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.:: Dati anagrafici ::. |
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Data di nascita: | 06/20/1812 |
Luogo di nascita: | VENEZIA |
Data del decesso: | 24/03/1879 |
Luogo di decesso: | VENEZIA |
Padre: | Giovanni Antonio |
Madre: | FAUSTINI Maria |
Nobile al momento della nomina: | No |
Nobile ereditario | No |
Coniuge: | KNYPS MACOPPE Teresa |
Figli: | Alessandro |
Luogo di residenza: | Venezia |
Titoli di studio: | Laurea in medicina |
Presso: | Università di Padova |
Professione: | Medico |
Carriera giovanile / cariche minori: | Medico condotto di Teolo, poi di Montagnana |
Carriera: | Medico primario dell'Ospedale generale di Venezia (1860) |
Cariche amministrative: | Membro della Giunta municipale provvisoria di Venezia [1866]
Consigliere comunale di Venezia (23 dicembre 1866)
Assessore supplente alla pubblica istruzione del Comune di Venezia (post 1866) |
Cariche e titoli: | Membro del Comitato segreto di Venezia (1859-1866)
Membro e vicepresidente del Consiglio sanitario provinciale di Venezia (Giunta di Sanità) (1865)
Presidente della Giunta di vigilanza degli Istituti tecnico e nautico di Venezia (1867)
Membro del Consiglio direttivo della Scuola superiore di commercio di Venezia (1868)
Socio dell'Accademia di scienze, lettere ed arti di Modena (1860)
Membro corrispondente dell'Istituto veneto di scienze, lettere ed arti di Venezia (22 marzo 1857)
Membro effettivo dell'Istituto veneto di scienze, lettere ed arti di Venezia (30 settembre 1863)
Socio dell'Ateneo veneto di scienze, lettere e arti
Vicepresidente dell'Ateneo veneto di scienze, lettere e arti (1861-1862)
Presidente dell'Ateneo veneto di scienze, lettere e arti (1862-1865)
Membro effettivo pensionato dell'Istituto veneto di scienze, lettere ed arti di Venezia (9 giugno 1870)
Presidente della Società medica di mutuo soccorso [di Venezia]
Presidente del Comitato di Venezia dell'Associazione medica italiana
Consigliere dell'Accademia di belle arti di Venezia
Socio corrispondente dell'Accademia delle scienze di Palermo
Socio corrispondente dell'Accademia di medicina di Palermo |
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.:: Nomina a senatore ::. |
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Nomina: | 11/16/1876 |
Categoria: | 18 | I membri della Regia accademia delle scienze
dopo sette anni di nomina |
Relatore: | Luigi Agostino Casati |
Convalida: | 01/12/1876 |
Giuramento: | 28/12/1876 |
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.:: Onorificenze ::. |
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Ufficiale dell'Ordine dei SS. Maurizio e Lazzaro 4 novembre 1866
Commendatore dell'Ordine della Corona d'Italia |
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.:: Servizi bellici ::. |
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Periodo: | 1848-1849 prima guerra d'indipendenza | |
Mansioni: | Medico militare |
Volontario: | SI |
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.:: Atti parlamentari - Commemorazione ::. |
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Atti Parlamentari - Commemorazione
Sebastiano Tecchio, Presidente
Antonio Berti nacque in Venezia il 20 giugno 1812.
Fece le prime scuole e le tre prime classi ginnasiali a Treviso, albergando coll'avo che nel suburbio possedea due cartiere. Ma i rovesci commerciali tra poco patiti dalla famiglia l'obbligarono a sospendere gli studî. La quale interruzione, cominciata nel 1929, non ebbe termine se non dopo sei anni, quando andò pedagogo nella casa di un conte Arrivabene a Venezia. Quivi studiò umanità, rettorica, e filosofia. Nel 1837 entro all'Università di Padova, studente della facoltà medica; e forniti i cinque anni giusta la regola, ottenne il diploma di dottore nel 1842. Né intanto s'era acquietato alle parti di ascoltatore delle lezioni ippocratiche: anzi avea dato saggio di speciale amore alle belle lettere, nelle quali spendeva il meglio delle ore di tregua agli studî severi; e così prese l'abbrivo a quegli eleganti ed eruditi opuscoli di prosa e di versi, che gli valsero le simpatie dei colti giovani e delle donne gentili (1).
