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PASTRO Luigi

  







   Indice dell'Attività Parlamentare   

   Fascicolo personale   


.:: Dati anagrafici ::.

Data di nascita:10/22/1822
Luogo di nascita:SELVA, frazione di VOLPAGO DEL MONTELLO (Treviso)
Data del decesso:22/01/1915
Luogo di decesso:VENEZIA
Padre:Domenico Pietro
Madre:CAVASIN Marianna
Nobile al momento della nomina:No
Nobile ereditarioNo
Coniuge:Celibe
Titoli di studio:Laurea in medicina
Presso:Università di Padova
Professione:Medico
Carriera:Medico condotto di Villorba [post 1847-ante 1850]
Maggiore medico del corpo sanitario militare ([post gennaio 1857]-1884)

.:: Nomina a senatore ::.

Nomina:01/26/1910
Categoria:20 Coloro che con servizi o meriti eminenti avranno illustrata la Patria
Relatore:Luigi Rossi
Convalida:26/02/1910
Giuramento:26/02/1910

.:: Onorificenze ::.

Cavaliere dell'Ordine dei SS. Maurizio e Lazzaro 1° giugno 1884
Commendatore dell'Ordine dei SS. Maurizio e Lazzaro 27 maggio 1909
Cavaliere dell'Ordine della Corona d'Italia

.:: Servizi bellici ::.

Periodo:1848-1849 prima guerra d'indipendenza
1866 III guerra d'indipendenza
Arma:Compagnia dei cacciatori del Sile
Volontario:SI


.:: Atti parlamentari - Commemorazione ::.

