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Senato della Repubblica
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MONTEVERDE Giulio

  







   Indice dell'Attività Parlamentare   


.:: Dati anagrafici ::.

Data di nascita:10/08/1837
Luogo di nascita:BISTAGNO (Alessandria)
Data del decesso:03/10/1917
Luogo di decesso:ROMA
Padre:Vittorio
Madre:RONDANINO Teresa
Nobile al momento della nomina:No
Nobile ereditarioNo
Coniuge:PREGNO Rosa
Figli: Aurelio, ingegnere
Luisa coniugata Ricchetti
Luogo di residenza:ROMA
Indirizzo:Via dei Mille, 6
Professione:Scultore
Cariche amministrative:Consigliere comunale di Roma
Cariche e titoli: Professore onorario dell'Istituto di belle arti di Roma (1900)
Membro della Commissione esecutiva per il Vittoriano
Membro della Commissione conservatrice dei monumenti e delle antichità della provincia di Roma
Membro corrispondente della Società reale di Napoli (16 dicembre 1884)
Membro ordinario della Società reale di Napoli (10 dicembre 1889)
Socio ordinario della Deputazione di storia patria per le province delle Marche (28 ottobre 1895)
Presidente dell'Accademia nazionale di San Luca (1904-1905)

.:: Nomina a senatore ::.

Nomina:01/26/1889
Categoria:21 Le persone che da tre anni pagano tremila lire d'imposizione diretta in ragione dei loro beni o della loro industria
Relatore:Tommaso Celesia
Convalida:05/04/1889
Giuramento:05/04/1889
.:: Onorificenze ::.

Ufficiale dell'Ordine della Corona d'Italia 23 gennaio 1873
Commendatore dell'Ordine della Corona d'Italia
Grande ufficiale dell'Ordine della Corona d'Italia
Commendatore dell'Ordine dei SS. Maurizio e Lazzaro 4 gennaio 1885
Grande ufficiale dell'Ordine dei SS. Maurizio e Lazzaro 11 maggio 1896
Gran cordone dell'Ordine dei SS. Maurizio e Lazzaro 18 gennaio 1914
Cavaliere dell'Ordine civile di Savoia 10 aprile 1879
Commendatore dell'Ordine di Francesco Giuseppe (Austria)
Ufficiale dell'Ordine della Legion d'onore (Francia)
Commendatore dell'Ordine ottomano del Medjdiè


.:: Atti parlamentari - Commemorazione ::.

