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PERUZZI Ubaldino

  







   Indice dell'Attività Parlamentare   


.:: Dati anagrafici ::.

Data di nascita:04/02/1822
Luogo di nascita:FIRENZE
Data del decesso:09/09/1891
Luogo di decesso:FIRENZE
Padre:Vincenzo
Madre:GUADAGNI TORRIGIANI Enrichetta
Coniuge:TOSCANELLI Emilia
Parenti:PERUZZI Simone, zio
Titoli di studio:Laurea in giurisprudenza (1)
Diploma di ingegneria delle miniere (2)
Presso:Università di Siena (1)
Scuola reale delle Miniere di Parigi (2)
Professione:Ingegnere
Cariche politico - amministrative:Vicepresidente della Consulta (Toscana) (1859)
Membro dell'Assemblea dei rappresentanti (Toscana) (1859-1860)
Gonfaloniere di Firenze (17 novembre 1848-28 settembre 1850)
Assessore anziano facente funzioni di sindaco di Firenze (30 ottobre 1868-31 dicembre 1870)
Sindaco di Firenze (1° gennaio 1871-15 maggio 1878)
Presidente del Consiglio provinciale di Firenze (1866-1869)
Cariche amministrative:Assessore comunale di Firenze (1850)
Consigliere comunale di Firenze (30 ottobre 1859) (1865-1878)
Consigliere provinciale di Firenze (1865-9 settembre 1891)
Cariche e titoli: Presidente del Comitato promotore del Collegio degli architetti ed ingegneri di Firenze (1876)
Presidente onorario del Collegio degli architetti ed ingegneri di Firenze (22 giugno 1876-1891)
Membro e presidente della Commissione agraria per il bonificamento dell'Agro romano
Membro del Consiglio direttivo e direttore della Società della strada ferrata Leopolda Firenze-Livorno (1850-1861)
Membro del Comitato di redazione della "Biblioteca civile dell'Italiano" (4 dicembre 1857)
Segretario della Società del Patrocinio pei liberati dal carcere
Presidente della Giunta di vigilanza dell'Istituto tecnico di Firenze
Sovrintendente dell'Istituto di studi superiori pratici e di perfezionamento di Firenze
Socio ordinario dell'Accademia dei Georgofili di Firenze (1848)
Socio della Deputazione di storia patria per la Toscana

.:: Nomina a senatore ::.

Nomina:12/04/1890
Categoria:03
05
I deputati dopo tre legislature o sei anni di esercizio
I Ministri segretari di Stato
Relatore:Salvatore Majorana Calatabiano
Convalida:13/12/1890
Giuramento:10/12/1890
Annotazioni:Giuramento prestato prima della convalida, in seduta reale d’inaugurazione di sessione parlamentare
.:: Onorificenze ::.

Gran cordone dell'Ordine dei SS. Maurizio e Lazzaro

.:: Camera dei deputati ::.

Legislatura
Collegio
Data elezione
Gruppo
Annotazioni
VII
Firenze II
25-3-1860
Destra
VIII
Firenze I
27-1-1861*
Destra
Cessazione per nomina a ministro dei lavori pubblici. Rielezione con ballottaggio il 20 marzo 1861 ed ulteriore cessazione per nomina a ministro dell'interno. Rieletto con ballottaggio il 18 gennaio 1863
IX
Firenze I
22-10-1865**
Destra
Ballottaggio il 29 ottobre 1865
X
Firenze I
10-3-1867***
Destra
Ballottaggio il 17 marzo 1867
XI
Firenze I
20-11-1870****
Destra
Ballottaggio il 27 novembre 1870
XII
Firenze I
8-11-1874*****
Destra
Ballottaggio il 15 novembre 1874
XIII
Firenze I
5-11-1876******
Destra
Ballottaggio il 12 novembre 1876. Dimissioni il 20 luglio 1879. Rieletto con ballottaggio il 17 agosto 1879
XIV
Firenze I
16-5-1880*******
Destra
Ballottaggio il 23 maggio 1880
XV
Firenze I
29-10-1882
Destra
XVI
Firenze I
26-5-1886
Destra
Cariche:Vicepresidente (8-10 marzo 1876. Dimissionario)


.:: Governo ::.

Altri Stati:Membro della Commissione governativa (Toscana) (1849)
Presidente del Governo provvisorio toscano (27 aprile 1859)
Governo:Ministro dei lavori pubblici (14 febbraio-12 giugno 1861, (12 giugno 1861-3 marzo 1862)
Ministro dell'interno (8 dicembre 1862-24 settembre 1864)

.:: Atti parlamentari - Commemorazione ::.

