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Senato della Repubblica
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SFORZA Carlo

  







   Indice dell'Attività Parlamentare   

   Fascicolo personale   


.:: Dati anagrafici ::.

Data di nascita:09/23/1872
Luogo di nascita:LUCCA
Data del decesso:04/09/1952
Luogo di decesso:ROMA
Padre:Giovanni, conte
Madre:PIERANTONI Elisabetta
Nobile al momento della nomina:Si
Nobile ereditarioSi
Titoli nobiliariNobile dei conti, titolo di nobile riconosciuto con decreto ministeriale del 24 ottobre 1901, titolo di conte rinnovato con regio decreto del 24 febbraio 1910
Coniuge:ERREMBAULT DE DUDZEELE Valentina
Figli: Fiammetta
Sforzino
Fratelli:Cesare
Michele Pietro
Luisa
Pietro Alessandro
Parenti:SFORZA Pietro, avo paterno
SFORZA GABBRIELLI Marianna, ava materna
PIERANTONI Michele, avo materno
PIERANTONI BARBANTINI Luisa, ava materna
SFORZA Sofia, che sposò Bardo BARDI, zia, sorella del padre
PIERANTONI Giulia, che sposò Carlo GIANNI, zia, sorella della madre
Luogo di residenza:ROMA
Indirizzo:Via Linneo, 12
Altra residenza:MONTIGNOSO DI LUNIGIANA (Massa Carrara)
Titoli di studio:Laurea in giurisprudenza
Presso:Università di Pisa
Professione:Diplomatico
Carriera giovanile / cariche minori:Addetto al Ministero degli affari esteri (20 maggio 1896) a Il Cairo (24 maggio 1896), Addetto di legazione (15 maggio 1897) a Parigi (31 maggio 1897), Segretario di legazione di II classe (31 agosto 1901) a Costantinopoli (18 ottobre 1901) (3 ottobre 1906), Pechino (26 luglio 1903), Bucarest (16 aprile 1905), Madrid (31 gennaio 1906), Segretario di legazione di I classe (5 ottobre 1906) a Londra (30 maggio 1909), Consigliere di legazione di II classe (5 agosto 1907) a Budapest (20 maggio 1910), Pechino (9 marzo 1911), Consigliere di legazione di I classe (18 giugno 1911)
Carriera:Inviato straordinario e ministro plenipotenziario di II classe (22 dicembre 1912-10 novembre 1922. Data del collocamento a riposo) Costantinopoli (16 gennaio 1919), Belgrado (11 giugno 1916)
Ambasciatore (10 novembre 1922)
Cariche e titoli: Primo delegato italiano alla Conferenza di Algesiras (14 dicembre 1905)
Capo di Gabinetto al Ministero degli affari esteri (23 dicembre 1909-20 maggio 1910)
Alto commissario a Costantinopoli (novembre 1918-luglio 1919)

.:: Nomina a senatore ::.

Nomina:08/03/1919
Categoria:07 Gli inviati straordinari
dopo tre anni di tali funzioni
Relatore:Fabrizio Colonna
Convalida:07/08/1919
Giuramento:11/08/1919
Annotazioni:Gruppo Senato: liberale democratico, poi Unione democratica
.:: Onorificenze ::.

Cavaliere dell'Ordine dei SS. Maurizio e Lazzaro 9 giugno 1907
Ufficiale dell'Ordine dei SS. Maurizio e Lazzaro 9 giugno 1910
Commendatore dell'Ordine dei SS. Maurizio e Lazzaro 8 giugno 1916
Cavaliere dell'Ordine della Corona d'Italia 31 dicembre 1903
Ufficiale dell'Ordine della Corona d'Italia 14 maggio 1908
Commendatore dell'Ordine della Corona d'Italia 5 gennaio 1913
Grande ufficiale dell'Ordine della Corona d'Italia 20 dicembre 1917
Gran cordone dell'Ordine della Corona d'Italia 29 febbraio 1920
Cavaliere dell'Ordine supremo della SS. Annunziata 21 dicembre 1920


.:: Governo ::.