Atti Parlamentari - Commemorazione
    Giuseppe Manfredi, Presidente

    Onorevoli colleghi! Ora il nostro pensiero pur troppo si deve volgere ai senatori che abbiamo perduto durante le vacanze. [...]
    Grave sventura a noi ed all'arte è sopraggiunta: la morte di Giulio Monteverde in Roma il 3 corrente. Anch'egli è de'colleghi, che più non vedremo. Oh mio amato amico, tu, che davi la vita ai marmi, la tua vita hai perduta! Tu, che davi forma al pensiero, sei sceso dove ogni forma si dissolve! Presago della prossima tua fine, hai dato alla tua immagine i tocchi del tuo scalpello maestro!
    L'esimio scultore nacque in Bistagno Val di Scrivia l'8 ottobre 1837. Fatti i primi studi in Casal Monferrato, vi apprese l'intarsio; e si trasferì a Genova, ove lavorò agli stalli del coro del Duomo. Ma il giovane aspirava a scolpire; s'iscrisse alla scuola di Santo Varni, nell'Accademia genovese; e meritò la pensione Durazzo, mercé la quale venne a completare gli studi a Roma verso il 1866. È notorio, che la prima opera, che gli fece nome, fu la Giovinezza di Cristoforo Colombo, esposta nel 1870 in Parma e premiata; e che salì in grido con il Genio di Franklin, premiato a Milano; con lo Jenner ammirato a Vienna ed a Parigi. Si succedettero le altre sue opere, delle quali è una ricchezza ed uno splendore a gloria dell'arte, ad onore d'Italia. Disputino i critici; niuno può negare a Giulio Monteverde un posto nella storia della scultura.
    Il chiaro artista fu socio di tutte le accademie di belle arti d'Italia e di quelle di Vienna, di Berlino, di Monaco, di quante sono le celebri del mondo; membro dell'Istituto di Francia; cavaliere del merito civile di Savoia; coperto d'onori. E tanto modesto ed affabile egli era! Fu nostro dal 26 gennaio 1889. Le condoglianze de' Sovrani lo hanno onorato sul letto di morte. Ma è egli tutto morto Giulio Monteverde? No; la miglior parte di lui vive e vivrà nelle fatture del suo genio; ed in Senato vive ed a noi parla dal busto del buon Re, dalle effigi del Gioberti e del Leopardi, del Verdi e del Carducci. (Benissimo).
    [.]
    MOLMENTI. Domando di parlare.
    PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
    MOLMENTI. Appartenendo immeritamente al Consiglio superiore delle belle arti, mi si consenta di recare l'espressione del dolore e dell'amore degli artisti italiani per la morte di Giulio Monteverde, in questa eccelsa Assemblea, dove egli ebbe fide amicizie e deferenze cordiali. Non ancora, si può pronunciare un giudizio definitivo sulla sua opera varia e molteplice, che appartiene, nel suo insieme, a quella scultura composta, armoniosa, serena che fiorì circa alla metà del secolo decorso e che appare oscillante fra le tradizione canoviane e il temperato realismo bartoliniano. Taluni suoi monumenti funerarii e commemorativi, alcuni busti di significazione vivissima, come quelli del Leopardi e del Verdi, che il Senato ha la fortuna di possedere, hanno tale nobiltà di concetti e tale perfezione di forma che l'arte se ne può singolarmente onorare.
    Ma tre opere principalmente fecero salire alto il suo nome, il Colombo giovinetto, concezione romantica piena di grazia e di eleganza; il Genio di Franklin, geniale bizzarria, dinanzi alla quale gli artisti, ed il pubblico stupirono per quel corpicino che mostra tanta scienza di anatomia senza trascendere il vero, senza sconciare il bello, e quel gruppo di Jenner che è il suo capolavoro. Qui veramente all'intelletto creatore dell'artista balenano sembianti e attitudini di singolare novità; qui la mano, per dirla con Michelangelo, obbedisce a tutto ciò che vuole l'intelletto. Come si sarebbe creduto possibile che l'arte dello scalpello potesse rendere in maravigliosa armonia l'ansia amorosa del padre e la speranza fiduciosa dello scienziato? Qui veramente egli tocca la grandezza che medita, la grandezza che ama, la grandezza che crea.
    Ma anche più alta del suo ingegno fu la sua bontà. L'ammirazione per l'artista non uguaglia l'amore che l'uomo ispirava. Egli non ebbe inquietudini, non ire, non invidie; amava sopra ogni altra cosa la famiglia, gli amici, le sue serene meditazioni. Con eguale animo portò le cose avverse e le liete. Da tutta la lunga e operosa sua vita emanava la luce della diritta onestà del vecchio popolo italico, ond'era uscito. E quando tutte le dolcezze del trionfo allietarono la sua vita, non insuperbì mai; anzi pareva che gli onori accrescessero la sua modestia. E modesto egli fu senza ostentazione, perché non si accorgeva neppure di essere grande e buono.