Di quel periodo di sua giovinezza, udite, o Signori, ciò ch'egli ha riferito nel preambolo di un sua Leggenda storica Il Cavalier Nero, allora composta; vietata dalla censura austriaca; e da lui data fuori or sono intorno a cinque anni.
“Le angoscie le ho proprio gustate: lottai fin dai primi passi con ostacoli che una volontà meno tenace avrebbe giudicato insuperabili: e se talvolta vi penso, mi sembra ancora miracoloso d'essere uscito a buon porto. Allorché andai a Padova studente, non poteva contare che su me stesso: era costretto a studiare e lavorare per vivere…Naturalmente, quando uno si dibatte in questi frangenti, e lotta per afferrare la riva, ha d'uopo di trarre partito da ogni frutto del suo ingegno; cosa difficile sempre in Italia, e più allora, coi diletti della censura preventiva, della letteratura prostrata, di un commercio librario povero, avaro, chiuso in istretti confini. Feci di tutto: traduzioni dal francese e dal tedesco, articoli pei giornali e per le strenne, poesie per nozze, racconti, canti popolari, dissertazioni per lauree, e, che Iddio mel perdoni, perfino prediche e panegirici; e così sciolsi l'arduo problema del vivere”.
Nel settembre dell'anno medesimo della laurea vinse la gara dei concorrenti alla condotta medica di Teolo nei Colli Euganei.
Preso possesso di quella condotta, non tardò a dar fede di sposo a Teresa Macoppe di Padova, donzella egregia, che poi, per virtù impareggiabili di moglie e madrefamiglia, gli fu sempre carissima, preziosissima.
A Teolo rimase, gradito a tutti, sino a che nel settembre del 46 venne invitato ad assumere la più ragguardevole condotta medica della città di Montagnana, dalla quale s'era dismesso, pieno d'anni e di meriti, il dottor Penolazzi.
In quel mezzo avea fondato in Padova, d'accordo con Guglielmo Stefani, il Giornale Euganeo, e il Caffè Pedrocchi: due giornali che diedero (com'ei notava a ragione) la prima sveglia agli spiriti tuttavia dormigliosi delle provincie Venete”.
Nei giorni bene augurosi del marzo 48 i notabili di Montagnana lo vollero a capo del Comitato, nelle cui mani stava la somma del loro Governo. Ond'ei, d'intesa col conte Livio Zambeccari, colonnello di una legione di Romagnoli, diede opera a guarentire i confini del distretto dalle incursioni degli Austriaci, accampati nel Quadrilatero. Le quali precauzioni non furono inutili, se, a cagione di quelle, le scorribande nemiche (che nell'aprile e nel maggio, uscite da Legnano e arrivate al Castello dei Duchi di Bevilacqua, aveano messo a ruba e a rovina ogni cosa, e insino i sepolcri) non osarono pur di guadare il piccolo fiume, oltre il quale cominciano le terre di Montagnana.
Senonché, avendo le vittorie dei Piemontesi a Goito e Peschiera indotto il Radetscki alla famosa conversione di fronte e a propulsare Vicenza, il conte Zambeccari mosse velocemente alla volta di Padova; d'onde sperava di poter correre a guardia de' Colli Berici. In conseguenza anche il Berti riducevasi a Padova, dove lo inscrissero fra i membri del Comitato di difesa. Per pochi giorni: conciossiachè gli Austriaci, vinta in guerra la eroica Vicenza, il 13 giugno rioccuparono Padova; e a lui fu mestieri cercare asilo nella città di San Marco, la sola che nelle Venezie durasse libera, e risoluta alle estreme prove delle armi.
Quivi, nominato medico militare, ebbe stanza col suo battaglione nell'isola di San Giorgio Maggiore.
