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.:: Dati anagrafici ::. |
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Data di nascita: | 05/14/1828 |
Luogo di nascita: | TORINO |
Data del decesso: | 15/09/1908 |
Luogo di decesso: | SARTEANO (Siena) |
Padre: | Francesco |
Madre: | POMBA Felicita |
Nobile al momento della nomina: | No |
Nobile ereditario | No |
Coniuge: | MARIETTI Emilia |
Figli: | Luigi Flaminio |
Parenti: | POMBA Giuseppe, avo materno |
Luogo di residenza: | |
Indirizzo: | Via Ferruccio, 7 |
Titoli di studio: | Laurea in giurisprudenza |
Presso: | Università di Torino |
Professione: | Docente universitario |
Altre professioni: | Magistrato |
Carriera giovanile / cariche minori: | Professore supplente di Filosofia del diritto all'Università di Torino (1857-1860), Professore incaricato di Diritto penale all'Università di Torino (1860), Professore straordinario di Diritto penale all'Università di Torino (1861-1862) |
Carriera: | Professore ordinario di Diritto e procedura penale all'Università di Torino (1862-1876)
Preside della Facoltà di giurisprudenza all'Università di Torino (1873)
Professore emerito dell'Università di Torino
Consigliere della Corte di cassazione di Roma (30 gennaio 1876)
Presidente della Corte di cassazione di Roma (3 luglio 1892)
Primo presidente della Corte di cassazione di Firenze (2 agosto 1902-15 maggio 1903) |
Cariche e titoli: | Presidente del Consiglio dell'Ordine dei SS. Maurizio e Lazzaro
Membro del Consiglio del contenzioso diplomatico (1877)
Membro della Consulta araldica
Membro della Commissione della statistica giudiziaria civile e penale
Membro della Commissione della statistica giudiziaria e notarile
Membro del Consiglio d'amministrazione della Cassa depositi e prestiti
Membro del Consiglio delle carceri
Membro della Direzione generale del Fondo per il culto
Socio corrispondente dell'Accademia delle scienze di Torino (giugno 1873)
Socio corrispondente dell'Accademia dei Lincei di Roma (4 febbraio 1890) |
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.:: Nomina a senatore ::. |
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Nomina: | 06/12/1881 |
Categoria: | 18 | I membri della Regia accademia delle scienze
dopo sette anni di nomina |
Relatore: | Gennaro De Filippo |
Convalida: | 30/06/1881 |
Giuramento: | 30/06/1881 |
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.:: Onorificenze ::. |
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Ufficiale dell'Ordine della Corona d'Italia 5 ottobre 1877
Commendatore dell'Ordine della Corona d'Italia 20 dicembre 1877
Grande ufficiale dell'Ordine della Corona d'Italia 13 dicembre 1885
Gran cordone dell'Ordine della Corona d'Italia 25 giugno 1893
Cavaliere dell'Ordine dei SS. Maurizio e Lazzaro 5 luglio 1865
Ufficiale dell'Ordine dei SS. Maurizio e Lazzaro 19 giugno 1882
Commendatore dell'Ordine dei SS. Maurizio e Lazzaro 10 gennaio 1890
Grande ufficiale dell'Ordine dei SS. Maurizio e Lazzaro 10 ottobre 1902
Gran cordone dell'Ordine dei SS. Maurizio e Lazzaro 14 maggio 1903
Cavaliere dell'Ordine civile di Savoia
Commendatore dell'Ordine di Carlo III (Spagna)
Grande ufficiale dell'Ordine di S. Stanislao (Russia) |
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.:: Senato del Regno ::. |
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Cariche: | Segretario (23 novembre 1882-27 aprile 1886); Vicepresidente (1° aprile 1897-15 luglio 1898) (14 febbraio 1902-18 ottobre 1904); Presidente (27 novembre 1904-20 marzo 1908. Dimissionario) |
Commissioni: | Membro ordinario della Commissione d'accusa dell'Alta Corte di giustizia (26 gennaio 1901-6 febbraio 1902) |
| Commissario di vigilanza all'Amministrazione del Fondo per il culto (16 maggio 1896) (19 dicembre 1896) (17 dicembre 1898) (16 dicembre 1899) (20 dicembre 1900) (28 dicembre 1901-6 febbraio 1902) |
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.:: Atti parlamentari - Commemorazione ::. |
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Atti Parlamentari - Commemorazione
Giuseppe Manfredi, Presidente
Signori senatori! Meste parole debbo rivolgervi innanzi che imprendiamo le nostre discussioni.
