Domenico Farini, Presidente
Signori Senatori!
Pietosa consuetudine vuole che noi mestamente volgiamo il primo pensiero ai nostri trapassati.
Dico adunque che dappoi il nove di agosto morirono i senatori Scacchi.
Fra gli uomini chiarissimi che nel gennaio 1861, annessa Napoli, vennero ascritti al Senato, era Arcangelo Scacchi, il quale nato a Gravina di Puglia il 10 febbraio 1810, da molti anni nell’ateneo professava la mineralogia ed alla napoletana Accademia delle scienze apparteneva. Scienziato di fama più che italiana, qui lo si ammetteva anche per i meriti singolari che cotesta fama gli avevano, a decoro della patria, procacciata.
Allo studio della medicina voltosi in gioventù, ne conseguì la laurea il 1831. Nel tempo istesso invaghito delle scienze naturali si mise dentro allo studio di esse tanto, che in non lungo volgere di tempo, già noto per frequenti e dotte pubblicazioni, poté con pubblico concorso nel 1844, da interino che era da due anni, venire nominato professore di miner[a]logia e direttore del Museo mineralogico. Al congresso degli scienziati nel 1845 la cresciuta rinomanza lo designò per segretario della sezione di mineralogia e geologia. Gli scritti suoi di mineralogia, di geologia, di cristallografia non che commentare non sta a me lo enumerare. Io posso sì, avvertire che egli, spinto da nobile pungolo, indefessamente studiò, osservò pazientemente, pazientemente sperimentò; debbo ricordare che il naturale acume e la diuturna osservazione ebbero ricompensa di notevoli scoperte che gli meritarono l’essere annoverato alle più insigni Accademie nostrane e straniere: prova di quanto valente ed altamente reputato egli fosse in casa e fuori. Per questo lo scorso anno, celebrandosi il cinquantesimo del suo insegnare, italiani e forastieri andarono a gara nel fargli omaggio di stima grandissima e di affetto.
Discepoli e colleghi gli avevano sempre mostrato devozione, anzi venerazione; ed egli, o fosse consigliere ordinario di pubblica istruzione in Napoli, o preside della facoltà, o rettore dell’Università, aveva volto il tempo e le più amorevoli cure allo incremento degli studi, alla tutela degli studenti e degli insegnanti.
Alla stessa mèta intese in quest’Assemblea, trattando soltanto argomenti attinenti alla pubblica istruzione.
La morte lo colse in Napoli il giorno 12 [sic] di ottobre nell'età di 84 anni non compiuti.
All’insegnante egregio che del sapere raccolse frutti pregevolissimi e sparse a larga mano il seme; allo scienziato che «provando e riprovando» sollevossi in alto, onorò sé e la patria, il Senato rende l’ultima mesta onoranza. (Approvazioni).
[...] GIOLITTI, presidente del Consiglio. Domando la parola.
PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare.
GIOLITTI, presidente del Consiglio. Il ricordo, fatto dall'illustre presidente del Senato, dei meriti patriottici, della sapienza e dei sevigi
resi allo Stato nella scienza e nell'amministrazione dai senatori recentemente defunti, dimostra quanta somma e quanto valore
di patriottismo e di scienza sia andata perduta per lo Stato. Il Governo si associa dal più profondo del cuore al dolore del Senato
per così gravi perdite. [...].(Approvazioni).
Senato del Regno, Atti parlamentari, Discussioni, 23 novembre 1893.
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