Pendente l'assedio, sofferse ogni sorta di dolori: infebbrichito; diviso da' suoi, che non aveano licenza di scostarsi da Padova; trambasciato per lo spettacolo delle sventure nazionali, e della pestilenza cholerica. Nondimeno, fermo al suo posto, imperterrito; ai malati, ai feriti vigilantissimo; celava a tutti gli infausti presentimenti, e in tutti industriavasi di ridestare le speranze che in lui più non erano.
Sullo scorcio dell'agosto 49 il Veneto Leone, stremato di Forze, avvegnachè ricinto di gloria, cadde di nuovo nei ceppi dello straniero. Di che il Berti, volato a riveder la famiglia, tornò con essa a Montagnana. Ma eziandio quel ricovero gli fu interdetto. Alla podestà non parea tollerabile ch'egli avesse da soggiornare fra i testimoni delle sue geste del 48. Voleva averselo sotto gli occhi; spiarne i voti; indovinarne i concetti: pertanto gli fece precetto di rinchiudersi dentro Venezia; nella quale ammalò gravemente, e a dilungo. Furono quelli i miserrimi de' suoi tempi.
Verso il 53, ristoratosi alquanto in salute, ripigliò l'esercizio della medicina, e con prosperi auspicî; attalché la sua fama venìa crescendo ognindi, ed egli era omai reputato uno de' primi medici della metropoli e delle città convicine.
Gli studî e gli officî della sua professione non doveano lasciargli pace. Malgrado ciò, ripensava alla patria; alla quale in ogni età, in ogni fortuna, e a dispetto d'ogni pericolo, perseverò sommamente devoto. Né la diuturna aspettazione, né le delusioni acerbissime (massime quella ch'ebbe nome da Villafranca) ammorzarono o menomarono la sua fede. Infatti e' fu l'anima del Comitato segreto di Venezia, che dal 59 al 66 conspirò di continuo al trionfo della causa italiana.
Vano sarebbe da parte mia, se non anzi insano, il conato di descrivere a quali altezze Antonio Berti salisse nella scienza e nell'arte, che l'ebbero nobilissimo sacerdote. Codesto assunto, non che impossibile ai profani, per avventura sarà malagevole anche agli allievi suoi, ed ai compagni.
Fatto è che sin dal 1860 i sopravveditori alla pubblica carità lo giudicarono degno della nomina a medico primario dell'Ospedale generale di Venezia; e in quello gli vennero affidate due sale, due scuole, l'una per le malattie comuni, l'altra per le mentali.
Affermano che nei primi anni fosse seguace dei sistemi vitalisti, e gli piacessero quelle teoriche che allora andavano sotto il nome fastoso di dottrine mediche italiane. Più tardi, l'eletto ingegno suo, la sperienza del grande ospedale e lo studio indefesso, gli furono occasione e stimolo a rifare da sé con ammirabile esempio la sua educazione: delle moderne indagini diagnostiche toccò probabilmente la perfezione; e più andava innanzi cogli anni, più in esso lui rivelavasi ai soci e ai discenti il clinico dotto, acuto, felice (2).
Delle scienze ausiliari ed affini non solo non fu incurioso, ma anzi fu sottilissimo cercatore. Ce ne stanno in prova i discorsi di astronomia, di climatologia, di mineralogia, ch'ei recitò all'Ateneo, all'Istituto veneto, e ad altrettali accademie; i quali furono dati alle stampe o negli Atti di quei consessi, o nel Giornale veneto di scienze mediche, o nella Gazzetta medica italiana, o in una vecchia Effemeride di Venezia, che talora, mendicando l'oblio delle sue tristizie politiche, registrava nelle Appendici qualche dettato letterario o scientifico di uomini illustri.
Fra i suoi scritti medici andarono lodatissimi quelli Sui veleni e gli antidoti; e l'altro Sulle pretese relazioni dell'ozono col cholera; e l'altro, intitolato Il cholera e i ministri francesi; e l'altro I provvedimenti contro il vaiuolo; e quello Sul magnetismo animale; e gli altri Sull'atrofia muscolare progressiva, e la malattia del Krishaber.
