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.:: Dati anagrafici ::. |
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Data di nascita: | 03/08/1842 |
Luogo di nascita: | LAVENO (Como) - oggi LAVENO MOMBELLO (Varese) |
Data del decesso: | 06/01/1919 |
Luogo di decesso: | ROMA |
Padre: | Paolo |
Madre: | FIORA Clementina |
Nobile al momento della nomina: | No |
Nobile ereditario | No |
Titoli nobiliari | Conte, titolo concesso nel 1910 |
Coniuge: | ANGIOLINI Adele |
Coniuge: | CAVAGNARI Maria Giovanna |
Figli: | Bice coniugata BRUSATI
Clementina coniugata GALLIAN |
Fratelli: | Ulisse |
Titoli di studio: | Scuola militare |
Scuole militari: | Scuola Superiore di guerra |
Professione: | Militare di carriera (Esercito) |
Carriera giovanile / cariche minori: | Cacciatore (Cacciatori delle Alpi) (29 marzo 1859), Caporale (Cacciatori delle Alpi) (16 maggio 1859), Furiere (Cacciatori delle Alpi) (1° giugno 1859), Furiere maggiore (Cacciatori delle Alpi) (16 luglio 1859) |
Carriera: | Capitano (Esercito dell'Italia meridionale) (1° ottobre 1860), poi (Corpo dei volontari italiani) (21 luglio 1861), poi (Esercito italiano) (16 aprile 1862)
Maggiore (9 novembre 1872)
Tenente colonnello (15 luglio 1877)
Colonnello (14 luglio 1881)
Maggiore generale (14 aprile 1889)
Tenente generale (3 febbraio 1895-5 agosto 1917. Data del collocamento a riposo) |
Cariche e titoli: | Comandante in seconda della Scuola di guerra (7 dicembre 1882)
Comandante della Scuola di guerra (26 maggio 1892)
Comandante in seconda del corpo di Stato maggiore (16 settembre 1896) [sottocapo del regio esercito]
Membro del Consiglio dell'Ordine militare di Savoia (7 novembre 1893) (6 novembre 1897-20 dicembre 1900)
Presidente della Commissione per il riconoscimento della campagna dell'Agro romano (28 settembre 1911)
Socio della Società geografica italiana (1880)
Membro del Comitato nazionale per la storia del risorgimento
Presidente della Società nazionale della storia del risorgimento italiano |
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.:: Nomina a senatore ::. |
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Nomina: | 11/08/1903 |
Categoria: | 05 | I Ministri segretari di Stato |
Relatore: | Antonino Di Prampero |
Convalida: | 02/12/1903
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Giuramento: | 03/12/1903 |
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.:: Onorificenze ::. |
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Cavaliere dell'Ordine militare di Savoia 12 giugno 1861
Cavaliere dell'Ordine della Corona d'Italia 19 marzo 1874
Ufficiale dell'Ordine della Corona d'Italia 30 dicembre 1882
Commendatore dell'Ordine della Corona d'Italia 22 dicembre 1889
Grande ufficiale dell'Ordine della Corona d'Italia 28 dicembre 1893
Gran cordone dell'Ordine della Corona d'Italia 31 maggio 1901
Cavaliere dell'Ordine dei SS. Maurizio e Lazzaro 27 gennaio 1878
Ufficiale dell'Ordine dei SS. Maurizio e Lazzaro 31 maggio 1890
Commendatore dell'Ordine dei SS. Maurizio e Lazzaro 20 gennaio 1898
Grande ufficiale dell'Ordine dei SS. Maurizio e Lazzaro 19 gennaio 1902
Gran cordone dell'Ordine dei SS. Maurizio e Lazzaro 8 dicembre 1904 |
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.:: Servizi bellici ::. |
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Periodo: | 1859 seconda guerra d'indipendenza
1860-1861 campagna d'Ancona e Bassa Italia
1866 terza guerra d'indipendenza | |
Arma: | Esercito, Cacciatori delle Alpi, Fanteria, Corpo di Stato maggiore |
Volontario: | SI |
Decorazioni: | Medaglia commemorativa per la campagna d'Italia 1859 (Francia), medaglia a ricordo delle guerre combattute per l'Indipendenza e l'Unità d'Italia, medaglia col motto "Unità d'Italia 1848-1870", medaglia di bronzo al valor militare, medaglia d'oro al valor militare di Obilich (Montenegro), croce d'oro per anzianità di servizio, medaglia mauriziana al merito militare di dieci lustri | |