Quanti eravamo nel luglio tutti più non siamo. Non è più quegli che qui sedeva prima ch'io vi salissi.
Nella tornata del 5 luglio, ultima delle estive, fra le cortesi dimostrazioni vostre, che resero me grato, il pensiero fu rivolto al mio venerato antecessore con l'attestato del più devoto ricordo, con il più affettuoso saluto; e rammento, che il Governo aderì per la voce dell'onorevole presidente del Consiglio memorante, che di Tancredi Canonico era stato allievo sui banchi dell'università. I voti nostri seguirono la preziosa esistenza; sperammo nei giorni promettenti il ricuperarsi della salute; paventammo negli incerti; trepidammo nei dolenti; piangemmo nei lugubri. Era decreto, che l'ultimo suo giorno Tancredi Canonico vedesse nel 15 di settembre e spirasse là in quel suo prediletto soggiorno di Sarteano, ove soleva ricrearsi. Non è più; ma non ne si toglie dinnanzi il sembiante dolce, sereno, onesto; ci torna all'udito la sua parola sapiente e modesta, con i modi affabili, piacevoli, sovente faceti; ne rimane l'animo candido, la coscienza pura, il cuore affettuoso, la tempra tollerante, indulgente; il carattere leale, aperto, integro e dignitoso; negli atti privati e pubblici della vita intemerata; ne rimangono i dettati della mente dotta, dello spirito colto ed erudito, dell'ardente amor di patria, negli scritti, che gli aprirono le porte delle accademie e guadagnarono al suo petto la medaglia del merito civile di Savoia.
Insegnante prima che magistrato in quell'ateneo di Torino, in cui acquistato aveva i primi onori del nome fra i condiscepoli, della laurea, del vinto in concorso dottorato aggregato, compose in pregiati volumi la sua materia del diritto penale e della penale procedura; seguendo la scuola classica, che difese, confutando la positiva, specialmente nella sua prolusione del 1875: Il diritto e la libertà del volere, e di soggetti relativi al punitivo diritto pubblicò opuscoli varii.
L'elevatezza, l'ampiezza de' concetti, la forza e la indipendenza del disserire e dell'opinare, portò dalla cattedra alla funzione giudiziaria, nella quale in breve acquistò il senso pratico ed apprese la via del concreto; onde con reputazione sedé fra i consiglieri di cassazione in Torino, poi presidente di sezione in quella di Roma, finché salì luminosamente a capo di quella di Firenze.
Uomo di tanto valore e di sì alta dignità, venne a sedere fra noi con sommo favore accolto. Il posto sappiamo come tenne; ascoltato nelle discussioni, preferito nelle commissioni; scelto al segretariato, fino a meritare d'esserci Presidente amatissimo ed ossequiatissimo.
Fu religioso, devoto all'altare: ma diede il suo alla chiesa, il suo alla patria, il suo allo stato. Il credente non fu pregiudizievole al magistrato, non al legislatore. Vagheggiava la conciliazione della chiesa e dello Stato; ne trattò in opuscoli: ma la perfezione voleva soccorsa, non il despotismo spirituale.
Diritto e dovere emanare da Dio, aveva sostenuto nella tesi di filosofia del diritto, concorrendo a dottore aggregato all'Università di Torino. Familiare alle sacre carte, traduttore del celebre libretto: Della imitazione di Cristo; durante il suo insegnamento universitario si era dato con fervore al cristianesimo apostolico del polacco Andrea Towianski, sul quale tenne una conferenza e pubblicò un volume. Era la dottrina del cristianesimo vivente, evoluto, applicato a tutta la vita; che insegnava la continuazione della tradizione apostolica; far convergere tutti gli sforzi a risvegliare nell'uomo la coscienza cristiana e diffonderla per tutti i modi della vita pubblica e privata. Ma iniziatosi al sacerdozio della giustizia nulla apparve più del proselito nell'uomo prudente e saggio.