Fra i meteorologici, cosmologi, astronomici: quello Sul terremoto di Venezia del 20 gennaio 1859; e l'altro Sul terremoto di Venezia del 19 luglio 1860; quello Sui fenomeni osservati in Italia nell'eclissi solare del 18 luglio 1860; e l'altro Sull'eclissi solare del 31 ottobre 1861; quello Di una cometa scoperta a Marsiglia nel luglio 1862; e le Osservazioni sulle vicende meteorologiche durante le epidemie choleriche; e le altre Sul clima di Venezia, in continuazione, estensione e compimento delle anteriori pubblicate dal Namias; e l'altra Sulla costituzione atmosferica della città di Venezia durante la epidemia morbillosa del 1860.
Con tuttociò, la scienza che di dì in dì doventavagli prediletta era dessa la medicina legale e la psichiatria; alla quale in ispecialità lo aveva incitato l'animo suo squisitamente compassionevole.
Intorno a questa abbiamo un volume che raccoglie le sue memorie Sulla influenza esercitata nella produzione della pazzia dalla età, - dalle idee religiose, - dalle idee politiche, e dagli sconvolgimenti sociali, - dal sesso, dallo stato civile, e dalle professioni, - dal clima, dal suolo, e dagli alimenti; e quella intitolata Sulla pretesa influenza della civiltà nella produzione della pazzia; e l'altra Della imitazione come causa di morbo mentale; e l'altra Sulla eredità dei morbi nervosi; e l'altra Sulla elettricità nella cura delle alienazioni mentali; e la prolusione del 1870 Sulla importanza d ella psichiatria nella medica coltura; e i Commenti critici sugli articoli 61-62 del progetto del nuovo Codice penale.
Quindi avvenne che (attuatesi nei processi penali della Venezia le leggi del Regno) il Berti dovette intervenire come perito, quasi ogni volta che seriamente si questionava della imputabilità morale de' giudicabili; e grandissimo fu il credito de' suoi responsi; ne' quali tornerebbe ardua cosa il decidere se più risplendesse o la esattezza diagnostica o la sapienza psichica o la sodezza dialettica: certamente niuno lo superava nella facilità e nella lucidità del discorrere e nella potenza del persuadere (3).
Appunto la efficacissima sua persuasiva di leggieri ne avrebbe fatto un dottore nelle aule della giustizia pericoloso, se innanzi tutto ei non fosse stato onesto, leale, e della verità vera amatore religioso e costante. Onde vuolsi desiderare che resti in perpetuo quella sua magistrale dichiarazione: “O ch'io sia qui per istanza del pubblico ministero o dei difensori, io non inchino né all'una parte né all'altra: io non sono né voglio essere se non un perito pro veritate”.
Senzachè, della sua scrupolosissima imparzialità, quale indizio migliore di questo, che non so pretermettere?
Avendo io dovuto annunciargli che il presidente delle Assise di Napoli lo chiamava a perito nel processo per l'attentato del 17 novembre, rispose che non poteva accettare l'incarico; e chiestogli del perché, uscì nelle seguenti parole: “Come potrei ripromettermi di adoperare da perito neutrale, appetto all'assassino del Re?”.
Ma tempo è ormai di abbreviare.
Taccio adunque della sua diligenza umanissima d'intorno agli infermi, e delle pazientissime analisi, e dei consigli amorevoli, e delle caute e sagaci risoluzioni. Taccio delle sue vittorie non poche, e talvolta poco sperabili, di morbi gravissimi, complicatissimi. Taccio della larghezza verso i clienti, da' quali, sol che apparissero disagiati, rifiutava ogni compenso delle sue cure. Taccio della bontà, singolare piuttosto che rara, riguardo a tutti; e dei perdoni, e delle amnistie, ed eziandio dei favori largiti agli sconoscenti, ai maligni.
E senza più, mi volgo alla vita amministrativa e politica che gli s'è aperta dopo la guerra e il Trattato austro-italico dell'ottobre 1866.