Governo:Sottosegretario di Stato al Ministero degli affari esteri (23 giugno 1919-21 maggio 1920) (23 maggio-15 giugno 1920)
Sottosegretario di Stato al Ministero delle colonie (ad interim) (4 gennaio-14 marzo 1920)
Ministro degli affari esteri (16 giugno 1920-4 luglio 1921)
Ministro senza portafoglio con l'incarico di Alto commissario per le sanzioni contro il fascismo (22 aprile-18 giugno 1944), (18 giugno-10 dicembre 1944)

.:: Dopo il 1945 ::.

Consulta nazionale:SI
Assemblea Costituente:SI
Senato della Repubblica:I Legislatura (III disp. trans. Cost.)
Governo:Ministro degli affari esteri (2 febbraio 1947-16 luglio 1951), ministro degli affari europei (26 luglio 1951-4 settembre 1952)
Altre cariche:Presidente della Consulta (22 settembre 1945-2 giugno 1946)

.:: Atti parlamentari - Commemorazione ::.

Atti Parlamentari - Commemorazione
    Giuseppe Paratore, Presidente

    [...]
    PRESIDENTE (Si leva in piedi e con lui si levano l’Assemblea ed i membri del Governo). Onorevoli senatori, un grave lutto ha colpito la nostra Assemblea durante il periodo di sospensione dei lavori parlamentari: la scomparsa di Carlo Sforza, spentosi la sera del 4 settembre in Roma, dopo lunga infermità contro la quale egli aveva lottato fino all’ultimo con indomita energia.
    A noi spetta il triste ed affettuoso compito di rievocarne la memoria, ma non ci sfugge la difficoltà di illustrare in ogni aspetto, in una sintesi esauriente, la sua complessa personalità, pur lasciando agli storici di domani la responsabilità di formulare sull’uomo politico e sul diplomatico un più sicuro e definitivo giudizio quando, placatosi il tumulto delle passioni che sconvolgono questa nostra epoca, sarà possibile dare una serena valutazione di coloro che vi ebbero un ruolo importante.
    La vita di Sforza ci è nota: nato a Lucca il 23 settembre 1872, si laurea in giurisprudenza a Pisa nel 1895; nel 1896 entra nella carriera diplomatica seguendo una vocazione che il tempo rivelerà non fallace, ché Sforza rimane pur sempre e prima di tutto un diplomatico. Né a lui mancarono grandi maestri, ultimi eredi della gloriosa tradizione del risorgimento, come il Visconti Venosta, che Sforza, in qualità di segretario generale della Delegazione italiana, seguì alla Conferenza di Algesiras, e il Di San Giuliano, di cui fu Capo di gabinetto nel 1910.
    Dal 1911 al 1915 fu ministro plenipotenziario in Cina; rappresentò poi, fra il 1915 e il 1918, durante la guerra mondiale, il Governo italiano presso la Serbia ed ebbe modo di spingere più addentro lo sguardo nel groviglio balcanico e nel delicatissimo problema dei rapporti fra l’Italia e la futura Jugoslavia.
    A guerra finita fu Alto commissario per l’Italia in Turchia e diede prova di equilibrio, avviando intese cordiali fra l’Italia e la nuova nazione turca che si veniva formando.
    Nominato sottosegretario agli affari esteri nel 1919 nel primo gabinetto Nitti e confermato nel successivo, dopo essere divenuto senatore del Regno, Carlo Sforza si trovò poi di fronte al grave problema della difesa orientale, che, attraverso le note vicende, trovò finalmente la sua soluzione nel 1920, quando egli, divenuto ministro degli esteri nel gabinetto Giolitti, poté affrontare la travagliata controversia italo-jugoslava.
    Nel 1922, col Ministero Bonomi, va come ambasciatore a Parigi, dove resta fino all’avvento del fascismo, contro il quale prende subito posizione, dimettendosi con il ben noto dispaccio a Mussolini. Con quel dispaccio si apriva una nuova fase dolorosa nella vita e nell’opera di Carlo Sforza, che nel 1926 prendeva la dura via del quasi ventennale esilio. In Francia, in Belgio, in Inghilterra, negli Stati Uniti, si prodigò in una infaticabile attività di giornalista e di scrittore, e all’estero lo colse la guerra, da cui tentò di tener lontana l’Italia con una accorata lettera al sovrano. Fu oratore ascoltato in enti culturali e in congressi di oltr’Alpe e di oltre Oceano; nel 1938 parlò alla Camera dei Comuni; nel 1942-1943 insegnò in Università americane.