Atti Parlamentari - Commemorazione
    Giuseppe Manfredi, Presidente

    Onorevoli colleghi! [...]
    Spirato Luigi Pastro in Venezia il 22 gennaio, non è più quella figura, che unica testimoniava, quanto cruda fu la dominazione straniera in Italia e quale virtù di sacrificio nei figli d'Italia in servitù generavasi dall'amor di patria e di libertà. Nato in Volpago, nella Provincia di Treviso, il 22 ottobre 1822, fattivi i primi studi, mandato pe' filosofici a Treviso, per gli universitari di medicina a Padova, mantenendovisi a stento, senza il denaro per la laurea, si arruolò volontario ne' cacciatori del Sile al moto del 1848; fu alla difesa di Venezia nel 1849. Ricaduta Venezia con la Lombardia in soggezione, si dié a medicare nel paese natio; e, trovato il denaro, presa la laurea in Padova, andò a condotta medica in Villaorba nella stessa provincia trevisana. Formandosi in quel 1850 i comitati segreti mazziniani, composesi da lui, che ne fu presidente, quello di Treviso. Scoperto, fu degli accusati nel processo di Mantova; e, carcerato il 24 giugno 1851, tradotto a Venezia, l'anno dopo trasportato a Mantova, fu chiuso in una delle orride prigioni della Mainolda. Alle trame e costrizioni inquisitorie oppose dignità e fortezza invincibile; al pantano della Mainolda, alla fame, alle catene, alle minaccie della verga, resisté, anche infermo e languido, eroicamente. Irremovibile nel silenzio, non rivelò né confessò; salvò il capo e fu condannato a 18 anni di carcere duro dal Consiglio di guerra il 3 marzo 1853. Come il processo, sopportò stoicamente la pena: non domandò grazia; fu liberato dall'amnistia del gennaio 1857. Ristorato in salute, prese la via volontaria dell'esilio, ed in Piemonte entrò medico dell'esercito. Rimasto nel Corpo sanitario militare fino al 1884, campò della modesta pensione, fuor di vista, con il grado di maggiore. Non si occultò però al soccorso dell'umanità, e per la cura dei colerosi in Brusca, nel Veneto, meritò la medaglia d'oro dei benemeriti della salute pubblica. Arrendendosi agli amici, pubblicò nel 1906 i suoi Ricordi di prigione scritti nel 1860 in obbedienza al Comitato dell'emigrazione veneta in Torino e per il suo scopo. Su d'una copia regalata scrisse: "Sia indulgente chi leggerà queste modeste memorie,. ed abbia la virtù di apprendere a soffrire". Dalla dimenticanza, in cui viveva, il sollevò, con i sensi italici di casa Savoia, la Maestà di Re Vittorio Emanuele III, per decreto del 26 gennaio 1910, eleggendolo qual di coloro, che con servizi e meriti eminenti hanno illustrato la patria, senatore del Regno. L'Italia, si disse allora, onorando il condannato di Mantova, ha degnamente onorato la memoria de' martiri nostri, ed ha onorato se stessa. Oggi il Senato sulla tomba di Luigi Pastro rinnova l'onore a lui ed alle sante memorie. (Vive approvazioni). [...]
    DI BROGLIO. Domando di parlare.
    PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
    DI BROGLIO. La mesta notizia della morte del senatore Luigi Pastro fu sentita con largo rimpianto, poiché la scomparsa degli uomini che nelle fortunose vicende del risorgimento nazionale si segnalarono per singolare patriottismo, risveglia ognora sentimenti di sincera e profonda commozione.
    Luigi Pastro, il collega che circondavamo della nostra stima, del nostro affetto, era l'unico vivente che personificasse il ricordo storico di quei luminosi esempi d'amore di patria indomito e generoso che tanto onorarono il popolo italiano nei tempi più tristi della vita nazionale.
    Per l'infausta giornata di Novara, dovuta in gran parte alle intestine discordie, pareva, or sono 65 anni, che fosse tolta anche la speranza della liberazione dal dominio straniero, ma nelle provincie che vi erano soggette, la fede nei destini della patria si mantenne salda ed incrollabile, e vi si ingaggiò ben presto una lotta audace di temerarie cospirazioni. Poiché l'unico effetto del momento fu l'accrescersi crudele e tragico di nuove generose vittime nel martirologio italiano, poterono apparire illusioni fallaci, ma il sangue dei martiri votatisi in allora al sacrificio fu fecondo, e l'indipendenza nazionale fu pochi anni dopo il premio del martirio.