Nei momenti delle patrie gioie e degli entusiasmi sogliono i popoli essere giusti ed equanimi. Ond'ecco che innanzi tutto, costituendosi a Venezia una Giunta provvisoria a reggere il Municipio, Antonio Berti è immediatamente acclamato a membro di lei e preposto alle cose della istruzione pubblica. E poi, sciolta sul finire del 1866 la Giunta provvisoria, viene eletto consigliere comunale e assessore, affidatogli nuovamente il dicastero dell'istruzione. Le difficoltà di codesto ufficio erano tante, che mai le maggiori. Basti dire che sino allo insediamento del regio Governo le scuole elementari, per effetto del Concordato austro-pontificio, stavano in piena balia della curia patriarcale; la quale, se fosse nemica agli ordini liberi, alle autorità nazionali, ad ogni idea di civile progresso, niuno è che non sappia.
Or, di repente abolitosi il Concordato, occorreva creare nuove scuole, trovar nuovi maestri, surrogare ai programmi, ai testi, agli spiriti papaleschi, i programmi, i testi, gli spiriti nazionali; e (che più è) occorreva che la trasformazione si compiesse più presto che subito, a scongiurar il pericolo che i retrivi, per un momento assopiti, non risollevassero il capo a frastornare comechessia il voto e l'opera del nuovo tempo. Parve un miracolo che alla grande bisogna il Berti abbia potuto provvedere rapidissimamente, e con tale saviezza e rettitudine da non dar adito né pretesto a reclami o censure. Dopo dodici anni, e va per il decimoterzo, i suoi indirizzi permangono rigogliosi e fecondi. Non una volta, ma molte (e nessuno se ne impermalisca) ho udito allegare da uomini competentissimi, e di non facile contentatura, che in materia di istruzione primaria tutto quanto ha Venezia di acconcio e di progressivo è fatto e merito del bravissimo Berti.
Né, perché attendesse ex professo alla istruzione, lasciava indietro le altre necessità, a cui virilmente importava di recare i rimedî che la trascuraggine de' governanti e la disperanza de' governati renduto avea pressantissimi. Infelici le condizioni della edilità; più infelici, e avrei dovuto dire paurose, quelle della pubblica igiene; e spente o annighittite le industrie; e scoraggiti o disviati i commerci; e l'ozio della minuta gente diventano costume; e studio e cura poco meno che sola, viver sempre d'accatto.
Tale fu la Venezia che il Re d'Italia ha riscossa dalle mani degli Asburghesi! E chi mai con più acceso zelo, e più forte volontà, e più prudente senno che il Berti, nell'una e nell'altra Giunta si adoperò ad alleviare quel cumulo di malanni, e quinci medesimo ad ovviare che, cessata com'era la schiavitù, la misera plebe non trascorresse ai soprusi?
Noterò solo, che tanti furono gli spedienti da lui divisati, e tanto assidue le premure sue ad attuarli, e, perciò stesso, tanta la stima e la benevolenza pubblica a lui cresciuta, che non poté non ne torcere il grifo la invidia; la quale, poiché niente aveva da biasimare ab intrinseco, si scapricciava a porre in deriso la inimitabile di lui alacrità, e l'ansia irrequieta dello scrutare ogni menda, e del sopperire ad ogni uopo (4).
Chi l'avrebbe sognato? - I fannulloni, i beffardi raggiunsero il loro turno di festa: e ciò fu allora che, indettesi le nuove elezioni municipali, il Berti perdette lo scanno di consigliere. Così a Venezia s'è cominciato a scrivere (non voglio dire per colpa e briga di chi) la vieta pagina dell'ostracismo!
Ma la resipiscenza fu presta; di guisa che, rinnovatosi nel 1872 il cimento delle urne, il Berti fu da capo chiamato a quell'Aula che sin dapprincipio era stata l'area delle sue gesta civili, de' suoi benefatti al Comune. Fortunati i municipî che possono contare su valentuomini di simil conio.
Non v'ebbe in Venezia officio o carica alla quale il Berti non fosse chiesto e innalzato.