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.:: Senato del Regno ::. |
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Commissioni: | Membro della Commissione di finanze (10 giugno 1910-6 gennaio 1919) |
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.:: Governo ::. |
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Governo: | Ministro della guerra (3 novembre 1903-27 marzo 1905) (28 marzo-22 dicembre 1905) |
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.:: Atti parlamentari - Commemorazione ::. |
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Atti Parlamentari - Commemorazione
Adeodato Bonasi, Presidente
Onorevoli colleghi. È fatale che ogni ripresa delle nostre adunanze abbia ad essere funestata dall'annunzio della perdita di qualcuno dei nostri cari colleghi. Questa volta la sorte inesorabile è stata ancor più crudele, avendoci rapito nel giro di poche settimane sei benemeriti senatori, che tutti, a titoli diversi, altamente onoravano la nostra Assemblea. [...]
Altro amarissimo lutto per il Senato è la perdita del valoroso e tanto benemerito generale Ettore Pedotti.
Riavutosi appena da grave, lunga malattia, che lo aveva colpito in Genova, e ancora dolorante per la recente frattura di un braccio, più curante, come sempre, del proprio dovere che di se stesso, volle far ritorno in Roma per presiedere la Commissione di finanze, convocata per esaminare il disegno di legge per la proroga dell'esercizio provvisorio, e assumersene la relazione. Ultimo documento della indomita sua energia, che resta ad attestare il grande amore e l'incomparabile zelo che l'eminente nostro collega poneva anche nell'adempimento dell'alta funzione conferitagli dalla fiducia del Senato.
Erano trascorsi solo venti giorni dall'approvazione di quella legge, che un violento attacco cardiaco repentinamente lo spegneva sull'alba del sei gennaio ultimo.
Ma se dolorosamente è sparito l'insigne venerato collega, vivo e indelebile ne rimarrà il ricordo a conforto nostro e ad esempio delle crescenti generazioni.
Nato in Laveno di Como nel 1842 il Pedotti, nel marzo del 1859, ancora adolescente, disertò dai banchi della scuola per rispondere all'appello di Garibaldi per la riscossa nazionale contro il dominio austriaco, correndo ad arruolarsi volontario nel primo reggimento del corpo dei Cacciatori delle Alpi, comandato dal Cosenz; e per il suo fiero e risoluto contegno il baldo garzoncello fu tosto promosso caporale e pochi giorni dopo sergente. In tale grado il 16 giugno, nel combattimento dei Tre Ponti, alla testa del suo pelotone [sic] si distinse tanto per ardire e fermezza nel resistere al nemico superiore di forze che si meritò la medaglia al valore, ed i galloni d'argento di furiere maggiore.
Troncate inopinatamente dalla pace di Villafranca le speranze dell'immediata liberazione anche del Trentino e della regione Veneta, e sciolto il corpo dei volontari, il Pedotti, alla notizia della insurrezione di Sicilia e della leggendaria spedizione dei Mille, corse di nuovo a raggiungere la gloriosa schiera, e arruolatosi nel primo battaglione dei Bersaglieri Lombardi, sempre al comando del Cosenz, nella battaglia di Milazzo si segnalò in guisa che fu promosso Tenente sul campo.
Proseguendo nella marcia vittoriosa fino al Volturno, nella decisiva battaglia consacrata nella storia sotto questo nome, il Pedotti, ferito non lievemente, continuò a combattere dando prova di tanta intelligenza e di così strenuo valore che, sebbene appena diciottenne, fu dal Garibaldi promosso capitano sul terreno e decorato della croce di cavaliere dell'Ordine militare di Savoia.