    Amante della patria sino all'entusiasmo, di animo modesto e semplice, il Pastro quando ebbe l'invito di istituire un Comitato rivoluzionario nella provincia natale, accolse l'incarico senza esitazione, intimamente persuaso di null’altro compiere se non il dovere di buon italiano; né lo trattennero i pericoli cui si esponeva, che erano enormi, poiché il dominatore straniero giudicava l'opera sua come un delitto capitale.
    Arrestato ben presto, sepolto vivo nelle carceri infamate della Mainolda in Mantova, il Pastro nei lunghi mesi dell'attesa di terribile condanna, fu oggetto volta a volta di blandizie insidiose e di minaccie brutali, di sofferenze crudeli e di torture di esecrata memoria. Volevano strappargli ad ogni costo i nomi dei complici, ma il Pastro sentiva il dovere sacro di non rivelarli, e con stoici rifiuti resisté ad ogni tentativo, del tutto indifferente se il suo silenzio tenace gli dovesse costare la vita.
    E quando, sorto il sole della libertà, egli discorreva dei patimenti sofferti, un solo merito si attribuiva, quello di aver saputo compiere il suo dovere.
    Il saluto reverente del Senato non allieterà soltanto lo spirito gentile del patriota, che fu forte ed inflessibile nell'ora del pericolo e del dolore, modesto e sereno nelle ore della buona fortuna, ma si inalzerà a nobile manifestazione di onore per quella altissima idealità del sentimento del dovere, che per gli individui come per i popoli è il più saldo fondamento d'ogni migliore virtù.
    Prego il Senato di far giungere alla città di Treviso, ed alla famiglia del generoso estinto l'espressione del nostro vivo rammarico. (Vive approvazioni - Applausi).
    SANTINI. Domando di parlare.
    PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
    SANTINI. Unico ufficiale medico, cui tocchi l'insigne onore di siedere in questa alta Assemblea, porto certezza di fedelmente interpretare dei corpi sanitari di terra e di mare, onde Luigi Pastro fu lustro, decoro, orgoglio, il pensiero e l'anima, nel dolorante ricordo, che, associandomi alle elevate parole del nostro illustre Presidente e dell'esimio collega Di Broglio, rivolgo all'eletto, glorioso suo spirito. Egli fu tale, che possa sdegnare inadeguata parola, così che, in dire di lui, me pervada il timore di parere, per avventura, soverchio audace, se la sua nomea è profondamente scolpita in ogni cuore, che di pura italianità pulsi. Così Luigi Pastro incarnava della patria le più nobili idealità, per le quali la indimenticabile memoria sua si aderge ammiranda nelle più sublimi e radiose sfere dell'Olimpo dell'italico risorgimento. Vera fibra adamantina, il Pastro fu accentuatamente sdegnoso, insofferente, spregiatore dei fiacchi e dei pusilli.
    E siffatto suo saldissimo sentimento genuinamente scolpiva in questo scritto, a me quale preziosissima reliquia caro e sacro: "II pensare che il carattere dell’Italiano sia fiacco e pavido mi fa male: sbugiardare i falsi Catoni è opera eminentemente onesta". Ed egli, il quale per la patria, che fu il suo santo, irresistibile amore, tanto e tanto nobilmente e tanto fieramente aveva ed operato e pianto, e sofferto e che dell'azione immane, per costituirla ad unità e libertà, conobbe le asperrime difficoltà, le formidabili opposizioni, i cruenti sacrifizi, sdegnosamente protesterebbe, se fosse tuttora fra noi, contro quanti, che, forse per nulla o poco conobbe e che pure osavano, malcauti, millantarsi di averlo noverato nelle proprie scarse, per quanto rumorose, file, le sorti di questa patria idolatrata vorrebbero rischiare su di una malfida carta da giuoco.
    L'anima sua buona, mite, dolce, qual quella di fanciulla, esplodeva in scatti di sdegno e erompeva in accento di ira, montava in furore contro coloro, che, a differenza di lui, il quale non si era arretrato né aveva piegato in cospetto del capestro minaccioso, pur maculati dal marchio infamante del delatore, ammantatisi di comodo settarismo repubblicano, osarono varcare, profanandolo, la soglia del consesso della nazione per farne uscire sdegnato il Finzi e con parole di fuoco bollava le tenebrose, utilitarie, antipatriottiche associazioni, vera antitesi dei nostri liberalissimi istituti ed ingiuria alla odierna civiltà.
