’uno e dell’altro giure; e, appena ventenne, cogliea l’alloro. L’anno appresso fu giudicato degno della Aggregazione a quel collegio della Facoltà legale.
Prospero Balbo, Ministro degli affari interni, il volle subito a sé vicino, col titolo di applicato. Ma il prudente novizio, per quantunque lo circondasse la stima e l’affetto dei compagni e dei Capi, s’avvisò che lo ingegno e l'animo suo fossero meglio adatti e disposti a sperimentarsi negli offici dell’Ordine giudiziale che non nei gabinetti del Governo assoluto; il perché si fece, di corto, a domandare lo ingresso nella Magistratura; e l’ottenne; e quivi toccò, giovanissimo, i primi gradi; tantoché, varcato di poco il trigesimo anno di età, ebbe sedia curule nel Senato di Piemonte, che era Corte Suprema di Giustizia, e che, interinando le leggi e gli editti del Re, tanto quanto partecipava al potere legislativo.
Senza dubbio, i progressi del conte Federigo aveano sembiante di voli, piuttostoché di felice carriera; e tuttavia deve ascriverli a vero merito chi ripensi com’egli nel campo giuridico e nello storico avesse già per le pubbliche stampe dato saggi sì luminosi che a gran pezza lo sollevavano sulla schiera, nonché dei mediocri intelletti, di quelli eziandio che emulavano i più prestanti.
Di qua fu che Re Carlo Alberto, conoscitore acutissimo delle cose e degli uomini, lo assumeva a Consigliere della Corona, principalmente per le materie attinenti alle sempre scabrose relazioni tra Stato e Chiesa: e lo facea membro della Commissione de’magistrati e giureconsulti chiarissimi che prepararono il Codice delle leggi civili; accenno al Codice Albertino, che fu sancito il 20 giugno 1837, e sarebbe stato facilmente reputato il migliore di quella età, se a sapienti dettami di gius privato non avesse frammisto qualche dispetto ai dissidenti dal culto ch’era in voce di dominante, e serbata nell’ambito delle famiglie qualche reliquia, quasi dissi, feudale.
Sentiva il conte Sclopis verso la dinastia di Savoia una devozione, che ne’ tempi anteriori al 1848 poté forse parere superlativa, dove noto non fosse che gliel’aveano instillata le istorie di que’ Reali, da lui pazientemente scrutate.
E quale, in vero, degli onesti Italiani non avrebbe dovuto imitare la sua devozione, quando avesse veduto nelle dette istorie lo irrefragabile testimonio non solo delle virtù civili, della saviezza politica, del marziale eroismo dei conti di Moriana, ma del sacro odio altresì ch’e’ portavano alle Signorie forestiere, e dei nobili orgogli onde aspiravano alla indipendenza della intera nazione?
Né il devoto alla dinastia era tiepido amico delle civili e politiche libertà: ché anzi ravvisava in questesse il più valido dei presîdi e degli alleati al suo Principe, pronosticato signore e duce delle patrie battaglie. Fatto è ch’egli (il conte Sclopis) fu de’ primi e de’ più solleciti a perorare la necessità di una legge che moderasse i vecchi vincoli della stampa: e doventò Presidente della Commissione all’uopo istituita: ed è comune opinione, che nella massima parte fosse frutto dell’opera sua il Regio Editto 26 marzo 1848, la più liberale per avventura fra tutte le leggi che circa la stampa persistano negli Stati d’Europa.
In quel mezzo era stato promulgato nelle provincie subalpine lo Statuto del 4 marzo 1848, col proemio di mano del conte Sclopis: proemio meraviglioso, dal quale, malgrado il riserbo che facea di mestieri incontro ai sospetti e agli sdegni della Potenza rivale, traspirava un’aura di italianità, che per poco dalle genti d’oltre Ticino e oltre Po non fu giudicata mallevadrice di prossima redenzione. E come no mentreché in quel proemio il datore nello Statuto « con lealtà di Re e con affetto di padre» veniva parlando di « ITALA NOSTRA CORONA» e di «NAZIONE LIBERA, FORTE, FELICE»?