La meritata fortuna decise in quel giorno dei destini avvenire del prode soldato avvincendolo definitivamente alla carriera militare, nella quale doveva poi toccare e tenere con singolare onore i supremi gradi della gerarchia.
Chiusa quella gloriosa campagna che, fondendo, sotto lo scettro del Gran Re Vittorio Emanuele II, in un solo Regno tanta parte d'Italia, gettava le basi della completa unità nazionale, si iniziava un nuovo periodo di raccoglimento e preparazione in attesa di eventi propizi a riprendere le azioni guerresche per compiere la magnanima impresa.
Di questa sosta il Pedotti, che aveva l'ingegno vigoroso quanto forte e ardimentoso l'animo, profittava non per abbandonarsi agli svaghi ed ai molli ozi della pace, ma per applicarsi intensamente allo studio della storia e della scienza e dell'arte militare con quello stesso ardore che tanto gli fece onore sul campo di battaglia, in modo da divenire uno dei più colti, dotti e stimati ufficiali dell'esercito.
In omaggio a tale coscienziosa preparazione il Pedotti nel 1873 dall'arma di fanteria fu trasferito nel Corpo di Stato maggiore e, istituitasi la Scuola superiore di guerra, venne destinato ad impartirvi un insegnamento, che per la perspicuità e altezza con cui era dato ne rese popolare il nome tra gli ufficiali di tutto l'esercito, che perciò salutarono la successiva di lui elevazione a comandante della scuola stessa come di buon augurio per l'avvenire delle nostre armi, nelle quali ogni speranza era riposta per la totale redenzione delle italiche terre.
Assunto più tardi al comando di una divisione e quindi a comandante in seconda del Corpo di Stato maggiore, raggiunse finalmente nel 1900 il grado supremo di comandante di un corpo d'Armata, dimostrandosi in pace come in guerra sempre superiore a tutte le cariche affidategli, per quanto eminenti.
Nominato ministro della guerra e senatore nel novembre del 1903, quantunque per la sua indole austera e recisa fosse alieno dalla politica parlamentare, non tardò a prendere anche nella nostra Assemblea una incontestata autorità, e la parte da lui avuta in molte discussioni di interesse generale specialmente militare e le importanti commissioni, di cui dal Senato fu nominato membro, ne fanno irrefragabile testimonianza.
A numerosi altri elevati incarichi non poté il Pedotti sottrarsi o per ragione di connessione di uffici o perché designatovi dalla indiscussa sua competenza e dalla vasta e varia sua cultura. Per accennare solo ad alcuni fra i principali, menzionerò che fu membro del Consiglio dell'Ordine militare di Savoia; della Commissione per l'esame delle proposte di ricompense al valore militare; presidente del Comitato centrale dei veterani e della Commissione permanente per la esecuzione della legge relativa ai medesimi; membro del Comitato nazionale per la storia del risorgimento; presidente della Società nazionale della storia del risorgimento italiano.
È superfluo accennare che il Pedotti fu insignito delle più alte onorificenze nazionali e di molte estere e decorato della grande medaglia d'oro mauriziana per i cinquant'anni di servizio militare.
Ma a mettere in maggiore e più vivida luce le alte benemerenze dell'insigne compianto nostro collega, che tutta la lunga sua vita consacrò alla patria, la quale fu il grande amore che animò ogni sua azione, non saprei chiudere meglio questi rapidi cenni che riproducendo la lettera che S.M. il prode amatissimo nostro Re gli diresse il giorno in cui il Pedotti, raggiunti gli inesorabili limiti di età, doveva fatalmente lasciare l'esercito; splendido documento che onora ugualmente Chi lo scrisse e chi ne fu l'oggetto.
"Caro generale", così gli scriveva il Re, in data del 18 marzo 1910, "Ella lascia oggi il servizio attivo permanente, al quale dedicò con amore costante 51 anni di vita.