Però non depose il fervore per gli argomenti umanitarii o di sociale momento: e trattò del vincolo coniugale, della protezione della giovane, del duello, del servizio militare, dell'adozione sociale della donna. Prese a cuore l'opera pia nazionale per l'assistenza de' figli derelitti dei condannati, i riformatorii dei minorenni, la riforma penitenziaria; ed appassionato dello studio dei sistemi carcerari, fece nel 1884 un viaggio nel Belgio, in Isvezia e Norvegia, e nella Russia; del quale diede conto al pubblico nel libro: Une course à travers quelques prison d'Europe. Fu uno degli inviati dal Governo al Congresso internazionale di legislazione criminale di Stoccolma nel 1873; delegato a quelli internazionali di Pietroburgo e Parigi; presidente nel 1896 del Tribunale delle prede.
Fratellanza di popoli, nelle pari sventure, gli fece da antico amare la Polonia, della quale scrisse considerandola nel suo popolo e nei suoi poeti. Portato fu alle anime dolci e gentili quale la sua, alle menti, a cui somiglianza era la sua formata; commemorò Silvio Pellico ed Angelo Messedaglia; scrisse di Antonio Rosmini; pubblicò della marchesa di Barolo la vita intima ed i sonetti inediti.
Aveva pur ancor vena ed abito di verseggiare e nel 1890 pubblicò i suoi: Ricordi poetici dedicati alla famiglia ed agli amici. Mirabile varietà di attenzione del pensiero in uno a somma diligenza negli uffici! De' quali, fuori di qui e di palazzo di giustizia, altri adempiva al Contenzioso diplomatico, alla Consulta araldica, all'amministrazione dell'Ordine mauriziano. Ma delicato e modesto, rifiutò, quando non si sentì le forze: non mi sento attitudine, scrisse nella lettera al Vassallo del Secolo XIX l'agosto 1897, né forze fisiche sufficienti per il posto di guardasigilli; mi spezzerei inutilmente.
Nella conferenza del 1907 all'Associazione della stampa per il giubileo dello Statuto: Il 1848 dopo cinquant'anni; acceso dei ricordi giovanili e dei fasti del risorgimento, posò lo sguardo sull'età presente; e vedendo minaccioso il sopravvenuto moto economico, i giovani d'oggi animò alla virtù di dominarlo ed alla fede nell'avvenire. Egualmente che nella commemorazione di Silvio Pellico in Campidoglio nel 1904; come nel prendere questo seggio il 3 dicembre di quel medesimo anno; come nell'articolo della Rassegna nazionale del 1905: Il cinquantenario della spedizione di Crimea, invocò la restaurazione morale della nazione, la costituzione morale dell'Italia con quei mezzi medesimi, con i quali fu costituita l'Italia politica; l'amore, l'abnegazione, il sacrificio. (Benissimo).
Anima eletta di Tancredi Canonico, al cospetto di quel Dio, il cui braccio, tu dicesti, ci aiutò a costituire il corpo della nazione, impetra tu agl'italiani le virtù da te augurate per costituirne lo spirito ed elevarla. Noi frattanto non temeremo i preveduti da te periodi difficili e forse angosciosi, se tutti gli amici dell'ordine ed i propugnatori del diritto, saranno con noi imperterriti nel tenere per il Re e dar mano al suo Governo. (Approvazioni).
Un ultimo amplesso all'anima benedetta. Il Senato, ne sono certo vorrà che io ripeta le condoglianze ai figli desolati dell'amato estinto, e le rivolga alla sua nativa Torino. Il Consiglio della Presidenza vi propone inoltre la deliberazione di un busto ad onore del fu Presidente Canonico e la sospensione di questa seduta in segno del nostro lutto. (Approvazioni). [...]
CARLE. Domando la parola.
PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare.
CARLE. Consenta il Senato che alla parola autorevole e grave del nostro illustre Presidente commemorante degnamente l'insigne magistrato che lo precedeva nell'eminente ufficio, io aggiunga la parola modestissima di chi intende mandare il suo saluto reverente ad un amatissimo maestro.
Malfermo io stesso di salute allorquando mancava Tancredi Canonico, non ho potuto accompagnarlo ai funerali, e sento ora tanto più vivo il bisogno ed il desiderio di indirizzare una parola alla memoria di lui, anche a nome dell'ateneo torinese, in cui cominciò la splendida carriera, e a nome del collega Brusa, suo successore nella cattedra, che non poté essere presente.
I miei ricordi per il compianto Canonico rimontano ad epoca lontana, in cui al senatore Canonico, si potevano applicare i versi del poeta: Biondo era e bello e di gentile aspetto.