Atti Parlamentari - Commemorazione
    Domenico Farini, Presidente

    Signori senatori! Mi è doloroso ricordarvi le morti che ci afflissero nei mesi passati. [...]
    Signori senatori! Ubaldino Peruzzi, morto all'Antella su quel di Firenze il giorno 9 di settembre, molto operò pel risorgimento nazionale.
    Sullo scorcio del 1848, a soli 26 anni, il nome illustre fra gli illustri fiorentini; il bello ingegno con studi diversi, di legge e di matematiche, in patria e fuori coltivato, lo additarono a gonfaloniere della città natale. Nei dissidi, nelle turbolenze, nello scapestrare di quei giorni tutelò, animoso l'ordine e, per esso la libertà e la indipendenza che furono i supremi suoi intenti. E come, fra le sbrigliate passioni aveva tenute ferme le ragioni dell'ordinata libertà, i diritti della libertà strenuamente difese al cospetto del principe spergiuro, della straniera invasione.
    Contro questa offesa, onde si ripagava la cittadinanza, reclamò al commissario del granduca, restaurato per moto di popolo; ne ricordò al principe le aspirazioni; protestò contro il decreto che nel 1850 soppresse lo Statuto: fu destituito.
    Lo seguì l'universale favore, tante erano state la dignità e la fermezza con che, a viso aperto, aveva sostenuto il toscano diritto, il diritto della coscienza italiana. Da allora, uomo privato, attese, colla solerzia che gli era connaturale, alla ferrovia livornese esplicando nel dirigerla la molta perizia negli studi d'ingegneria a Parigi acquistata.
    Insieme a quel fascio d'ingegni, di reputazioni, d'influenze, che furono gli editori della Biblioteca civile dell'Italiano,nel 1858 apparecchiò e ravvivò la opinione pubblica che suscitar dovea le virili risoluzioni dell'anno seguente. Ed il 27 aprile 1859, fuggiti i Lorenesi, fu dal municipio fiorentino chiamato a parte del Governo provvisorio. Il quale, nel giro di quindici giorni, raffermato l'ordine, confidata la Toscana al protettorato di Vittorio Emanuele, ne assicurava la partecipazione alla guerra di indipendenza, dal granduca, pena la corona non voluta. Irresistibile sollevazione di spiriti nazionali; rivendicazione di liberi e civili intenti che il Governo provvisorio fedelmente assecondava restituendo la civile uguaglianza de' culti, cassando la pena di morte, dalla restaurazione, in onta del popolare sentimento, decretata.
    Insediato il commissario del Re protettore fu il Peruzzi vicepresidente della Consulta, raccolta fra i più autorevoli. I preliminari di Villafranca, avendo tagliato in tronco le vittorie e le speranze, andò a Torino ed a Parigi per schiarire le imperiali ambagi, per distrigare i viluppi a danno dell'unione, alla quale Governo e popolo intendevano.
    Effettuata l'annessione, Firenze lo elesse deputato al Parlamento per le dieci legislature che corsero sino alla presente, nel cui principio fu al Senato ascritto.
    E come già nell'Assemblea toscana dell'agosto 1859, così nella Camera italiana assurse a posto ragguardevolissimo.
    Dei più influenti, dei meglio versati nella cosa pubblica, di maggior seguito e credito nella natia regione, fu col conte di Cavour ministro dei lavori pubblici, in quell'anno felice che ricorda l'unione di Napoli e Sicilia, la proclamazione del Regno d'Italia, Roma acclamata capitale.
    Rifatto ministro, ebbe l'interno dall'8 dicembre 1862 al 27 settembre 1864; fino a quando una stipulazione internazionale condusse il Governo a Firenze.
    Parlatore arguto, trattava ogni argomento con piacevolezza; il proverbiare, i motti, il frizzo cortese ed elegante ne infioravano ogni discorso, che un porgere alla buona, ed un fine sorriso rendevano efficace. Gli conferivano autorevolezza non tanto gli alti uffici tenuti in svariate vicissitudini, quanto la aspettazione in che tutti erano dei sagaci avvedimenti suoi. Pareva gli pronunciassero dalla sua bocca la lunga esperienza ed il buon senso; grandi maestri.
    Resse molti anni il Comune di Firenze e presiedette alla trasformazione edilizia che, necessità di Stato impellendo, la bella regina dell'Arno mutò per poco nella degna sede d'Italia, nella splendente gemma, per sempre alle città sorelle nobile esempio.