    L’ultima parte della sua vita è storia di ieri che noi tutti abbiamo vissuto e sofferto. Tornato in patria nell’ottobre 1943, fece parte, nel giugno 1944, come ministro senza portafoglio, del Gabinetto di coalizione nazionale; liberata Roma, figura, fino al giugno 1945, sempre come ministro senza portafoglio, nei due Ministeri Bonomi.
    Fu poi nominato Presidente della Consulta ed eletto deputato alla Costituente nel 1946 per il Partito repubblicano. Nel 1947 divenne ministro degli esteri, carica che tenne fino al 1951. E fu proprio al tramonto della sua lunga vita operosa, quando gli sarebbe spettato un giusto riposo, che Sforza si trovò ancora ad affrontare problemi diplomatici di tremenda importanza e responsabilità. Nel 1947 si sobbarcò all’amaro compito di sollecitare alla Costituente l’approvazione del Trattato di pace, un passo di cui egli avvertiva la dolorosa inevitabilità, convinto - e lo disse - che del Trattato fin dal momento della ratifica si sarebbe iniziata l’opera di revisione.
    Ma ormai l’Uomo aveva compiuto il suo ciclo e fu proprio questa Assemblea, di cui Sforza faceva parte dal 1948 come senatore di diritto, che vide la sua ultima partecipazione alla vita pubblica.
    In una rievocazione, per quanto sommaria, dell’Estinto, non si può trascurare un altro aspetto della sua personalità: lo scrittore. È veramente sorprendente constatare come un uomo, assorbito da tanti impegni e da tante responsabilità, abbia potuto trovare il tempo per una così copiosa e ininterrotta attività pubblicistica e letteraria. Sono oltre una ventina le opere uscite in cinque lustri dalla sua penna, non solo nella lingua nativa ma anche in francese e in inglese.
    Merita un cenno particolare il suo libro: "L’Italia dal 1914 al 1944 quale io la vidi", panorama politico dell’ultimo trentennio, opera che non vuole e non può essere ancora storia, ma potrà divenire una fonte preziosa per lo storico di domani.
    Onorevoli senatori, per ben mezzo secolo, può dirsi, in un mondo sconvolto e senza pace, Carlo Sforza fu tra i protagonisti degli avvenimenti internazionali. Egli non può non essere ricordato dal punto di vista politico, sociale e culturale: avversario fermo di ogni nazionalismo esagerato, combattente tenace contro ogni forma totalitaria, e servitore del suo paese col proposito di identificare la democrazia con la pace.
    Purtroppo, è triste destino di ministri e parlamentari di essere giudicati nella loro opera assai tardi, dopo la loro scomparsa, ma se è vero, come scrisse Montesquieu, che la buona fede è l’anima di un buon ministro, questo riconoscimento non può essere negato a Carlo Sforza.
    Il Senato ne rimpiange la perdita ed alla memoria di lui rivolge un commosso e reverente pensiero.
    Ha chiesto di parlare il senatore Macrelli. Ne ha facoltà.
    MACRELLI. Nel breve giro di pochi mesi, è la seconda volta che mi alzo da questi banchi per ricordare la figura di un senatore del Gruppo repubblicano. Il 19 febbraio io parlai di Cipriano Facchinetti: oggi la mia voce si leva per portare il saluto, non soltanto dei senatori repubblicani, ma di tutti i repubblicani d’Italia, alla memoria di Carlo Sforza.
    Con Carlo Sforza è scomparsa una delle figure più espressive di questo tormentato periodo della storia italiana, esempio di onestà, di lealtà, di dirittura di carattere. Fedele alla sua fede, si potrebbe ripetere con Mazzini. Ed infatti alle idealità del grande apostolo egli volle e seppe ispirare la sua vita. Vita di lotte, di sofferenze, di sacrifici. Quando sulla nostra povera patria si abbattè l’onda della violenza e sembrò che ogni valore morale fosse soffocato, egli assunse piena ed intiera la sua responsabilità. Resteranno per sempre ricordate le parole con le quali a Parigi, dove degnamente e dignitosamente rappresentava l’Italia, egli rifiutò di servire gli avventurieri della nuova vita italiana: "La politica estera non si fa né coi sentimenti né coi risentimenti". E se ne andò. Cominciava a battere le vie dell’esilio. Ritornò quando, dopo la tragedia della guerra militare e quella più tremenda e sanguinosa della guerra civile, "l’itala gente dalle molte vite" fece balenare la speranza della ripresa e della rinnovazione. Nulla