Atti Parlamentari - Commemorazione
Sebastiano Tecchio, Presidente
Signori senatori! [...] Antonio Scialoja venne in vita il primo dì dell'agosto 1817. Tre municipi (dico quelli di Procida, di Teduccio, e di Napoli) si disputano l'onore di avergli dato i natali. Imparò giurisprudenza in Napoli, auspice agli studî il Borelli. Prese subito a dar lezioni di discipline giuridiche ed economiche. Giovanissimo ancora, diventò chiaro fra dotti. E assai presto ebbe voce di valoroso tra gli avvocati alla Corte d’appello e alla Corte di cassazione. È stato dei concorrenti alla Cattedra di economia politica nella Università di Napoli, insieme al Manna, al Morrone, e al fratello di monsignore il Vescovo di Aversa. L'opinione pubblica lo prenunziava come il più meritevole. Ma Casa Reale (così portavano i tempi) ha prescelto il fratello del vescovo. Nel 1840, toccati appena i trent'anni, mandò pe' torchi un suo libro, intitolato: I Principi della Economia sociale, esposti in ordine ideologico. Cotesto libro, non grande di volume, ma sodo e ricco di erudizione, salì in assai pregio appo gli economisti filosofi; specialmente nel campo dei liberisti. Il Villers l'ha voltato nell'idioma francese. Parecchie (e non senza note dell'autore e postille) ne furono le edizioni: tra le altre, la torinese del Pomba.
Celebrandosi nel '46 il Congresso degli scienziati nella metropoli del reame, Ilarione Petitti e Cesare Alfieri e Cesare Balbo (venerandissimo triumvirato) augurarono allo Scialoja la toga di professore di economia politica nell'Ateneo di Torino. E sullo scorcio dello stesso '46, quell'augurio fu posto ad effetto per decreto di Carlo Alberto, principe vogliosissimo di trarre agli Stati Sardi i più begli ingegni dell'altra Italia.
Nuova la cattedra, stipati e cùpidi gli scolari e gli altri uditori. Antonio Scialoja li meravigliò (dovrei dire, li innamorò) col discorso copioso, ornato, perspicuo, e il profondo sapere, e i modi spigliati, e la passione delle economiche libertà che gli trasudava per tutti i pori. Nel severo tempio irrefrenabili scoppiarono i plausi.
Ma, come prima i prodigi della rivoluzione palermitana, e le generose commozioni di Napoli, valsero ai popoli di qua dal Faro la promessa dello Statuto, rimase deserta la cattedra. Conciossiachè lo Scialoja, udita quella promessa, tornò di corsa alla terra nativa, deliberato di strenuamente difendere le franchigie poc'anzi insperate, e di resistere ad ogni improntitudine di anarchisti, ad ogni cabala di retrivi.
Carlo Troya, presidente del Consiglio dei ministri, lo indusse ad accettare il portafogli di Agricoltura e Commercio. Periodo effimero: perché nel 15 maggio il Borbone buttò giù il Ministero, che a titolo di onore chiamavano della indipendenza: lo buttò giù, onde aver mano libera a fulminare colle armi regie i chiedenti che l'esercito muovesse alla guerra nell'oltre Po. Le cronache del tempo registrano che quel dì lo Scialoia, mentre i fucili tuonavano in via Toledo, abbia osato farsi incontro a Re Ferdinando, e, con altissimi sensi, della mancata fede ammonirlo.
Nel seguente giugno, deputato al Parlamento napolitano, stette saldo nella maggioranza, animosa tutrice dei liberali instituti e della causa italiana.
Quando montarono le furie della reazione, i Borbonici l'han catturato; appostagli pei fatti del maggio l'accusa di crimenlese.
È durato un triennio il processo. La Sentenza dell'ottobre '52 l'ha condannato a nove anni di reclusione. Famosi economisti di Francia e d'Inghilterra gli hanno impetrato la grazia, ch'e' sdegnava di chiedere: e Ferdinando, schiusagli la prigione, mutò la pena nell'esilio perpetuo. Di che, lo Scialoja restituivasi all'augusta Torino.