    Egli, il cui intemerato pensiero liberale a niuno lice revocare in dubbio, non poteva non distinguersi nelle file coraggiose di quanti, non di sé, ma unicamente della patria pensosi e solleciti, vogliono che, ad afforzarne la compagine, tutte debbano convergere le energie morali, prima la fede in Dio, che egli sapeva genialmente disposare ai sublimi ideali di patriottico amore. Gli è, pertanto, che, non sia irreverenza la mia, se, vivissima e gradita esperimentandone tuttora la emozione, rammemori di volo il colloquio, nel natio veneto vernacolo, tra Pastro ed un augusto lagrimato personaggio, onde il Regno non fu de hoc mundo, colloquio entusiastico rievocatore, tra i martiri di Belfiore, di sacerdoti, quali il Tazzoli ed il Grazioli, che l'amore irresistibile della patria, eroicamente espiarono sul patibolo straniero. (Approvazioni).
    Quando noi, declinanti oramai nella valle degli anni, di fronte al volgere di decadenti tempi, e voglia il cielo ai tempi non si attaglino fatalmente gli uomini - affanna ed impaura il pericolo incombente, ne rincuori, ne sollevi, ne rinsaldi la fede che il radioso esempio di impavido patriottismo, cui, come a stella polare nello imperversare tempestoso dei terribili eventi, fissiamo fidente lo sguardo, non sperduto, né obliato, di Luigi Pastro, che il Senato onorasi registrare nel suo albo d'oro, sia sprone e lena alle giovani generazioni a bene oprare per le felicemente auspicate fortune di Italia nostra. (Approvazioni vivissime). PAPADOPOLI. Domando di parlare.
    PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
    PAPADOPOLI. Si consenta a me, che ebbi lunga consuetudine di affettuosa amicizia con Luigi Pastro, di seguire l'impulso del cuore associandomi alle nobili ed elevate parole con cui lo ricordarono il venerando nostro Presidente e gli illustri colleghi che mi precedettero.
    Quando, cinque anni fa, io ebbi l’onore di accompagnare in quest'Aula il neo-collega a prestare giuramento, vedendo tutti gli occhi rivolti a quel piccolo simpatico vecchio con espressione non di vana curiosità, ma di affettuosa reverenza e quasi di venerazione, udendo lo scoppio vivissimo di applausi che accolse il suo giuramento, chiesi a me stesso: perché mai tanta concordia di plauso nel paese e nel Parlamento accoglie la nomina a senatore di questo modesto ed umile medico condotto?
    Alla mia domanda avevano allora allora risposto almeno in parte le parole contenute nella relazione onde ne propose la convalidazione il nostro compianto collega Rossi, parole che esercitarono sul cuore di chi le ascoltava il fascino dei grandi fatti, l’azione commovente e vivificatrice dei grandi poemi. Quel vecchio modesto era la sintesi vivente delle sofferenze, delle speranze, degli ardimenti della patria non ancora redenta: nelle sue membra c'era ancora il solco delle catene che lo avvinsero, negli occhi fieri e vivi lampeggiava la forza invincibile dell'animo e nel cuor suo ardeva inconsunta, come prima e durante il martirio, la fiamma dell'amore di patria.
    Ho detto in parte, perché tanti e tanti soffrirono come lui e scrissero pagine altrettanto se non forse più gloriose, e pure non raccolsero eguale unanimità di simpatie.
    Ciò forse avvenne perché egli sopravvisse fino a quando, cessata l'eco delle passioni tumultuose e delle lotte ardenti, i nuovi venuti poterono meglio e più serenamente apprezzare l'opera dei precursori?
    Può essere anche questo, ma io ho la ferma ed assoluta convinzione che una sola fu la ragione della glorificazione del Pastro in vita: il suo carattere.
    Il carattere fermo e indomito che dalle lotte aperte del 1848 e 1849 per la redenzione della patria lo condusse, dopo l'avvento della reazione, alle cospirazioni rischiose e lo rese tetragono alle lusinghe ed alle intimidazioni degli inquisitori, quello stesso carattere lo mantenne sempre semplice e modesto, ligio al proprio dovere e insensibile alle lusinghe più pericolose della facile gloria e dell’interesse onde tanti furono sedotti e travolti. Egli sa di aver fatto il proprio dovere e non crede per questo di essere diventato un eroe.
    Ecco la semplice e serena concezione in cui, secondo me, sta il segreto della fama e della gloria di lui raggiunta in vita, e del compianto unanime, anzi dell'apoteosi, che seguì all'annunzio della sua morte. Non inattesa questa, ma pur intempestiva, perché a noi tutti pareva che non dovesse mai venir meno la presenza, monito ed incitamento alle nuove generazioni, di chi era la storia vivente di poco meno di un secolo, ossia di tutto il periodo del nostro risorgimento, dalle oscure preparazioni agli eroismi sfortunati; dall'epopea delle guerre alla lirica celebrazione del cinquantenario.