    Noi ricordiamo le nobili linee del suo volto fortemente improntato di pensiero, i vivissimi occhi lampeggianti di bontà, la dolcezza del suo sorriso che rivelava pienamente l'animo sincerissimo. Benché nato di popolo, aveva l'aspetto di uno di quei gentiluomini artisti del Rinascimento che vivono ancora nei ritratti di Tintoretto e di Tiziano. E gentiluomo veramente egli fu alla corte magnifica dell'arte. Noi che lo, abbiamo conosciuto ed amato seguiremo sempre, nell'intimità del nostro animo, il solco luminoso tracciato dalla sua nobile esistenza.
    (Vivissime approvazioni).
    DE CUPIS. Domando di parlare.
    PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
    DE CUPIS. A pochi è dato di fare in arte una critica sapiente: troppo profonda conoscenza essa richiede degli affetti e dei sentimenti umani e del magistero dell'arte nella forma. Ma il linguaggio dell'arte è da tutti compreso. E intere popolazioni furono vedute trarre dietro ad una statua, ad un quadro che aveva eccitato l'ammirazione universale. Ed io rammento, giovinetto, quando erano meno frequenti le pompe dei cortei ufficiali, una interminabile schiera di popolo seguire il feretro di un giovane pittore, la cui morte precoce aveva percosso Roma di profondo dolore. E io non dubito che se i tempi permettessero ancora al popolo l'agio e la voglia di cercare nell'arte la dolcezza della vita - vacare liberalibus artibus - non sarebbe mancata al nostro illustre collega questa manifestazione di popolare commozione.
    È perciò, onorevoli colleghi, che io, non uomo d'arte, ma come un quivis e populo, che abbia l'animo aperto all'arte, prendo la parola per mandare un saluto di doloroso commiato all'amico perduto al quale m'avvincevano due forti legami, l'ammirazione per l'arte sua e la amorevolezza con la quale nell'animo suo mi aveva accolto.
    Delle opere sue non ardisco parlare: biografie e necrologie ne hanno rammentato ed illustrato le più note, opere unite al suo nome e alla gloria dell'arte. Di una però non ho inteso menzione, che a me pare possa stare con le altre in onorata compagnia: gruppo mirabile nel quale egli, con ardimento che in ogni altro sarebbe stato presuntuoso, ha voluto eternare nel marmo l'ultimo combattimento di una vite che si spegne. Bellissima figura di giovano donna che sotto il tocco gelido delle dita della morte sente fuggire la vita e non stramazza, ma resistendo s'inclina, e sarà dolcemente dalla morte stessa deposta.
    Quanta morbidezza in quelle giovani forme! Quanta sapienza d'idea e di mano, nell'aver saputo evitare, cosa difficilissima, ogni esagerazione in quel movimento! Quanto accorgimento d'arte nell'aver voluto coprire tutta intiera dal teschio ai piedi la figura della morte con un ampio lenzuolo, a dimostrare che la morte non vista insidiosamente penetrava in quelle giovani membra, sottraendo in pari tempo al riguardante l'orrida vista del disfacimento!
    Perdonatemi, egregi colleghi, se io mi sono un poco intrattenuto in particolari sopra un'opera per me sublime.
    Non è questo certamente il luogo ed il momento di descrivere e discutere la produzione artistica di Monteverde.
    Meglio invece conviene domandarci: quale fu l'uomo? L'uomo fu quale la sua produzione artistica lo rivela: uomo di altissimi pensieri, di nobilissime idee.
    Tutte le sue opere maggiori sono state tratte da fatti grandi dell'umanità.
    La scoperta dell'America lo trae ad afferrarne la divinazione nel Colombo giovinetto; la scoperta della vaccinazione, a lui così tenero della famiglia, fa sentire e presenta in visione il palpito e la trepidazione di Jenner che ne fa l'esperimento sul figlio; la scoperta di Franklin disegna alla sua mente la gioia degli occhi e dell'atto di quel genietto che incarcera la potenza distruttrice della scintilla elettrica. Con l'ultima sua grande creazione allegorica, che fu esposta nella mostra del 1911 "Il dominio dell'idea e dello spirito sulla forza materiale", preconizzò, senza volerlo, la lotta che attualmente sostiene il mondo contro la brutalità teutonica per fare che sull'umanità aleggi ancora il dominio della giustizia e del diritto. (Approvazioni).
    E dopo queste opere maggiori, e intorno ad esse, voi vedete una folla di altri concepimenti tutti quanti ispirati a sentimenti dolci ed umani, fino all'ultima espressione dell'animo suo, che tanti di voi hanno ammirato, in quella cara figura di Madonna che ha consacrato al suo paese natio; espressione di pietà materna per tutto il genere umano.
    Onorevoli colleghi, quanti di voi, e credo siano ben molti, hanno, appartandosi un giorno dalle cure giornaliere e dalle ansie torbide di una vita, ahi, troppo travagliosa, visitato lo studio di via dei Mille, non possono dalla contemplazione di tante artistiche bellezze non essersi sentito risollevato l'animo per la visione che lo allieta nella contemplazione del bello.
    Questa dolcezza io l'ho sentita: e te ringrazio, amico carissimo, delle ore deliziose che hai concesso alla mia vita colla tua compagnia, del godimento che mi hai dato di cose immortali.