Quivi lo ascrissero ben volentieri tra gli scrittori del giornale Il risorgimento, fondato nel '48 da Cesare Balbo e da Camillo Cavour.
Venuto fuori nel '54 il primo Codice di procedura civile per gli Stati Sardi, tre esuli napolitani ne hanno impreso, e poi finito il commento, ai giuristi accettissimo. Essi avevano nome: Giuseppe Pisanelli, Pasquale Stanislao Mancini, Antonio Scialoja.
Dopo il congresso di Parigi del '56, importando di porre sotto gli occhi ai Gabinetti delle grandi Potenze le tristizie del Governo di Napoli (specialmente circa le cose della Finanza), lo Scialoja le ha descritte con tale evidenza di verità e tanta energia di stile, da farci credere che a quelle ardenti pagine siasi inspirato il lord Gladstone, allora che denunciava al mondo civile, essere il Governo di Napoli la negazione di Dio.
Gli elettori di Moncalvo nel Monferrato lo proclamarono deputato della Camera Subalpina nella settima legislatura.
Poco poi, la redenta Partenope il rivide ministro: questa volta, nella luogotenenza di Vittorio Emanuele, Re d'Italia per opera dei plebisciti.
Nel '61 gli elettori di Pozzuoli lo inviarono alla Camera dei 500 del nuovo Regno. Ma non poté, in quel tempo, mischiarsi gran fatto nelle lotte parlamentari; avendogli il regio Governo date lettere credenziali per concertare in Parigi il trattato di commercio italo-franco.
Reduce da Parigi, nel 16 novembre del '62 raggiunse il grado di senatore. In due Sessioni il Senato lo annoverò tra i Segretari del Consiglio di Presidenza (1): per altre due, il Re l'ha innalzato a Vicepresidente (2).
Avea già maneggiati a Torino gli affari delle Finanze, nel carattere di segretario di quel Ministero. Addì 31 dicembre '65 (così proponendo il Presidente dei Consiglieri della Corona, Alfonso Lamarmora) fu nominato ministro, a surrogazione del Sella, che smetteva l'ufficio.
Il bilancio stava più che mai sul tirato; il paese alla vigilia dell'ultima guerra coll'Austria; il Tesoro non preparato alla impresa. Lo Scialoja, usando i poteri straordinari conceduti al Governo del Re colla legge del 1° maggio 1866, ha chiesto alla banca nazionale il mutuo di 250 milioni delle nostre lire; e, pur di ottenerlo, ha promosso il decreto che pareggiava i biglietti della Banca al danaro sonante. Un coro di voci, che più non tacquero, gli gridò raca. A quietare l'animo suo sarà per avventura bastato il pensiero che nessuno degli emuli, nessuno dei periti o degli studiosi avea saputo additare altro mezzo, altra forma, da poter sopperire le urgentissime necessità dell'erario.
Avviatosi il generale Lamarmora al campo, e succedutogli nella presidenza del Consiglio il barone Ricasoli, Antonio Scialoja continuò nella carica sino a quando le nubi non s'addensarono sugli Accordi da lui proposti a legge per la conversione dell'Asse ecclesiastico. Diede la sua rinuncia il 17 febbraio 1867.
Nel 5 agosto 1872 prese il posto di Cesare Correnti, come ministro della Pubblica Istruzione: ma il 7 febbraio 1873 [sic], avendo la Camera elettiva disaccolto un suo disegno di legge sulla istruzione elementare, senza più volle scendere dal Ministero.
Si restituì allora alle sue funzioni di presidente di sezione nella Corte de' conti, che aveva tenute anche nell'intervallo tra il '67 e il '72.