Con lei l'esercito perde l'ultimo rimasto tra i veterani della fortunata campagna dei 1859, perde il suo decano, che personificava quelle alte idealità patriottiche le quali contribuirono a darci l'Italia unita.
I compagni d'arme ricordano in lei il giovinetto che, emulo dei quattro fratelli soldati del patrio risorgimento, si arruolava, non ancora diciassettenne, nel Corpo dei cacciatori delle Alpi, guadagnando il 16 giugno 1859, a Tre Ponti, la ricompensa dei valorosi, e che a 18 anni, capitano nel 1° battaglione dei Bersaglieri Lombardi, meritava il 1° ottobre 1860, al Volturno, la croce di cavaliere dell'Ordine militare di Savoia.
Nei molteplici e svariati incarichi a lei affidati, durante la brillante sua carriera come ufficiale di Stato maggiore, come comandante di truppe, come ministro della guerra, Ella ebbe sempre a distinguersi per zelo e per intelligenza, meritandosi quella estimazione e quell'affetto di cui lascia larga traccia tra colleghi e inferiori.
Mentre le esprimo la mia gratitudine per i buoni e lunghi servigi prestati, mi conforta la fiducia che Ella possa, per lunghi anni ancora, recare al paese prezioso contributo di esperienza e di operosità.
In testimonianza della mia particolare benevolenza le conferisco il titolo di conte.
Aff.mo suo.
Vittorio Emanuele".
Rendiamo dunque giusto tributo di onore e di riconoscenza alla memoria del valoroso che tanto operò per la redenzione e la grandezza d'Italia. (Benissimo). [...]
VIGANÒ. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
VIGANÒ. Del generale Pedotti ha fatto poco fa assai degna commemorazione il nostro egregio Presidente, il quale sa trovare la parola in cui tutti i nostri cuori si raccolgono quante volte la sventura passa fra noi.
Permettete ora a me di aggiungere poche parole, solo per ricordarvi le elette qualità dell’animo del compianto collega, per delinearvi l’uomo, che era tutto fatto di bontà, di rettitudine e di specchiata bontà.
Fui suo compaesano, amico sino dalla infanzia, compagno d’armi e di lavoro per tanti e tanti anni; e non sono immemore del molto bene morale, che a me venne dalla sua fraterna amicizia durata tutta la vita.
Quante care memorie ho io di lui! Come mi sta ancora fisso nel cuore il ricordo delle prime nostre idealità patriottiche! Quando giovanetti, dalla sponda orientale del Lago Maggiore, ov’era la nostra terra, ancora soggetta alla dominazione straniera, prima del ’59, si tendeva lo sguardo ansioso all’altra sponda ove arrivava il Piemonte, ara sacra della patria in quel tempo. Era nostra guida di quelle prime aspirazioni alla redenzione della patria Ulisse Pedotti, il fratello maggiore di anni del compianto amico, un fervente mazziniano, ammirato da noi perché aveva combattuto nel ’48 e nel ’49, era stato, per la rivolta del ’53 di Milano, processato e condannato a Mantova; ed era da poco uscito dal carcere; e fu poi, nella guerra del ’59, valoroso ufficiale dei Cacciatori delle Alpi, e l’anno dopo fu della schiera dei Mille, e morì a Calatafimi, colpito da una palla nemica che gli spezzo il cuore.
Come ricordo gli incontri che ebbi col nostro compianto collega a Varese, subito dopo la battaglia, e l’anno dopo, a S. Maria di Capua, al 1° ottobre, quando io era ferito ed egli venne a me per abbracciarmi e confortarmi!
In seguito fummo condiscepoli alle scuole superiori di guerra; e poi per anni ed anni compagni di ufficio allo Stato maggiore, dati a lavori strategici sotto la guida del generale Cosenz, il nostro duce nelle prime nostre campagne di guerra. Si andò avanti nella comunanza del lavoro, finché, improvvisati uomini politici, ci succedemmo nel Ministero della guerra; e quelli non furono gli anni più lieti di nostra vita: quante volte ce lo siamo detto.