Potea nondimanco saper d’amaro che lo Statuto del 4 marzo non avesse riconsacrato il làbaro tricolore, memoria carissima delle speranze che sul finire dell’altro secolo infiammarono i petti dei padri. Quand’ecco, prima ancora che lo Statuto entri in vigore, il Proclama Reale 23 marzo, annunciando ai lombardo-veneti «quell’aiuto che il fratello aspetta dal fratello, dall’amico l’amico» suggellasi cogli accenti che riferisco:«E per viemmeglio dimostrare con segni esteriori il sentimento della UNIONE ITALIANA vogliamo che le Nostre truppe, entrando sul territorio della Lombardia e della Venezia, portino lo Scudo di Savoia sovrapposto alla BANDIERA TRICOLORE ITALIANA». Deh! chi mai riudirà codesti accenti, senza inchinarsi di ammirazione e di gratitudine davanti al cuore del Re che li inspirava, e alla penna del conte Sclopis che li ha eternati nella più eloquente pagina dell'evo nuovo?
Ma qui mi occorre un digresso.
Dopo l’ôbito del conte Sclopis, qualche Diario gli disdisse l’onore dell’aver dato forma al Proclama 23 marzo del ‘48. Onde a me, cui spettava di rammentarvi, o Signori, gli atti più momentosi della sua vita pubblica, parve debito di investigare se mai la disdetta avesse faccia di verità. E tosto seppi che nò [sic]: imperocché la prima bozza di quel Proclama, la quale come santa cosa i Torinesi custodiscono nel Museo civico, sia proprio autografa dello Statista, a cui tutti e sempre ne aveano attribuito il dettato.
Frattanto, addì 16 del medesimo marzo, il conte Federigo era diventato Ministro di Grazia e Giustizia e dei Culti nell’Amministrazione presieduta da Cesare Balbo: e sopravvenute le elezioni generali, il IV Collegio di Torino gli conferiva il carattere di Deputato al Parlamento.
La detta Amministrazione ebbe corta durata. Nella gran bisogna della fusione lombardo-veneta, non tutti Ministri [sic] pensavano a una stessa maniera; volendo alcuni che si accettasse integralmente la formula milanese, alligata alla Costituente; e opinando altri che dalla formula occorresse di risecare ogni condizione capace di diffidenze o indugi o dubbiezze. Stavano pel secondo partito il Balbo precipuamente, e lo Sclopis. La maggioranza della Camera elettiva non fu a questo secondo partito propizia; di che, tutti i Ministri rinunziarono i portafogli.
Nel succitato Proclama 23 marzo era scritto «l’Italia farà da sé». La profezia cadde in vano: ma non è caduta perché ella fosse temeraria o vanesia, come l’hanno denunziata i beffardi! Per ciò è caduta, perché alle antiche gelosie, alle antiche invidie municipali non si volle dar sosta; perché a scongiurarle non valse che il Re magnanimo cimentasse, ben quattro mesi, rimpetto al tremendo quadrilatero, la Corona sua, la sua vita, la vita dei figli; perché su quei campi, invece che si accalcassero le armi tutte d’Italia, lasciati furono soli e deserti i manipoli del piccolo Piemonte. Indi la ritratta di Custoza; indi i torbidi di Milano; indi l’armistizio del cinque di agosto!...
Primo effetto della catastrofe questo fu, che molti degli ottimati, i quali dianzi aveano caldeggiata la impresa di Re Carlo Alberto, si impaurirono del pensiero ch’ei meditasse di ritentare presto presto la prova; dissero che, e sia pel poco numero de’Subalpini a paragone degli Imperiali, e sia pel mal volere dei Principi, e forse ancora dei popoli delle altre regioni, sarebbe follìa la riscossa; credettero che l'ossequio stesso ond’erano stretti alla Dinastia, e la carità del natìo loco, indurli dovesse a differire, sin Dio sa quando, il proposito della cacciata dello straniero.