    E tutto un popolo, accompagnandone in trionfo la salma all'ultima dimora, gli decretò l'immortalità, collocandolo nell’Olimpo dei numi indigeti della patria, dove egli splenderà sempre luminoso esempio di carattere, che mentre è la più bella virtù degli individui, è anche la più utile, anzi necessaria al consorzio civile e alla patria, come quella che ad ogni meschina considerazione d'interesse e di ambizione personale antepone il compimento del proprio dovere ad ogni costo. (Approvazioni).
    CAVALLI. Domando di parlare.
    PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
    CAVALLI. Non aggiungerò parola a quello che hanno detto l’illustre nostro Presidente e gli altri colleghi in onore del compianto Luigi Pastro; ma a me corre un obbligo: ricordare al Senato un voto; un voto fervidamente mantenuto sempre dal Pastro, dal giorno che venne rinchiuso nelle carceri di Mantova fino all'estremo suo respiro. Perché l'estremo suo respiro era rallegrato da una speranza, da una grande illusione; che in questo grave e fatale momento si potesse compiere quel voto che aveva nell'animo, come aveva ai piedi le stimate delle catene che lo avvinsero nelle carceri di Mantova; quel voto che risponde all'augusto e profetico monito all'Italia: "Sei libera, sii grande". A questo voto era sempre rivolto il pensiero di Luigi Pastro, a cui ora sorrideva la speranza che l'Italia fosse, e sia per compiere il destino suo vaticinato da tanti martiri gloriosi.
    Voi, signori del Governo, che avete la responsabilità del potere, fate che i superstiti del nostro risorgimento (e cito ad esempio solo l'illustre e caro nostro Presidente e l'amico Carcano) non abbiano a dire, ricordando il Pastro: Beati i morti! E nel nome di Luigi Pastro oso innalzare un altro reverente augurio: che la storia abbia ad unire al nome di S.M. il Re Vittorio Emanuele III il detto: che fu degno del suo grand'avo. (Approvazioni). [...]
    PRESIDENTE. Terrò il dovuto conto delle proposte fatte dagli onorevoli senatori.
    CARCANO, ministro del tesoro. Domando di parlare.
    PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
    CARCANO, ministro del tesoro. A nome del Governo mi associo, con l'animo commosso, ai nobilissimi discorsi e alle proposte fatte per onorare la memoria degli uomini eminenti, la perdita dei quali è grave lutto per il Senato e per il paese.
    Nessuna mia parola potrebbe aggiungere valore a quelle che con tanta dignità ed eloquenza furono pronunziate dall’illustre Presidente di quest’alto consesso e dagli altri oratori. Voglia tuttavia il Senato consentire a me di aggiungere, anche personalmente, un saluto riverente e affettuoso alla cara memoria dei senatori estinti, e specialmente di quelli ch’io ebbi la fortuna di conoscere più intimamente.
    Il marchese Trotti dimorava spesso nella prediletta sua villa di Bellagio, e di lui ebbi frequenti occasioni di ammirare il senno e l'alto sentire, e di saperne la vita gloriosa e modesta, tutta dedicata alla patria e alla famiglia.
    Ludovico Trotti e Luigi Pastro appartengono a quella eletta schiera di valorosi patrioti della vigilia, parecchi dei quali ancora, per nostra fortuna, ingemmano il Senato: essi sono fra coloro che ben possono chiamarsi i primi educatori del popolo italiano alle virtù civiche, alle prove eroiche, al grande amore della patria. [...]
    Sì, ben giustamente il Senato commemora e onora le gesta di uomini così valorosi e benemeriti, che anche in quest'ora, c'insegnano come qualunque sacrificio sia lieve per chi senta fortemente l'amore alla patria, e come sia bello dare tutto sé stesso per la grandezza della nostra Italia. (Bene - Vive approvazioni).

    Senato del Regno, Atti parlamentari. Discussioni, 10 marzo 1915.

Note:[Meriti patriottici]: Nel 1851, dopo aver costituito un comitato rivoluzionario a Treviso, fu arrestato al carcere duro a Venezia (1851-1853), poi di Mantova (processo ai martiri di Belfiore), poi a Theresienstaadt (maggio 1853), poi a Josephstaadt (fino all'amnistia del dicembre 1856/gennaio 1857).
Partecipò ai moti del 1848.

Archivi:A Selva del Montello è conservato l'archivio del senatore, presso il villino da lui stesso costruito

Attività 1680_Pastro_IndiciAP.pdf