    Se tu avessi consultata la tua modestia, essa non ti avrebbe vietato di porre sulla porta del tuo studio la scritta: Non omnis moriar.
    E infatti tu non sei morto che nella tua spoglia mortale, ma vivi nel cuore di quanti ti conobbero; e non morrai, perché quando avremo tutti chiuso gli occhi alla luce del giorno, vivrai nell'ammirazione del mondo che non muore. (Benissimo).
    RUFFINI, ministro della pubblica istruzione. Domando di parlare.
    PEESIDENTE. Ne ha facoltà.
    RUFFINI, ministro della pubblica istruzione. Un dovere imprescindibile m'impone, ad onta dell'ora tarda, di dire due parole almeno di compianto per i senatori Monteverde e Sacchetti. [...]
    Commemorando così degnamente, come qui si è fatto, la memoria di Giulio Monteverde, il Senato non ha soltanto tributato un plauso meritatissimo ad una delle glorie più pure del nostro paese; ma, non vi dispiaccia che io lo dica, ha compiuto anche opera di giustizia; perché il Senato con la sua varia e integrale composizione di tutte le più differenti attività e delle intelligenze più multiformi è forse il corpo più adatto a comprendere e a giustamente apprezzare artista, così completo come il Monteverde; assai più che non altri, a cui le mutabili correnti del gusto nelle cose dell'arte hanno forse tolto la potestà di rettamente giudicare di un artista di ottante anni.
    Le tendenze ora dominanti volgono ad un'arte tutta di eccezione e di preziosità, e malamente si prestano alla comprensione di un'arte tutta di equilibrio, di misura, di sobrietà, di signorile compostezza e, dirò, di probità mentale. Tali correnti si affisano tutte all'avvenire e non si adattano ad un'arte, la quale invece si riattacca sostanzialmente alla nostra tradizione antica, alla tradizione della nostra rinascenza.
    In Monteverde tutto era arte, a cominciare dalla sua stessa figura, dal disegno così fortemente, così magnificamente michelangiolesco, che non poteva non far dire a chiunque che, pur non conoscendolo, lo incontrasse per la strada: quello non può essere che un artista. E quando nella sua figura si fosse, più a lungo fissato e ne avesse rilevata la potente espressione, non avrebbe potuto non soggiungere: quello è un grande artista. E quando lo sguardo di quell'occhio si fosse su lui posato non avrebbe potuto non dire ancora: quello è certo un buono, indulgente, gentile artista. Ed era anche un'opera d'arte la sua stessa vita; cominciata dal rozzo pulpito in legno scolpito per il Duomo d'Asti da un umilissimo operaio, ed assurta fino al monumento a Vittorio Emanuele a Bologna eretto dall'artista ormai celeberrimo; con una ascensione continua, dovuta unicamente alle sue virtù e coronata dal riconoscimento più universale. Ed era tutta arte quello che usciva dalle sue mani.
    Si è detto che la sua produzione è stata ineguale; ma quale sommo artista ha potuto lavorare indefessamente per sì lungo spazio senza ineguaglianze? Soltanto è da dire che le ineguaglianze nell'opera artistica del Monteverde possono rappresentare mende di convenzionalismo e di accademicismo; laddove le ineguaglianze nella produzione modernissima il più delle volte sono addirittura aberrazione. Merito suo fu certo di avere saputo - in un momento in cui gli scultori si dibattevano fra il soggetto storico convenzionale e gli sdilinquimenti sentimentali del piccolo soggettino insignificante - concepire con modernità e con forza la bellezza della conquista scientifica, rappresentandola, come nel Colombo giovinetto, nel Genio di Franklin e nello Jenner, non già con artificio di figure simboliche, che hanno bisogno di didascalie per essere intese, ma con evidenza immediata, fondendo il concreto e il reale con l'ideale nella maniera più stupenda. Del resto l'arte non va giudicata con criteri quantitativi, ma qualitativi. Or quando di un artista si può dire, che ad un dato momento, come di lui si disse per il suo Jenner nel 1873 alla esposizione mondiale di Vienna, l'opera sua rappresenta quanto di più alto la produzione artistica di tutto il mondo avesse dato, c'è quanto basta non solamente alla gloria imperitura di un uomo, ma anche ad un giusto orgoglio per la patria che a quell'uomo ha dato i natali. (Vive approvazioni). [...]
    MOLMENTI. Domando la parola.
    PRESIDENTE. Ha facoltà, di parlare.
    MOLMENTI. Anche a nome del collega Frascara, il quale si è dovuto assentare per motivi di famiglia, pregherei l'onorevole Presidente del Senato d' inviare un telegramma di condoglianza alla famiglia del senatore Monteverde.
    PRESIDENTE. Non mancherò di dare esecuzione alle proposte fatte dai varii oratori, nelle quali è certo consenziente il Senato. (Approvazioni).

    Senato del Regno, Atti Parlamentari. Discussioni, 25 ottobre 1917.


Attività 1510_Monteverde_IndiciAP.pdf