Tale era a que’ giorni la parte che riconosceva a suoi Capi e lo Sclopis, e Ottavio di Revel, e Massimo d’Azeglio, e Camillo di Cavour, e Pier Dionigi Pinelli; contro a’ quali balzavano, gagliardissimi oppositori, Vincenzo Gioberti e Urbano Rattazzi.
Quali siano stati i portati di così lagrimabile dissensione fra cittadini che pur amavano (e sommamente) la gran madre comune, niuno è che non sappia. Lo seppe, e ne esultò innanzi d’ogni altro, il nostro inimico. Io per me non ho mai potuto, o Signori, ricorrere colla mente ai lutti del marzo 1849 senza che mi impietrasse il cuore la disperata querela di Virgilio:«Heu! quo DISCORDIA miseros Perduxit cives!...» (1).
Ed ora, riconducendomi all’indice cronologico, dirò:
Che dopo la uscita dal Ministero, il conte Sclopis fu restituito all’uffizio che dianzi aveva di Procuratore Generale presso la Corte d’Appello di Torino; ma, poco stante, deliberato di ripigliare a tutt’uomo gli studi suoi più geniali, chiese, e gli fu conceduto, il riposo;
Che il Reale Decreto 10 luglio 1849 lo innalzò a Senatore; ed altri Reali Decreti lo scrissero tra i Vice-Presidenti del Senato nelle Sessioni del 1857-58 e del 59, e in quella del 61-62, nella quale ebbe a fungere di continuo le veci del Presidente Ruggiero Settimo, cui l’affranta salute impedì l’andata a Torino;
Che nella Sessione 1863-64 tenne il grado di Presidente, fino a che, non permettendogli i suoi convincimenti di non improbare la Convenzione del 16 settembre, lealissimamente rinunciò l’onore del Seggio.
Mi sarebbe assai malagevole di annoverare i discorsi ch’egli con singolare fecondità ha recitati nel ventennio ch’è succeduto al suo ingresso in Senato. Parlava di tutte le materie, le più rilevanti e le più disparate; e in tutte manifestava molteplici cognizioni, ma specialmente nelle legislative. Fu Relatore di più Commissioni sopra gravi progetti di legge. L’ultima delle sue dissertazioni nella nostra Assemblea ha la data del 24 agosto 1870 a Firenze, e concerne i provvedimenti dell’armamento, intanto che ardeva la guerra franco-germanica.
Confesso il rammarico che, stabilitosi a Roma il Parlamento, il Conte Sclopis non sia più venuto tra’ suoi Colleghi.
Probabilmente lo frastornavano la incalzante vecchiezza, la distanza de’luoghi, la differenza dei climi, le condizioni valetudinarie della contessa Isabella, moglie sua dilettissima, meritissima. A ogni modo, mi è dato di farvi fede com’egli non abbia smesso giammai la sua affettuosa premura per questa Assemblea. Di che produco due lettere ch’e’ mi scrivea da Torino, l’una nel 14 maggio 1877, l’altra nel 12 gennaio del ‘78: la prima, rimpetto alle contumelie da certi giornali lanciate al Senato che avea disaccolto il disegno di legge sugli abusi dei ministri dei culti; la seconda, in occasione dei giuramenti che stavano per essere proferiti nella Seduta Reale del 19 gennaio.
La lettera del 14 maggio dell’anno andato è così concepita:
«Stimo opportuno di accusare ricevuta alla E. V. della circolare indirittami l’undici del corrente (2), sia per dichiarare che degnamente apprezzo l’operato di S. E. il signor Ministro Guardasigilli verso il Senato, sia per esprimere la opinione mia che il Senato non abbia a promuovere azione penale di sorta contro quegli organi della stampa giustamente biasimati dal Ministro prelodato. Disdirebbe alla dignità del Senato il discendere a vendicare offese che non hanno né titolo né merito di esser prese in considerazione».