Fu laureato in leggi a soli 19 anni dopo cinque anni di università, secondo gli ordini allora vigenti nell'antico Piemonte per la facoltà legale: fu laureato il 3 luglio 1847 alla vigilia di gravissimi avvenimenti per la patria nostra, il che ha certo contribuito ad infondere e ad affermare in lui, quell'alito potente di liberalismo e di patriottismo che lo ispirò per tutta la vita.
Due anni dopo, come accennò l'onorevole Presidente, fu chiamato alla aggregazione mediante la cooptatio dei colleghi, come pur si usava negli antichi Stati sardi. Fu poi ripetitore al collegio delle provincie, in quest'istituto, che fu così altamente commendato dal nostro Carlo Botta; fu supplente in vari insegnamenti, come consentiva la sua varia e molteplice cultura; da ultimo, allorquando il prof. Genina fu chiamato a consigliere di Stato, fu degnamente chiamato a sostituirlo.
Anche ora mi suona all'orecchio l'eco della sua voce simpatica allorquando egli dettava col cuore e con la mente ad un tempo le sue lezioni di diritto penale dapprima, e poi quelle anche di procedura penale.
Giovane di anni egli amò di essere piuttosto compagno, e quasi fratello maggiore dei suoi giovani allievi; e fu, se mi permettete il paragone, quale era con noi, suoi colleghi al Senato allorquando onusto di anni presiedeva i nostri lavori, dimostrandosi più un amico che non un Presidente nei rapporti coi propri colleghi.
Sì, onorevoli colleghi, l'affabilità, la cortesia, la benevolenza, non iscompagnata da attica arguzia, furono in certo qual modo, doti connaturate con lui; né egli si dimenticò mai, anche quando giunse ai più alti uffici, di essere stato il professore dell'ateneo torinese; serbò continuamente il ricordo degli allievi, degli amici e dei colleghi.
Egli nel 1875 a me, esordiente allora nell'insegnamento, ebbe la bontà di dettare (e questo dimostra la sua bontà) pei miei modesti genitori morti troppo presto, una modesta epigrafe da porsi sulla loro tomba.
Egli, nel 1885, allorquando volle raccogliere le poesie e dare come un'eco degli entusiasmi che lo avevano animato in gioventù, raccolse i suoi ricordi, e i suoi versi, ma volle dedicarli ai colleghi, agli alunni e agli amici.
Più tardi, allorquando già era presidente di Cassazione, credo che uno dei giorni più lieti della sua vita fu quello in cui, pressoché settantenne, fu invitato da noi per celebrare il suo cinquantenario di laurea. Malgrado il caldo della stagione, il 31 luglio 1897, partì da Roma e venne fra noi, suscitò nei suoi allievi di un tempo, ora suoi colleghi, un vero entusiasmo, imponendo però che la funzione dovesse essere privata e fosse famigliare, tanta era la ritrosia di lui contro tutto ciò che potesse sapere di ostentazione e di fasto.
Né crediate, onorevoli colleghi, che la tradizione di lui e del suo insegnamento sia perduta nell'Ateneo torinese; continuò ad essere nostro collega onorario ed emerito e il collega nostro Brusa fu suo discepolo, se non effettivo, almeno adottivo, seguendone le dottrine, poiché allorquando Canonico salì sulla cattedra, sebbene fosse stato istruito nel piccolo paese a piè delle Alpi, aveva però esteso subito il proprio sguardo alle dottrine giuridiche penali in tutta Italia e ai grandi maestri di esse nelle altre regioni italiane.
Egli studiò i libri del Cremani, del Carmignani, del Romagnosi e quelli soprattutto di quell'insigne che in certo modo riassunse e poggiò sopra una base granitica tutti gli studi della scuola classica criminale italiana. Io intendo parlare, e lo sapete bene, di Francesco Carrara. Malgrado ciò egli, pur poggiando sul rigore giuridico e sulla massa granitica delle opere del Carrara, seppe, senza toglierne la logica coerente, rammorbidire le dottrine stesse con quella sentimentalità serena, equa e mite che era una delle caratteristiche del suo cuore e del suo intelletto.