dirò della sua opera lontana e recente per la quale egli appartiene ormai alla storia non solo d’Italia, ma del mondo civile. Nei giorni tempestosi ed amari delle battaglie come nei giorni trascorsi sul letto del dolore un sorriso deve avere illuminato la sua anima generosa e il suo nobile volto. Egli vedeva ormai l’Italia e le altre nazioni, soprattutto dell’Europa, fino a ieri divise e nemiche, incamminarsi per la via da lui indicata. "Amo la patria perché amo tutte le Patrie", era ancora una volta il pensiero di Mazzini che Carlo Sforza cercava di tradurre nella realtà della vita. Se le Nazioni sono in moto per meglio comprendersi e intendersi, se i popoli sentono la necessità di superare i limiti e le barriere in un palpito supremo di fratellanza umana è merito di quanti hanno creduto sempre, senza mai disperare, e credono ancora ai grandi princìpi di giustizia e di libertà; primo fra tutti Carlo Sforza. Questa è la grande eredità che ci ha lasciato. Cerchiamo di esserne degni.
    PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il senatore Cingolati. Ne ha facoltà.
    CINGOLANI. Onorevoli colleghi, a nome del Gruppo al quale ho l’onore di appartenere e specialmente a nome dei miei colleghi democratici cristiani che fanno parte del Consiglio d’Europa e dell’Assemblea Comune della Comunità del carbone e dell’acciaio mi unisco al tributo di onore e di rimpianto che il Senato rende alla memoria e alla personalità di Carlo Sforza. Egli seppe contemperare in sé l’amore all’Italia e il tenace attaccamento all’ideale federalista europeo. La sua lunga esperienza diplomatica lo aveva reso consapevole di una fondamentale unità e insopprimibile vitalità di una Europa, la cui luce egli aveva trovato umanamente integratrice delle vetuste civiltà asiatiche e delle nuove forme di civiltà americana. Questo italiano di Lucchesia, tenace come tutta la gente, umile o grande, uscita dalla sua terra, questo italiano e toscano che pareva avesse temprato il suo spirito pronto e talvolta mordace alle tradizioni del popolo libero dei liberi Comuni, aveva saputo imporsi uno stile di correttezza professionale che imponeva interessamento e rispetto. Il valore che egli dava alle frontiere, non come abissi di separazione, ma come ponti di congiunzione lo si vide al tempo della stipulazione del Trattato di Rapallo, che doveva essere un Trattato base per una civile convivenza intorno all’Adriatico di italiani e di slavi. Ma lo si vide ancor più quando con la esperienza tragica che l’aveva profondamente ferito nelle carni e nell’animo, delle furiose dittature nazionalistiche seminanti il cammino della loro ascesa di rovine e di sangue, egli, risolutamente assertore di libertà e di liberi ordinamenti democratici nell’Italia sulla via del suo secondo risorgimento, i suoi sentimenti e i suoi propositi portò nella vita europea. A Bruxelles, a Parigi, a Strasburgo egli fu l’europeo più in vista, più comprensivo e, quando occorreva, come l’anno scorso a Strasburgo, il più risoluto ad affermare che l'assenza di poteri ben definiti della Assemblea consultiva poteva e doveva non essere che la preparazione ad una rappresentativa autorità europea deliberante per la nuova vita associata, per la difesa della nuova vita associata, per lo sviluppo su di una efficiente organizzazione unitaria delle genti dell’Europa libera e civile.
    Membro d’onore del Movimento federale europeo, egli certo vide le méte ormai ben delineate di una Europa federale, che inizia la sua vita nell’Assemblea comune della Comunità europea del carbone e dell’acciaio, vera e propria precostituente dell’Europa di domani. A Strasburgo voci dolenti di ogni parte d’Europa si sono levate a rimpiangere la scomparsa di questo combattente della libertà, di questo assertore dell’alta funzione di pace di una Europa che, superati gli egoismi nazionali, vuol ritrovare una sua antica coscienza, talvolta ottenebrata, mai spenta, di una partecipazione allo sviluppo di una superiore civiltà nella quale tutti gli uomini possano sentirsi fratelli. Egli ha creduto, come noi crediamo, in una Europa antica ma non vecchia, non sopraffattrice ma coordinatrice, aperta a tutte le correnti del pensiero, a tutte le esperienze della vita economica e a forme sempre più alte di vita sociale. È una Europa, contemporanea di tutte le età, piena di comprensione per tutte le civiltà delle altre parti del mondo, che inchina la sua bandiera di speranza e di certezza innanzi a questo italiano che ne fu degno vessillifero.
    PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il senatore Sanna Randaccio. Ne ha facoltà.
    SANNA RANDACCIO. Onorevoli colleghi, il nostro elogio funebre di Carlo Sforza sarà sobrio, di quella sobrietà che, d’altronde, era il suo stile che talvolta appariva rudezza e forse invece era timidezza. Noi, per quattro anni, non abbiamo risparmiato a Carlo Sforza critiche per dissensi sul metodo della politica estera, una critica onesta, però, obiettiva e garbata, che egli gradì. Egli era un signore di razza, pronto a giocar di fioretto, ma che reagiva e reagiva fortemente contro la grossolanità dell’offesa.
    Quando discutemmo qui, onorevoli colleghi, il problema di Trieste, noi riconoscemmo, come ha detto l’onorevole Cingolani, che per ironia della sorte oggi quel Trattato di Rapallo che allora fu ragione di critica, che allora fu motivo per qualificare l’onorevole Sforza traditore degli interessi della patria, oggi è un sogno, un sogno a cui forse aneliamo invano: e lo dicemmo apertamente e chiaramente, pur contrastando con lui su talune sue vedute per la soluzione del problema di Trieste.
    Onorevoli colleghi, io credo che di Carlo Sforza, anche a dimenticare quella pietà, che sull’orlo della tomba fa indulgere nel giudizio, anche a volerlo giudicare obiettivamente, si può dire che ha servito la patria e questo, onorevoli colleghi, per chiunque di noi, di ogni parte politica, è il sommo elogio che per noi ed i nostri figli ci augureremmo di vedere inciso sulla nostra pietra tombale.
    PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il senatore Carrara. Ne ha facoltà.
    CARRARA. Desidero pronunciare brevi parole di saluto alla memoria del senatore Carlo Sforza, per due ordini di motivi: perché, come presidente della Commissione degli affari esteri del Senato, ritengo doveroso ricordare chi ha compiuto opera lunga e devota nella trattazione degli affari esteri del nostro paese, e perché personalmente ero legato a lui da vincoli di sincera amicizia.
    Nella lunga vita di Carlo Sforza vi è un momento sulla valutazione del quale non possono sorgere dissensi: è il momento nel quale, con decisione e con coraggio, seppe e volle separare le sue responsabilità da quelle di uomini e di sistemi che non si conciliavano con i suoi princìpi di democrazia e di libertà. E sapeva, facendo ciò, di affrontare rischi e disagi materiali e morali, primo fra i quali la lunga lontananza dalla sua patria e dalla sua casa.
    La sua opera di ministro degli esteri ha trovato molti estimatori. Non tutti, è vero, sono d’accordo nel valutarla: è in realtà troppo presto per esprimere un giudizio su una attività complessa e lunga, quale è stata quella svolta da Carlo Sforza nella direzione della nostra politica estera. La storia, nella sua valutazione oggettiva, scevra di preoccupazioni politiche immediate, dirà a suo tempo la sua parola serena sulle lunghe fatiche di Carlo Sforza. Certo è che la lunga vita di azione di Carlo Sforza manifesta caratteri decisi ed inconfondibili che fissano decisamente i tratti della sua complessa figura politica, questi caratteri sui quali sono apparsi larghi consensi nelle dichiarazioni di personalità politiche italiane ed estere e nella stampa di vari Paesi, e in specie la tenace e coraggiosa opposizione ai sistemi dittatoriali, la rara esperienza negli affari diplomatici e di politica estera maturati in 50 anni di azione diplomatica e politica, il deciso e fedele orientamento in favore dell’Unione europea.
    Con animo commosso saluto la memoria di Carlo Sforza. Invoco al suo spirito, così tormentato nella lunga vita, la luce perpetua dischiusa dalla sua morte cristiana.
    PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il senatore Lussu. Ne ha facoltà.