Era socio dell'Ateneo veneto, e per quasi quattro anni lo presiedette. Era membro effettivo del Regio Istituto veneto di scienze, lettere ed arti. Consigliere della Regia accademia di belle arti. Membro del Consiglio direttivo della regia Scuola superiore di commercio. Presidente della Giunta di vigilanza nell'istituto tecnico professionale e nautico. Presidente della Società medica di mutuo soccorso, e per nove anni del Comitato in Venezia dell'associazione medica italiana. Vicepresidente del Consiglio sanitario della Provincia.
Gli offici o le cariche non teneva ad uso di pompa: bensì, quanto era fattibile, badava a tutte. E nulla ostante sapea trovar tempo di assistere a non so quanti Congressi; e fu Presidente, tra gli altri, del pedagogico e poi del ginnastico a Venezia, e del frenojatrico ad Aversa; e Vicepresidente dei Congressi medici a Bologna, a Torino; e così via.
Nelle adunanze non era alcuno che non avesse a grado di udir la sua voce; pronta ad ogni subbietto; abilissima a sgombrare ogni nebbia; autorevolissima a comporre le controversie.
L'amicizia, che al Berti stringevami, non mi illude, o Signori, quando asserisco che a lui non fece difetto nessuna virtù. Né solo intendo delle virtù famigliari o domestiche, nelle quali è per poco impossibile che i bennati uomini ottimamente non provino: e nemmeno mi fermo alle virtù professionali, che di per se stesse si impongono al medico, s'ei non disama il proprio nome, la propria sorte. Guardo massimamente alle virtù sociali e statutali, che avvampano sull'ara sacra alla libertà, alla giustizia. Quanta integrità di carattere, di propositi, e di costumi! Quanta sollecitudine per le cose del natìo loco! Quanta annegazione di se medesimo, e quanto disinteresse! E che sviscerato amore all'Italia, e agli ordini che la informano! E che saggezza a discernere i pregi e i confini della libertà legittima! E che temperanza nelle discussioni e nelle polemiche! E che severa astegnenza, o vuoi dalle cupide consorterie, o dalle codarde neutralità! E quanta fermezza a non voler parteggiare, checché ne garrissero i sopracciò! E quanto decoro negli atti e nei portamenti! E tutto insieme, quanta modestia! (5).
Questo insigne cittadino, questo valoroso scienziato, è salito alla dignità di senatore del Regno nel 16 novembre 1876. Perché non prima?
Fu dunque corto (ahi! troppo corto) lo spazio tra la sua venuta al Senato e la dipartita. Ma lo seppe correre degnamente; e la fiducia dei suoi colleghi l'ha cordialmente rimeritato.
I suoi discorsi del giugno 1877, circa la Convenzione per i servizi postali commerciali e marittimi, incontanente manifestarono che il ben accetto senatore non era nuovo né inesperto dei postulati della scienza economica, e degli aiuti che giustamente il commercio chiede ed attende dalle accelerate e guarentite comunicazioni per le immense linee dei mari.
La sua relazione sul progetto del codice sanitario, e la accortezza onde l'ha sostenuto a rimpetto di poderose opposizioni, guadagnò poco meno che la unanimità dei suffragi. Il relatore aveva omai compito le parti sue. Dodici intieri giorni di discussione aveano ormai posto in sodo tutti i principî del Codice e tutti i precetti o i divieti (6). Restava che i ministri dello Interno o della Giustizia si mettessero d'accordo intorno alla specie e alla misura delle pene dei contravventori. Se l'Italia non ha alle mani codesto Codice, affè che nessuno può darne cagione né al relatore, né alla nostra Assemblea.
Parlò altresì per la ricostituzione del Ministero di Agricoltura, Industria e Commercio (7). Parlò per l'insegnamento della ginnastica nelle scuole (8). Parlò per l'abolizione delle tasse sopra la navigazione e la fluitazione dei legnami nei laghi e i fiumi e i torrenti e i canali (9). E, siffatta era la versatilità del suo ingegno e la copia delle sue cognizioni, parlò sin'anche del refrattore equatoriale per l'Osservatorio di Brera (10).
Ma gli argomenti che più gli poteano sull'animo erano quelli del proprio paese.