II tenore della lettera del 12 gennaio ‘78 è il seguente:
«Non potendo per l’avanzata mia età, in questo rigore di stagione invernale, recarmi a Roma per prestare, in qualità di Senatore, il giuramento di fedeltà a S.M. il Re Umberto I, intendo supplire con questo atto di mia mano al compimento di tale dovere...».
Oseranno, dopo ciò, i clerocratici, e le ombre loro (i neo-guelfi), oseranno ripetere, che il non intervento del conte Sclopis a questa Aula Romana, e alla Plenaria Adunanza del 19 gennaio, significava adesione alle proteste del Vaticano, e diffalta di ossequio al Padre della patria, che ci ha restituita l’eterna città, o all’Erede Augustissimo che qui regna, e di qua terge le lagrime e rassoda la fede del popol suo? Certo, il nostro Collega stette saldo alla religione degli avi: ma senza avere sdimenticato che il Verbo, quando ingiungeva alle genti «di rendere a Dio quel che è di Dio», medesimamente ingiungeva di «rendere a Cesare quel che è di Cesare».
Mi toccherebbe adesso di tessere la lista degli Scritti del conte Federigo, e legali, ed economici, e storici, e letterarî, che, già mandati pei torchi, raccomanderanno il suo nome anche ai posteri. Senonché questo compito riesce al tutto superfluo, se già la lista o il catalogo venne in luce, or son pochi giorni, per cura del Senatore Ercole Ricotti (3). Onde mi limito ad indicarvi, tra le Opere del conte Federigo, le principali.
Pubblicò nel 1832, un volume intitolato: Documenti ragguardanti alla storia della vita di Tommaso Francesco di Savoia, Principe di Carignano, illustrati».
Nel 1833: «Storia della antica legislazione del Piemonte».
Nel 1835: «Della legislazione civile. Discorsi quattro».
Nel 1838: «Prefazione generale al tomo I, Leges Municipales: nei Monumenta Historiae patriae».
Nel 1840: «Storia della legislazione italiana, vol. I».
Nel 1842: «Della Autorità giudiziaria».
Nel 1843: «Essais historiques sur la législation italienne dans ses rapports avec l’industrie et le commerce, aux XIII, XIV, XV siècles».
Nel 1844:«Storia della legislazione italiana, volume II».
Nel 1851:«Degli Stati generali e di altre instituzioni politiche del Piemonte e della Savoia. Saggio storico».
Nel 1853:«Delle relazioni politiche tra la Dinastia di Savoia e il Governo britannico (1240-1815). Ricerche storiche con aggiunta di documenti inediti».
Nel 1855:«Delle scritture politiche e militari, composte dai Principi di Savoia».
Nello stesso 1855:«Recherches historiques et critiques sur l’esprit des lois».
Nel 1857:«Storia della legislazione italiana dalla origine fino al 1847, volume III, diviso in due parti».
Nel 1859:«Storia della legislazione negli Stati del Re di Sardegna dal 1814 al 1847».
Nel 1861:«La Domination française en Italie, 1800-1814».
Nel 1867:«Di un progetto di Codice internazionale».
Nel 1870:«Etudes sur Montesquieu».
E nel gennaio dell’anno che corre:« Considerazioni storiche intorno alle antiche Assemblee rappresentative del Piemonte e della Savoia». Le quali Considerazioni formano appendice al «Saggio storico», pubblicato nel 1851, e testé mentovato, sotto il titolo «Degli Stati generali…».
Amplissimi encomî queste Opere ottennero e fra noi e in Francia e altresì in Inghilterra. Della più conspicua, che è la «Storia della legislazione italiana», esiste una pregevolissima traduzione francese, lavoro di Carlo Sclopis da Petreto, stampata a Parigi nel 1866, con Prefazione apposita dell’Autore.