Verso il fine del '75, invitato dal Kedivè, andò a studiar modo di metter ordine alle finanze di Egitto. Sperava di riescire all'intento: e sperava altresì che quel clima, nello inverno mitissimo, ristorerebbegli la salute, di recente infralita. Da principio s'ebbe liete accoglienze: amplissima in lui la fiducia del principe. Ma i tempi mutarono. O che ad altri tornasse conto il vecchio sistema, la gestione del danaro pubblico senza noie di sindacati: o che il Governo della Regina de' mari s'ingelosisse della influenza acquistata nei consigli del Kedivè dallo Statista italiano; questi si avvide che l'opera sua non avrebbe potuto approdare; onde, sullo scorcio del '76, rifece il cammino alla volta di Roma.
Sarei infinito se qui mi accingessi a recitarvi l'epilogo delle Relazioni tessute, e dei discorsi da lui pronunciati, prima del viaggio d'Egitto, nella nostra Assemblea.
Accenno di un fiato, e solamente in epigrafe, i più memorabili.
Nella sessione del 1863-64, la Relazione sullo schema di legge "per modificazioni al Codice penale militare": e l'altra sullo schema di legge "per una imposta sui redditi di ricchezza mobile": e l'altra pel trattato di commercio col Belgio: e l'altra sullo schema di legge "per provvedimenti finanziarî". Nella sessione 1865-66, sullo schema di legge "per la Convenzione colla Società Vittorio Emanuele, circa la costruzione della ferrovia Potenza-Contursi-Eboli". Nella sessione del 1867-68-69, la Relazione sul trattato di pace tra Italia ed Austria: e l'altra sullo schema di legge "per una tassa sul macinato": e l'altra "per la tassa sulle concessioni governative": e l'altra "per le modificazioni alle tasse di registro e di bollo". Nella sessione del 1870-71, la Relazione sul disegno di legge" pel trasferimento della sede del Governo a Roma". Nella sessione del 1871-72, la Relazione sul disegno di legge "pel saggio e marchio dei metalli preziosi". E in quella del 1874-75 la Relazione "sullo stato di prima previsione della spesa del Ministero degli Esteri per l'anno 1876".
I discorsi (oltrecchè sui disegni di legge de' quali avea presentate le Relazioni) sul progetto del prestito di 700 milioni, nella tornata del 10 marzo 1863: su quelli del bilancio attivo dell'anno 1863, e per la instituzione della Cassa dei depositi e prestiti, e pel Tavoliere di Puglia, nelle tornate del 17 e 18 aprile, del 23 aprile, e del 6, 7, 8, 9 maggio dello stesso anno 1863: sull'altro, pel trattato di commercio e di navigazione colla Francia, nelle tornate del 12 e 13 gennaio 1864: sull'altro, per la fondazione della Banca d'Italia, nelle tornate dal 1° al 24 marzo 1864: sull'altro, del conguaglio della imposta fondiaria, nelle tornate dei 20 e 21 giugno 1864: sull'altro, del Codice per la marina mercantile, nelle tornate dal 28 ottobre al 5 novembre 1864: sull'altro, della unificazione legislativa, nelle tornate dal 15 al 29 marzo 1865: sull'altro, per la estensione del Codice penale Sardo alla Toscana, nelle tornate dal 24 al 27 aprile 1865: sull'altro, per la convenzione tra Italia e Francia sul riparto del debito pontificio, nella tornata del 21 maggio 1867: sull'altro, per modificazioni all'imposta di ricchezza mobile, nella tornata del 24 marzo dello stesso anno: sull'altro, dell'amministrazione e contabilità dello Stato, nelle tornate dal 14 al 18 gennaio 1869: sull'altro, per la riscossione delle imposte dirette, nelle tornate dal 30 marzo al 17 maggio 1870: sull'altro, intorno a' provvedimenti pel Tesoro, nella tornata del 5 agosto 1870: sulla convenzione finanziaria colla Società dell'Alta Italia, nella tornata dei 16, e "sui provvedimenti di armamento" nella tornata dei 24 del medesimo agosto: sulle guarentigie al Pontefice, nelle tornate dal 26 aprile al 2 maggio 1871: sui provvedimenti finanziari, nelle tornate dal 14 al 16 giugno 1871, e in quella del 17 aprile 1872: sulla istituzione delle Camere di agricoltura, nelle tornate del 27 febbraio e 1° marzo 1872: sull’ordinamento della Corte di cassazione, nelle tornate dal 13 al 21 maggio 1872: sui diritti di autore delle opere d'ingegno, nella tornata del 26 febbraio: e sulla legge forestale, nelle tornate dal 5 al 9 marzo: e sulla circolazione cartacea, nelle tornate dall’11 al 15 aprile 1874: e sullo stato di prima previsione della spesa del ministro di Grazia e Giustizia nella tornata del 16 dicembre 1875.