Non gli era uscita dalla memoria la terribile profezia di Carlo Botta, invelenito per le stipulazioni di Campoformio: "..Ora, quando si dirà Venezia, s'intenderà di Venezia serva; e tempo verrà, e forse non è lontano, in cui, quando si dirà Venezia, s'intenderà di rottami e d'alghe marine, là dove sorgeva una città magnifica, maraviglia del mondo" (11).
Quasi dodici lustri ci son voluti a far cessare la servitù. Pur nondimanco persiste, ed è flagrante, contro Venezia e l'Estuario, il pericolo dei sempre maggiori interrimenti, e, perciò stesso, dello intristirsi dell'aria e dell'acqua, e del moltiplicarsi ogni anno più le febbri mortifere e gli altri disastri che ne conseguono. Onde il Berti considerava: Or come mai la gran patria non si accora delle estreme iatture che soprastanno a colei dalla quale abbiamo imparato ben quattordici secoli di opulenza, di gloria, d'indipendenza! A colei che dalla postura, dallo istinto, dalle tradizioni, si sente eccitata a pigliare la sua parte nei grandi commerci dell'epoca? E, condotto da questi pensieri, pertinacemente indagava, e avidamente coglieva qual che si fosse occasione per avvocare ogni dove, e precipuamente innanzi al Senato, della sua Venezia i bisogni, gl'interessi, i diritti.
Di qua la sua orazione del 19 dicembre 1877 sopra alcune opere, le più necessarie, alla laguna di Venezia ed al porto. Di qua, e sullo stesso tema, la sua interpellanza del 4 marzo 1878 al ministro dei Lavori Pubblici. Di qua l'altra sua interpellanza del 5 febbraio 1879, al detto ministro, sui lavori urgenti da doversi eseguire nel porto e nella laguna, e innanzi tutto sulla gittata o scogliera del Lido.
Voi pendeste da' suoi labbri, o Signori, non solo com'era debito verso l'eminente igienista, ma quasi ei fosse un solenne maestro d'idraulica; e non poteste non compiacervi di seguitarlo nei referti e nei raziocinî, a' quali procedea difilato, lucidamente, senza affettazione, senza pedanteria. Bene io ricordo che taluno di voi, udito il Berti, mi apostrofava: "Ma non è egli adunque ingegnere?" E un altro asseriva: "Egli ha proprio lo stile del Redi". E un vecchio parlamentare venia meditando: "O perché non ne faremo un ministro?".
Ma quella del 5 febbraio fu l'ultima volta che il Berti ha sospinto la vostra attenzione.
Finito il discorso, e ricevuta appena la promessa che ne sarebbe tenuto conto, lasciò l'Aula, sovrappreso da non so che malessere. Si fermò a Roma due giorni. Mi disse che di quel malessere aveva avuto un primo accenno nel passato autunno a Torino, quando inauguravasi il monumento a Luigi Cibrario: e parve che la recidiva lo sgomentisse. Pure, partendo per Venezia, mi assicurò che presto ritornerebbe.
Frattanto, a contendergli la quiete dello spirito, capitò la notizia che alla Camera de' deputati distribuivasi un progetto di legge col quale il ministro dei Lavori pubblici, a rispetto di 21 porti del Regno, divisava il dispendio di 22 milioni delle nostre lire, senza volgere al porto di Venezia né un obolo, né una lusinga. Onde le molte lettere a ministri e cessati e presenti, mercè le quali il Berti ha rincalzate le conclusioni del suo discorso e versate le sue querele (12).
La quale, ch'ei chiamava campagna epistolare, commosse più che altri la Camera di commercio e la Giunta municipale. Appunto la Camera di commercio, con una petizione al Governo del Re, fece sue proprie le istanze del nostro esimio collega; e la Giunta ha prefinito pel 24 di marzo una pubblica adunanza a raccogliere i voti del Consiglio.
