Atti Parlamentari - Commemorazione
Sebastiano Tecchio, Presidente
Onorandissimi miei Signori.
Vuole la pietosa consuetudine del Senato che il Presidente si faccia in Assemblea pubblica a commemorare il nome e i meriti di quei colleghi che, tolti recentemente alla vita di quaggiù, son volati a dormire nella pace che non ha fine.
Di otto senatori oggidì lamento la perdita: sei dei quali ci hanno lasciato nell'intervallo tra le ultime tornate della dodicesima legislatura e la inaugurazione della presente: gli alti due ci vennero meno testé.
Essi sono: il commendatore Giuseppe Vacca; il barone Vincenzo Bolmida; il conte Gustavo Ponza di San Martino; l'avvocato Riccardo Sineo; il professore Luigi Settembrini; il commendatore Giuseppe Cataldi; il marchese Raffaele De Ferrari, duca di Galliera; il conte Giuseppe Pasolini. [...]
Luigi Settembrini, nato a Napoli nel 1813 da parenti assai scarsi dei beni della fortuna; talché non ebbe modo di imprendere i suoi studi se non a costo di sacrifizi; e, compiuto appena il tirocinio, si dette a fare il maestro di scuola. Professò belle lettere in Calabria sino al 1848.
Spirito penetrativo e osservatore delle cose per natura, vide i mali che angosciavano le popolazioni del Reame; e, ascoltando la voce del cuore, osò narrarli in uno scritto intitolato "Protesta del popolo delle Due Sicilie" che levò allora grande rumore, e che rivela la tempra ferrea del suo carattere. Di qui comincia la vita politica del Settembrini. La Protesta in poche pagine scolpisce le soperchierie, le turpezze del Governo borbonico; fu mandata pei torchi anonima, clandestina; ma quella polizia ne scovò l'autore, e l'ha menato prigione. Tra poco, la effimera Costituzione data fuori nel 1848 da Re Ferdinando liberava il Settembrini dal carcere. Breve compenso! Per la infanda giornata del 15 maggio imperò la reazione. L'ardito scrittore, agguantato nuovamente e rinchiuso, e poi condotto al cospetto di una Corte speciale, fu con Carlo Poerio ed altri egregi sentenziato alla morte: stette tre giorni in cappella: indi, mutatagli la pena del capo in quella dell'ergastolo a vita, andò tra i forzati di Santo Stefano, dove patì per dieci anni. L'ergastolo non ha infiacchito l'animo suo fortissimo; anzi, per pascere e ricreare le virtù intellettive, si tuffò con la mente nell'antichità: onde il volgarizzamento dei dialoghi di Luciano; bello ed elegante volgarizzamento, che venne ad arricchire i letterari nostri tesori.
Con la cacciata dei Borboni, ei riebbe la sua libertà; e, salito alla Cattedra di letteratura italiana nell'Università di Napoli, si pose tutto all'ammaestrare i giovani, persuaso di quel pronunziato "che fatta l'Italia, e' bisogna far gli italiani". A cotesto periodo della sua vita dobbiamo l'opera sua principale "Le lezioni di letteratura Italiana" che sono veracemente una splendida storia delle nostre lettere. Colla quale opera egli ebbe per iscopo di indurre negli italiani il convincimento che tutte le loro disgrazie storiche sono cagionate dal Papato.
Addì 6 novembre 1873 fu nominato senatore, giusta la categoria vigesima dell'articolo trigesimoterzo dello Statuto. E nella tornata del 2 giugno 1874, aprendosi la discussione sulla tassa dei Contratti di Borsa, si alzò a censurare acerbamente l'indirizzo finanziario del Governo: il momento non fu creduto opportuno; e il discorso restò senza risposta. Checché ne sia, a me piace di ripensare come quel giorno, guardando al bilancio della guerra, il Settembrini esordisse colle sapienti e amorose parole che riferisco: "l'esercito è il filo di ferro che ha cucita l'Italia, e la mantiene unita: ed io quando vedo un soldato me lo abbraccerei come figliuolo".
Pigliò a scrivere i ricordi della sua vita; ma quelle pagine non poterono essere recate a fine; ché la morte lo côlse la quarta notte del decorso novembre.
Senato del Regno, Atti parlamentari. Discussioni, 27 dicembre 1876.
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