Del resto. A cui è caduto di mente che, in quest'ultimo dei suoi sessant'anni, l'abbiamo udito nelle tornate dal 30 maggio al 1° giugno largamente discutere in pro del disegno di legge sulla istruzione elementare obbligatoria, dal quale la patria aspetta il più nobile dei suoi profitti? E chi in appresso non è venuto a sapere che, pochi dì prima di raccomandarsi nel passato settembre alle dolci aure di Procida, ei presiedeva nell'alma Roma, a vicenda con Terenzio Mamiani, le nuovissime conferenze dell'etica civile; e, concludendo in quelle, si sentì da tutti applaudito, non altrimenti che il fosse nel '47 sulla Cattedra di Torino?
Nella solitudine amata e tranquilla di Procida, gli vennero addosso violentissime febbri. Oscillò, una e due settimane, tra i pericoli e le speranze. Se famigliari affetti e sapienza di medici avessero virtude di sospendere i decreti di colassù, senza dubbio il nostro collega sarebbe scampato alla morte. Ma nel volume ove sillaba non si cancella era scritto che nella notte del 13 ottobre Antonio Scialoja dormirebbe il sonno supremo: e così fu.
Non so a che punto della sua vita avesse pubblicate le due Opere, successive ai Principî che ho già citati, delle quali l'una ha per titolo: Trattato elementare di economia sociale; e l'altra: Industria e protezione. So che, comunque sia stato asserito che in fondo al suo carattere e all'ingegno c'era un lievito di autoritarismo romano, ei si professava seguace religiosissimo delle dottrine di Adamo Smith. Vero è che, venendo il '75, ha posto in cima d'altri il suo nome ad un Memoriale, cui dissero La Circolare di Padova, dalla quale non pochi inferirono che oramai, non che tentennare, ei declinasse più che tanto dai canoni del suo vangelo economico. Io narro, non giudico: ma mi stimo in debito di rapportare da una Gazzetta appunto di Padova (L'Economista) queste parole: "Noi ci permettemmo un giorno di chiedergli come mai il suo nome avesse potuto figurare nella Circolare di Padova..Forse fu un atto di ossequio agli amici; forse gli parve che d'altro non si trattasse che di promuovere il progresso degli studî economici con largo e liberale concetto. Certo è..ch'ei si mantenne fedele alla propria bandiera" (3). Chi presta fede a sifatte parole probabilmente ripeterà che non a torto Antonio Scialoja era stato definito il Bastiat dell'Italia. [...]
Signori, questo è uno dei colleghi che abbiamo perduto quando il Senato taceva, nel brevissimo giro di quattro mesi, dal 23 di giugno al 24 di ottobre.
(1) Sessioni del 1863-64, e del 1865-66.
(2) Sessioni del 1871-72, e del 1874-75.
(3) L’Economista, Gazzetta settimanale, domenica 21 ottobre 1877, n. 181.
Senato del Regno, Atti parlamentari. Discussioni, 17 dicembre 1877.
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