Per tal modo egli poté nel suo insegnamento precorrere molte innovazioni che poi furono giustamente introdotte nella legislazione penale. Voi tutti ricordate le discussioni che vi furono in questo alto consesso intorno al casellario giudiziario, alla "riabilitazione dei condannati", alla "revisione dei giudicati", alla "condanna condizionale" e a tutta questa parte umana e più mite della nuova legislazione criminale anche per il delinquente quando accenna ad emendarsi. Orbene, io stesso ebbi l'onore di dire a voi, onorevoli colleghi, in quest'alto consesso che queste dottrine erano come precorse dal nostro illustre Presidente il buon Canonico, per quanto sapessi la ritrosia e la modestia che lo facevano rifuggire dalla menzione che si faceva di lui.
Egli fu un giurista, e un giurista valente, ma egli non fu un giurista sullo stampo dei Farinacci e dei Cavarruvia od altri dello stesso stampo; fu per questo che il cuor suo si franse, si spezzò, si schiantò allorquando dovette, per l'alto ufficio, presiedere un gravissimo giudizio, che poteva riuscire a una condanna triste anche per coloro che erano chiamati a pronunziarla.
Invano la famiglia lo circondò di tutte le cure, quella famiglia per cui era vissuto e per cui egli viveva! Egli si spense, e noi ora commemoriamo lui, e possiamo tutti dire che mai come a lui si attagliano i versi del Poeta:
Ma, se il mondo sapesse il cor ch'egli ebbe,
Assai lo loda e più lo loderebbe.
Ebbe egli sventure famigliari gravissime, ed ebbe il coraggio di sopportarle, ma ebbe anche il conforto di vedersi come rivivere nei suoi figli e nei suoi nipoti, e morì onusto di onori, onusto di fama, lasciando un'immensa eredità di affetti, ma non una eguale eredità di patrimonio: né questo sarà l'ultimo suo vanto.
Noi tutti quindi applaudiamo alla proposta del nostro Presidente, di rinnovare le condoglianze alla famiglia e di porre nel Senato il busto di lui, che ricordi ai posteri, ai venturi, il nostro amatissimo presidente, Tancredi Canonico, uomo semplice, uomo modesto, ma degnissimo di essere imitato da tutti.
(Approvazioni). [...]
GIOLITTI, presidente del Consiglio, ministro dell'interno. Domando di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
GIOLITTI, presidente del Consiglio, ministro dell'interno. Oggi questo altissimo consesso commemora [...] chi fu Presidente del Senato [...]
Lo splendido discorso del Presidente ha scolpito in modo così magistrale la figura di Tancredi Canonico, come scienziato, come professore, come magistrato, come uomo di alti sensi religiosi e patriottici, che a me nulla è possibile aggiungere, ed io mi devo limitare, per il rispetto a quell'altissima figura, ad associarmi al dolore unanime di quest'Assemblea, alle parole nobilissime ed alle proposte di onoranze che furono fatte dal suo Presidente.
Il mio antico condiscepolo, il senatore Carle, ha ricordato, con voce commossa, Tancredi Canonico nel periodo nel quale l'illustre uomo fu nostro comune professore; e quel periodo ha ricordato pure il senatore Massabò! E chi sa quanti in quest'Assemblea lo ricordano, essi che insieme con me ebbero la fortuna di sedere sui banchi dell'Università di Torino, e di ascoltare le dotte ed affettuose lezioni di Tancredi Canonico, il quale, come ha opportunamente ricordato il senatore Carle, era l'amico dei suoi allievi, era il loro consigliere affettuoso.
Tancredi Canonico fu un professore di cui l'Università di Torino si ricorderà sempre con affetto, e di cui nessuno, che ebbe la fortuna di essere suo discepolo, ha potuto non piangere amaramente la perdita. [...]
Al ricordo di queste [...] figure vada il dolore più vivo del Governo, che in questo sa di essere interprete fedele dei due rami del Parlamento e dell'intiero paese. (Approvazioni vivissime).
PRESIDENTE. Pongo ai voti le proposte che furono fatte dalla presidenza per onorare la memoria del Presidente Tancredi Canonico, e cioè, il rinnovamento delle condoglianze alla famiglia, le condoglianze alla città di Torino, l'erezione di un busto nelle sale del Senato e la sospensione della seduta in segno di lutto.
Chi approva queste proposte è pregato di alzarsi.
(Sono approvate all'unanimità).
Senato del Regno, Atti parlamentari. Discussioni, 27 novembre 1908.
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Attività |
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