    La cultura, le scienze, le lettere, le arti vi promosse; gli studi geniali d'ogni maniera vi aiutò; il tradizionale costume gentile alla educazione raccomandò, colla educazione ravvivò. (Assai bene).
    Mutate le fortune della città, non più capo del Regno, i traffici scaduti, i guadagni mancati, le speranze deluse lo rampognarono amaramente di inabissate ricchezze: volgari insinuazioni, basse calunnie lo dilaniarono. Ma il verdetto che lo rivolle alla Camera e nel Comune, quando egli se ne era ritratto per subire il giudizio dei concittadini, lo risarcì con buona e pronta giustizia.
    Del lingueggiare degli sfaccendati e d'ogni trista contumelia con che gli s'avventò, quasi dogma, il sospetto, fecero del pari buona e pronta giustizia gli ultimi anni suoi, purtroppo preoccupati dai misurati bisogni della vita frugale.
    Ed ora che questa preziosa vita si è spenta, ogni non equo giudizio tace vergognoso e per Ubaldino Peruzzi incomincia la imparzialità della storia.
    In essa il nome di lui troverassi annoverato fra i valenti della valorosa schiera che a costituire la patria contribuì. E lo si leggerà con onore in più d'una pagina, dalle quali spirerà la popolare riconoscenza, a refrigerio e consolazione degli ultimi suoi giorni, attestatagli, ricorrendo, l'ultimo della dinastia Lorenese: e sarà ricordata la mestizia della sua Firenze per la morte di lui e, col lutto di Toscana, il cordoglio di quanti vissero le vicende per cui, abbattute le domestiche tirannie, gli stranieri dal sacro suolo nazionale cacciati, spezzati i ceppi, la patria risorse. (Benissimo, vivissime approvazioni). [...]
    BUSACCA DEI GALLIDORO. Domando la parola.
    PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare.
    BUSACCA DEI GALLIDORO. Come testimone, per la mia personale posizione negli avvenimenti politici della Toscana nel 1859 e 1860, mi sia permesso di aggiungere pochissime parole a quelle così egregiamente dette dal nostro Presidente intorno ad Ubaldino Peruzzi.
    Qual fosse, come abile ed accorto amministratore il Peruzzi, lo aveva già mostrato funzionando da sindaco di Firenze. Ma come patriota incorruttibile ed eminentemente italiano, egli fosse, il Peruzzi dopo la catastrofe del 1848, mostrò opponendo alla invasione austriaca come sindaci di Firenze energica protesta. Per quella protesta il Consiglio municipale fu sciolto, o, per più esattamente dire, il sindaco fu destituito.
    Se non che il granduca austriaco non vide che invece col suo ingresso, alla testa delle truppe austriaco, egli stesso la sua inevitabile decadenza decretava. Da quel momento infatti, mai non vi fu in Toscana il più piccolo partito che sinceramente appoggiasse il Governo granducale. La fase di vita di quel Governo passò a Vienna.
    Ed infatti, prima ancora che il cannone tonasse in Lombardia, a Firenze, nel 1859, popolo e truppa al grido Italia e Vittorio Emanuele insorsero, e seguiti da tutta la Toscana, espulso il principe austriaco, un primo Governo provvisorio o giunta governativa fu dal Consiglio municipale costituito, colle persone del nostro Ubaldino Peruzzi, del generale Danzini rappresentante l’esercito, e del colonnello Malenchini il quale rappresentava la città, dopo Firenze, la più cospicua della Toscana, cioè Livorno.
    Quel Governo però non durò che pochissimi giorni, e ciò era naturale. Due dei membri di questo Governo erano uomini che prestare potevano e prestarono la loro opera sul campo di battaglia, cioè il Danzini e il Malenchini, la mente governativa, l’uomo di Stato era certamente Ubaldino Peruzzi. Fu per consiglio dello stesso Ubaldino Peruzzi, che un Governo regolare sotto la presidenza dell’onorevole Ricasoli formossi, Governo che quantunque nato dalla rivoluzione e provvisorio, funzionò fino all’annessione come un Governo normale.
    Posso assicurarvi, onorevoli colleghi, non vi è stata rivoluzione in cui l’opinione pubblica sia stata così tenacemente e arditamente unanime nel suo scopo come la rivoluzione toscana. Se non che bisogna rammentare che nel 1859 colla pace di Villafranca alla guerra del cannone successe la guerra della diplomazia.
    Come ho detto insorta la Toscana al grido d’Italia e Vittorio Emanuele il nostro programma, ossia di noi toscani, era l’unità assoluta dell’Italia, e fino dal primo giorno il Governo provvisorio proclamò questo programma, come suo e come quello a cui aspirava il paese.