Ma non a me solo Ettore Pedotti fu fonte di molto bene morale. Quanti e quanti altri hanno avuto da lui buoni insegnamenti: hanno appreso dal suo esempio e dalla sua parola, la religione del dovere, il culto della patria e del libero pensiero, l’obbligo di mantenere sempre specchiata lealtà, l’abito della cortesia e dell’amorevolezza verso di tutti. E meritato premio ebbe il compianto nostro collega di queste sue virtù: quello di non avere mai avuto un nemico in tutta la sua vita.
Onorevoli colleghi, consentite di unirvi a me per pregare il nostro Presidente a mandare al Comune di Laveno, ove nacque il Pedotti, la espressione di rammarico del Senato per la grave perdita che abbiamo avuto. So che alla casa in quel borgo ove ha sede il comune c’è una lapide dove si dice che Laveno è orgogliosa per aver dato i natali ad Ulisse Pedotti, il valoroso patriota, fratello del compianto nostro collega, del quale vi ho parlato. Là su quella terra si mantiene dunque viva la memoria de’ suoi figli egregi. (Approvazioni).
PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il senatore Pullè.
PULLÈ. Conceda il Senato che alla mobilissima commemorazione del generale Pedotti fatta dall’illustre Presidente nostro ed alle lodi, io soggiunga una parola in nome del paese natale del compianto collega, di Laveno; e come pertinente a quel comune e come custode delle memorie patrie che illustrano quell’angolo di terra, madre di valorosi.
Delle benemerenze militari e civili del Pedotti, generale e senatore, molti sono qui dentro giudici autorevoli che per più anni ne seguirono, ammirando, l’attività; e che gli conciliarono l’alta considerazione di cui godettero la sua parola ed il suo consiglio. Benemerenze così incisivamente scolpite con la competenza e col caldo affetto del collega generale Vigano.
Ricorderò solo come a Laveno la famiglia Pedotti da umili origini seppe elevarsi a luminosa fama.
Stanno sì sulle pareti del palazzo Comunale di Laveno, allo specchio di quel golfo che vide l’animosa gesta dei Cacciatori delle Alpi, scolpite la immagine e il nome dell’altro fratello garibaldino della leggendaria schiera dei Mille, caduto combattendo a Calatafimi: di Ulisse Pedotti. Vi prenderanno posto ora nome e figura di Ettore Pedotti, a chiudere in una corona fulgente l’arduo principio e la vittoriosa fine della secolare lotta per la rivendicazione della patria italiana.
Mi associo pertanto alla proposta per l’invio di un telegramma di condoglianza al sindaco di Laveno. (Benissimo).
CAVIGLIA, ministro della guerra. Domando di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
CAVIGLIA, ministro della guerra. Mi consenta il Senato di aggiungere qualche parola a quelle che sono state dette dall’illustre Presidente, dal senatore tenente generale Viganò e dal senatore Pullè.
Le benemerenze del senatore tenente generale Ettore Pedotti, le cariche da lui occupate, sono state messe giustamente in chiara luce e l’esercito si associa a nome mio al cordoglio della patria e del Senato e alla simpatia che qui è dimostrata per lui.
Mi sia pur consentito delle benemerenze del compianto senatore Pedotti di metterne in evidenza una, ed il momento sembra opportuno, alla quale ha già accennato il senatore Viganò, cioè che egli ha contribuito in larga misura a foggiare quel tipo dell’ufficiale italiano ossequente al dovere e alla ferma disciplina, e che sa conciliare i più alti ed elevati ideali col culto dei doveri verso le leggi militari e civili. Di questa benemerenza io che fui suo allievo, gli sono vivamente riconoscente ora come ministro della guerra, perché ne sento in questo momento tutto il valore. (Approvazioni).
Senato del Regno, Atti parlamentari. Discussioni, 1° marzo 1919.
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