Chi guardi, anche solo, la detta Lista, stenterà a credere come al conte Federigo nientedimeno restasse tempo pei tanti, e varî, e talora ponderosissimi incarichi che il Governo del Re, e i Collegi amministrativi, ed altri Corpi morali dello Stato, e le più solenni Accademie nazionali e straniere a lui accollavano, ed egli espediva con alacrità incomparabile.
Presidente del Consiglio contenzioso diplomatico del Regno, Vice-Presidente del Consorzio nazionale, Presidente del Consiglio provinciale di Torino, Consigliere di quel Municipio, Vice-Presidente dell’Ospizio di Borgo Dora, Presidente dell’Opera di San Luigi, Presidente dell’altra Opera La Mendicità istruita, Membro, e, dopo la morte del Plana, Presidente della Reale Accademia delle Scienze a Torino, Presidente della Deputazione sovra gli studi di storia patria, Socio dell’Accademia delle scienze morali e politiche di Parigi, Socio corrispondente dell’Istituto di Francia fino dal 1845, e poi assuntovi alla maggiore delle dignità, quella di Socio straniero, successore a lord Brougham…; dapertutto [sic] e sempre assistette, in Italia presenzialmente, e via di qua coi carteggi. Ricordevole esempio, o piuttosto rimprovero a coloro (né pochi sono) che, gonfi di onori e provvisioni e diplomi, lasciano ai men felici le cogitazioni e gli stenti!
Ometto altri pregi del conte Federigo, ed altre benemerenze: mi arresto a quella che fu l’ultima nel tempo, e la più fulgida delle sue glorie; voglio dire, la Sentenza nella questione che chiamano dell’Alabama.
Lamentava il Governo degli Stati Uniti d’America che la Gran Brettagna, pendente la guerra di secessione, avesse accolto ne’ propri porti gli armatori degli Stati Uniti del Sud, e in ispecie la fregata Alabama e la Florida: asseverava violati dalla Gran Brettagna i rispetti della neutralità: voleva il risarcimento dei danni diretti, e degli indiretti, che la Repubblica ne avea sofferto: minacciava di correre alla prova delle armi, se alla domanda non fosse fatta ragione. I Ministri della Regina impugnavano e il fatto e il diritto. Ostinatamente duravano le controversie. Soprastava il pericolo della conflagrazione tra’due emisferi. Alla perfine, nel maggio 1871, i plenipotenziari dell’America e dell’Inghilterra convennero di rimettere la decisione della gran lite in un Congresso di arbitri, rispettivamente eletti dall’Italia, dal Brasile, e dalla Svizzera, coll’aggiunta di due rappresentanti (un per una) delle Potenze discordi.
Arbitro eletto dal Re d’Italia fu il conte Federigo Sclopis, Ministro di Stato, che dopo la guerra del 1870-71 s’era fatto zelatore accesissimo degli Arbitrati frannazionali. A sede del Congresso venne designata la città di Ginevra: e per ciò, secondo gli usi diplomatici, la Presidenza spettava all’arbitro nominato dal Governo elvetico. Sennonché tanta fama avea preceduto il nome del conte Federigo, tanta era la dottrina e la sapienza sua nelle cose politiche e nel giure inter gentes, tanta la grazia dei modi suoi, e la facilità del discorrere nella lingua ufficiale del Congresso (la lingua inglese), che la Presidenza fu a lui deferita.
La prima adunanza tenevasi nel 25 giugno 1872. Nel 14 del successivo settembre il conte Sclopis lesse la Sentenza. In quel giorno la Civiltà cantò da senno [sic]:«Io TRIUMPHE!».