    Ma voi, onorevoli colleghi, ben sapete, che nel trattato di Villafranca, trattato fatto contro l’annuenza del conte Cavour, i diritti dei principi spodestati furono espressamente riservati, che è quanto dire doveano essere nei ducati e granducati restaurati.
    Quindi l’Austria fondandosi sul trattato lottava per la restaurazione, la Germania, le cui nuove tendenza non si erano ancora sviluppate, se non sosteneva energicamente l’Austria, non sosteneva l’Italia.
    Noi non avevamo che le simpatie dell’Inghilterra, ma l’Inghilterra non avrebbe certamente fatta una guerra contro la Francia o contro l’Austria per l’unità italiana. Il Governo liberale inglese simpatizzava coll’Italia, ma al far dei conti la questione dipendeva da Napoleone, il quale, se basandosi sul trattato di Villafranca, non sosteneva con sincerità l’Austria, non voleva certamente l’unità italiana. Il vero scopo di Napoleone, tutto porta a credere, che sia stato quello di creare un Regno dell’Italia centrale con un principe della famiglia Bonaparte, con Firenze capitale. Io posso assicurarvi che in quel tempo in Palazzo vecchio, noi eravamo assediati, seccati, molestati da agenti francesi che insistevano dicendo, che la Toscana così non sarebbe mai sorta a nazione unita, che lo stesso Piemonte non ci avrebbe aiutato. Ed io sono costretto a dire, che in quell’intervallo, nel quale non fu al Governo il conte di Cavour, la Toscana fu pochissimo dal Governo piemontese sostenuta, e fu soltanto al ritorno del conte di Cavour al Governo, che le sorti avvenire della Toscana e dell’Italia cambiarono assolutamente d’aspetto.
    Fatto si è, come ho detto, che la soluzione finale della questione dipendeva da Parigi. La Toscana in una guerra avrebbe opposto la sua qualunque siasi forza ad una restaurazione o ad un principato straniero qualunque si fosse, e la Toscana certamente voleva dire Italia tutta. Ma chi dell’esito di una guerra potrebbe rispondere? Nostra fortuna, fu che mille ragioni aveva Napoleone per evitare i rischi di un’altra guerra; e tutto stava nel convincerlo che l’unico modo di evitarla e stabilire la pace in Europa era l’annessione della Toscana al Piemonte, ciò che significava certamente l’unità d’Italia.
    Ebbene tutto si è conseguito ed io non esito a dire che grandemente al cooperatore di Cavour, all’opera di Ubaldino Peruzzi, all’abilità diplomatica, che quell’uomo spiegò, si deve se Napoleone fu obbligato a riconoscere la necessità dell’annessione della Toscana al Piemonte, quindi la necessità dell’unità d’Italia.
    Ubaldino Peruzzi fu quindi uno dei principali sostenitore del nostro risorgimento, a lui dopo il Ricasoli, e il Cavour la formazione del Regno d’Italia, si deve (Approvazioni).
    ALFIERI. Domando la parola.
    PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare.
    ALFIERI. Confido che la benevolenza dei colleghi mi consentirà di cedere ad un vivissimo e profondo sentimento di patriota italiano, allorché sulla tomba del grande cittadino di Firenze, io, nato a Torino, domando di pronunziare una parola di affetto, di venerazione, di compianto. So che a degna commemorazione di lui non occorre nulla aggiungere alle acconcie e nobili parole del nostro Presidente, e dell’onorevole Busacca.
    Desidero tuttavia mandare dal profondo del cuore l’estremo saluto al collega esimio che rimpiangiamo. E mi sia lecito particolarmente rendere l’omaggio di un modesto ed oscuro discepolo all’insigne maestro della scuola, non dirò solamente liberale ma liberista. Egli ne professò la dottrina e concorse con singolare efficacia alle opere di essa scuola in ogni forma della scienza e dell’arte di Stato.
    Possano i suoi seguaci ed amici avere presenti ognora gli ammaestramenti e soprattutto gli esempi di Ubaldino Peruzzi, per tenere alta ed intemerata la loro bandiera come egli in sino all’ultimo fece. (Bene).

    Senato del Regno, Atti parlamentari. Discussioni, 25 novembre 1891.

Note:Collaborò a istituire la Biblioteca civile dell'Italiano.
Archivi:Le carte di Ubaldino Peruzzi sono conservate alla Biblioteca nazionale centrale di Firenze. È stato pubblicato l'inventario

Attività 1724_Peruzzi_IndiciAP.pdf