Arriva il 24 marzo: suona l'ora dell'Assemblea: tutti i consiglieri prendono i seggi: nelle altre parti della sala, e sugli ingressi, e nei siti adiacenti, e davanti al palazzo, stipati in folla gli ansiosi. Apresi la tornata. Il consigliere Angelo Minich, tra i sapienti fisiologi sapientissimo, dichiara il suo consentimento agli avvisi del Berti. e questi comincia, rendendo grazie. Ma ahimè! Le parole gli muoiono sulle labbra; come in atto di chieder venia, socchiude le mani, allibisce, reclina la testa, stravolti gli occhi, perduto il polso, spento il respiro. Una fierissima angina pectoris lo avea fulminato. Oh come sono inesorabili i decreti di colassù!
Hanno detto che, sul mattino, alla moglie e ai figliuoli apparisse turbato del corpo e dell'animo; e ch'essi ed altri lo consigliassero a non si muover di casa. Ma non è vero. Soldato impavido, sorrideva e quasi ingagliardiva alla idea del cimento. Forse sperò che, quel giorno ancora, la prontitudine dello spirito prevarrebbe alle insidie del morbo latente. Forse eziandio gli è balzato al pensiero che in fine in fine la vita avvenire non è senza compensi pel cittadino che muore in servizio de' patrii lari. Ora che l'olocausto è compiuto, ci preme il debito di veder modo che non torni infruttifero.
La costernazione de' veneziani, universale, profonda; le lagrime dei moltissimi che nei tre giorni dal 24 marzo han voluto chinarsi davanti la fredda salma; la magnificenza degli onori funebri, per cura del Municipio; lo accorrimento di spettabili personaggi, e dei corpi accademici, e di tutte le scuole, e dei sodalizi caritativi e politici di Venezia; e le legazioni degli istituti scientifici e letterarî d'altre città; e, a dir breve, le schiere innumerabili dei pietosi, d'ogni classe e d'ogni ordine, che accompagnarono il feretro dalla sala municipale alle salmodie della chiesa e alla requie della necropoli; e i solenni addio proferiti da commossi oratori (primo de' quali il conte Leopardo Martinengo, decano de' senatori veneti), ampiamente testificarono e quale e quanto tesoro d'affetti avesse recato con sé il nostro Berti. Certo, non fu udita parola che non fosse di compianto, di riverenza, di lode.
Se poi taluno lo chiama in colpa di non aver saputo arricchire, rispondo netto e reciso: All'uomo fu imposto di lavorare; non gli fu imposto di vincere la fortuna; cieca è costei, né sempre amica agli onesti: al postutto, corsa una vita di fatiche e di meriti, meglio è morire con poco o nulla d'avanzo, che lasciare dovizie delle quali gli eredi non osino commendare le origini.
Senato del Regno, Atti parlamentari. Discussioni, 29 luglio 1879.
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(1) Ne cito alcuni. Canti del popolo. Racconti: Maria – Una canzone popolare – La vocazione fallita – La madre e la figlia. – Novelle: Inno della mia gioventù – Pensieri sulle tragedie di Eschilo, specie sul Prometeo.
(2) V. Giornale veneto di scienze mediche. T. I., S. IV, fasc. di marzo 1879.
(3) Alquanti di quei responsi medico-legali furono pubblicati dal Pascolato nel Monitorre giudiziario di Venezia, e poi dal Berti riuniti nel volume Pazzia ed omicidio.
(4) A quei dì non era infrequente che accennassero a mo’ di ludibrio il dottor Omnibus: e con questo alludevano al Berti.
(5) Nel 1840 Antonio Berti, impensierito dell’irruente ciarlatanesimo, lo proverbiò argutamente in una sua Lezione di enciclopedia, ch’era, come a dire, il manuale del ciarlatano. Valse a svergognarlo. Ma rincacciarlo non pare.
(6) Tornate dal 6 al 17 dicembre 1877.
(7) Tornata del 29 giugno 1878.
(8) Tornata del 2 luglio 1878.
(9) Tornata del 3 febbraio 1879.
(10) Tornata del 1 luglio 1878.
(11) Storia d’Italia dal 1779 al 1814, lib. XII, inf.
(12) Lettere intitolate La salute pubblica e la scogliera di Lido 10 febbraio, 25 febbraio, 3 marzo, 10 marzo, 14 marzo 1879, scritte dal senatore Berti, divulgate dopo la morte di lui dal figliuolo Alessandro.
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