    LUSSU. Onorevoli colleghi, a nome del Gruppo del partito socialista italiano e, mi sia permesso, anche mio personale per 20 anni di vita e di lotte comuni, porto un reverente saluto all’illustre collega scomparso. Non ricorderò in questo momento gli ultimi anni della sua azione politica e della sua vita, che ci hanno diviso, ma ricorderò la parte che io credo culminante e più degna della sua vita: la lotta combattuta in esilio per la libertà e l’indipendenza del suo paese contro l’avventura e la follia. E ricorderò che egli, vissuto nella sua brillante carriera diplomatica lungamente nelle corti europee a contatto con tutti i monarchi, imparentato con la famiglia reale del Belgio, in quel momento decisivo per la vita del nostro paese, volle coscientemente prendere posizione a fianco del popolo per la sua libertà; e, ispirandosi e riallacciandosi alle tradizioni popolari e rivoluzionarie del risorgimento, ai fratelli Bandiera, a Mazzini, a Pisacane, a Garibaldi, egli combatté lungamente per poter creare una legione italiana garibaldina che potesse combattere e spargere il suo sangue per la patria. È questa, io credo, la pagina più grande della sua vita. È per questa pagina, che egli ha scritto in povertà, con dignità ed onore, che il partito socialista italiano s’inchina reverente alla sua memoria.
    PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il senatore Martini. Ne ha facoltà.
    MARTINI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, alle unanimi attestazioni di vivo rimpianto suscitate nel paese e all’estero, ed espresse da ogni settore di questa Assemblea, ritengo doveroso per me, lucchese e senatore del collegio di Lucca, portare qui l’eco del rammarico suscitato nella mia terra dalla morte dell’illustre senatore scomparso quando ancora la patria tanto abbisognava e attendeva dalla sua mente illuminata e chiaroveggente. Carlo Sforza era nato nella mia città dal conte Giovanni Sforza di Montignoso, storico, letterato e bibliografo di chiara fama e allora benemerito direttore del nostro Archivio di Stato, e dalla signora Elisabetta Pierantoni, lucchese, il 23 settembre 1872. A Lucca, dove abitò fino ai suoi studi universitari, conservava ancora, nella discendenza materna, dei congiunti ed era lieto tornare, quando le sue alte occupazioni, molto raramente, purtroppo, glielo consentivano, a tuffar la memoria nei ricordi della sua giovinezza.
    Sarò quindi assai grato al Senato se alle condoglianze che saranno espresse alla Vedova, alla famiglia, al suo Montignoso dove, all’ombra di una croce, dorme il suo sonno eterno, vorrà associare la città che è fiera di avergli dato i natali e di averlo ospitato negli anni suoi più belli.
    PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il senatore Negarville. Ne ha facoltà.
    NEGARVILLE. Il Gruppo comunista ha dato a me l’incarico di esprimere il nostro cordoglio per la scomparsa del senatore Sforza. Le vicende politiche hanno portato noi di questa parte, in questi ultimi anni, a polemiche vivaci, a scontri appassionati che investivano un orientamento politico che il conte Sforza ha, in larga misura, impersonato. Il tempo non ci ha ancora sufficientemente allontanato da tali vicende per permettere un giudizio storico sereno ed obiettivo. Tuttavia, anche nella passione della lotta, nell’asprezza, a volte, dei contrasti, noi non abbiamo mai dimenticato quello che ci pareva e ci pare ancor oggi il tratto più saliente della personalità di Carlo Sforza: l’uomo antifascista. Lunga è stata la vita del conte Sforza, brillante la sua carriera di diplomatico, di scrittore e di politico. Ma se si vuole di questa vita, di questa carriera cogliere quello che è stato il tratto saliente, il momento predominante, bisogna ricercarlo nella sua figura di combattente dell’antifascismo, dal coraggioso rifiuto del 1922, all’azione incessante di esule che affermava la esistenza di un paese reale in contrasto, sordo ma tenace, con il paese legale; dall’uomo che, nel 1944, pone con energia, a Napoli, la esigenza di una soluzione costituzionale che faccia giustizia della monarchia corresponsabile, assieme al fascismo, dei disastri della patria, all’Alto commissario per le sanzioni contro il fascismo che fa valere la profonda esigenza di un rinnovamento civile e morale d’Italia fondato sugli ideali dell’antifascismo. In tutte queste tappe, che costituiscono i momenti salienti della vita di Sforza, noi ritroviamo la coerenza dell’uomo che ci fu vicino, e a cui fummo vicini. Né valgono, in questo momento di cordoglio, a farci dimenticare questi sentimenti e questo giudizio, i contrasti successivi, gli scontri vivaci in cui la passione sua e nostra erano e restano espressione di sincerità, di buona fede e di onestà politica.
    PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il senatore D’Aragona. Ne ha facoltà.
    D'ARAGONA. Brevissime parole per associarmi, a nome del Gruppo socialista democratico, alla commemorazione del nostro illustre collega che ci ha abbandonato, Carlo Sforza. Noi ricordiamo l’opera di Carlo Sforza prima del fascismo quando, sottosegretario di Stato e poi ministro, difese sempre con energia e con coraggio gli interessi della nostra patria, anche contro le illusioni nazionalistiche e di chi lo accusava di tradimento e di rinuncia. Lo abbiamo ammirato durante tutto il periodo fascista per la sua azione coraggiosa, continua e profonda contro il regime totalitario dell’oscurantismo e della negazione di ogni libertà. Lo abbiamo ammirato, poi, quando il nostro paese, risorto a nuova vita, ha trovato in lui l’uomo che lo ha degnamente rappresentato in tutti i consessi europei ed internazionali, difendendo sempre con ingegno, con solerzia gli interessi del nostro paese.
    Di fronte a questo uomo, che tanto ha dato, ci inchiniamo reverenti, piegando la nostra fronte sulla sua tomba e ci auguriamo che il nostro paese possa contare sempre su uomini che sappiano seguire l’esempio di Carlo Sforza.
    PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il senatore Gasparotto. Ne ha facoltà.
    GASPAROTTO. Una parola a nome degli amici indipendenti, in onore dell’uomo che ha servito lungamente e nobilmente il nostro paese. Nella sua travagliata vicenda, culmina il suo nome, a fianco a quello di Ivanoe Bonomi, in un momento storico che non possiamo dimenticare: in occasione del Trattato di Rapallo, che ha costituito il primo esempio di un patto concluso liberamente e direttamente tra popoli senza attendere impulsi e subire influenze straniere.
    Chi visse il travagliato dopoguerra del 1918, non può non ricordare le amare parole e gli inverecondi giudizi scagliati contro Carlo Sforza, presentato in quel momento come traditore delle patrie speranze. Oggi, ad equa distanza di tempo, gli avvenimenti europei gli hanno dato ragione. Egli non era un illuso; era un veggente. Perciò, dinanzi all’uomo che seppe vedere diritto e lontano, noi ci inchiniamo reverenti.
    PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l’onorevole presidente del Consiglio dei ministri e ministro degli affari esteri. Ne ha facoltà.
    DE GASPERI, presidente del Consiglio dei ministri, ministro degli affari esteri e ad interim dell’Africa Italiana. Onorevoli senatori, in parecchi consessi internazionali ebbi in questi ultimi tempi l’onore di partecipare, a nome del Governo italiano, a solenni commemorazioni del conte Sforza. Ora qui, su questo banco, sento più viva la sua perdita, perché fu qui, accanto a me, che egli si sentì colpito più gravemente dal male, e da qui egli intervenne l’ultima volta in un pubblico dibattito.
    È giusto dunque che qui, quasi, se permettete, a chiusa di un primo ciclo commemorativo, il ministro degli affari esteri rilevi con orgoglio la grande, commossa eco che la dipartita di Carlo Sforza ha avuto in mezzo a tutte le Nazioni libere e l’unanime riconoscimento del carattere universale dell’opera di questo illustre servitore del nostro paese.
    Presidente. Mi renderò interprete, presso la famiglia e la città natìa dell’Estinto, dei sentimenti di cordoglio espressi dal Senato.

    Senato della Repubblica, Atti parlamentari. Resoconti stenografici, 30 settembre 1952.

Note:Il nome completo risulta essere: "Carlo Michele".

Attività 2084_Sforza_IndiciAP.pdf