Pochi giorni di poi, mentre i due Mondi plaudivano al Verdetto arbitrale, il conte Sclopis ha ricevuto dal Re d’Italia le insegne del Supremo Ordine dell’Annunziata, accompagnate da questa lettera:«Caro conte Sclopis, Per corrispondere al desiderio espressoci da due grandi Nazioni, risolute di trovare nelle decisioni di un Consiglio d’arbitri il componimento pacifico di una Causa che resterà celebre nella storia del diritto delle genti, Noi vi abbiamo nominato a sedere giudice in quel Tribunale di cui i Colleghi vostri vi vollero Presidente. Il lustro che dal vostro nome riceve la facoltà di giurisprudenza torinese, i meriti acquistati nelle cariche della Magistratura e nei più alti uffici amministrativi e politici dello Stato, la fiducia illuminata che poniamo nel vostro carattere e nella devozione vostra per la Nostra persona, ci guidarono nella scelta. E voi, fra il plauso universale, vinte con prudente accorgimento e con l’autorità morale del Consesso da voi presieduto difficoltà gravissime, poteste annunciarci compiuta un’opera che le Nazioni salutano come esempio di civiltà. Della parte distinta, che faceste alla patria Nostra in un fatto di tanta importanza, Noi vi ringraziamo come di segnalato servizio; e del compiacimento Nostro desideriamo che abbiate larga testimonianza nell’espressione dei sentimenti del Nostro animo.
Firenze, 22 settembre 1872.Affezionatissimo cugino
VITTORIO EMANUELE». A ciò sopravisse il conte Federigo poco più che cinque anni: e nessuno sospettava ch’ei non vivrebbe ancora a dilungo; aitante qual era della persona, vivace lo sguardo, rapido il passo, pronto lo spirito, facile la penna, arguto l’eloquio. Mi sembra tuttora udirlo a Venezia il 30 aprile 1873 nella Sala de’ Pregadi nel Palazzo de’Dogi, narrare la vita, gli studi, le azioni di Pietro Paleocapa. Mi sembra tuttora udirlo a Torino il 10 giugno 1877, nella gran piazza del Monumento eretto a Ferdinando di Savoia, Duca di Genova, narrare le gesta di lui che ha espugnato Peschiera, di lui, pel quale la Storia scolpì sugli spalti della cruenta Novara il sacro vanto di Enea:
«…Si Pergama dextrâ
Defendi possint, etiam hac defensa fuissent (4).
Quanta eleganza in quelle Orazioni, quanto senno, quanto amor patrio, quanta efficacia!
Nel giorno 9 febbraio di quest’anno lo rividi a Torino; e mi promise che presto verrebbe a Roma, al Senato. Il 9 marzo, dopo tre giorni di malattia, compiuti ottant’anni e due mesi chiuse gli occhi nel sonno estremo.
Avea proibito ogni maniera di pompa pel suo mortorio. Sopperì alle pompe ufficiali l’irrefrenabile accorrimento dei cittadini al tragitto della salma al sepolcro: sopperirono le epistole di Re Umberto, dei Senatori, dei Deputati, dei più insigni Corpi scientifici alla vedova osservandissima; e le condoglianze degli stranieri; e le commemorazioni apologetiche qui e là pronunziate; e le parentali supplicazioni del Municipio torinese; e il Decreto vostro, o Signori, pel quale ci rimarrà innanzi agli occhi, condotta in marmo, la effigie del perduto Collega. (5).
(1)Virg. Bucc. I, 72.
(2) Allude alla circolare colla quale il Presidente avea comunicata ai signori Senatori la lettera 11 maggio di S. E. il signor Ministro Mancini.
(3) Bibliografia dei lavori a stampa di Federigo Sclopis…presentata da Ercole Ricotti alla R. Deputazione sovra gli studi di Storia patria nell’adunanza generale del 10 aprile 1878.
(4) Virg. Aen. II, 291.
(5) Avrei dovuto soggiungere, come Caio Plinio Secondo nei funeri di Virginio Rufo: ”Et ille quidem plenus annis abiit, plenus honoribus, illis etiam quos recusavit: nobis tamen querendus ac desiderandus est, ut exemplar aevi prioris: mihi enim vero precipue, qui illum non solum pubblice, sed etiam privatim, quantum admirabar, tantum colebam”. (Lib. 11. Ep. 1).
Senato del Regno, Atti parlamentari. Discussioni, 15 maggio 1878.
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