Atti Parlamentari - Commemorazione
Giuseppe Manfredi, Presidente
Signori senatori! Durante la sospensione delle nostre sedute, la morte ci ha rapiti due colleghi.
È stato un lutto, non soltanto del Senato, ma pubblico, quello su d'un feretro lagrimato d'ogni parte d'Italia e dal di fuori. Le funebri onoranze, dalle rive della Senna alla nativa Novara, ebbe solenni la salma del conte Giuseppe Tornielli; circondata sul suolo francese dal maggiore tributo di riverenza ufficiale e cittadina; ricevuta in patria con le riconoscenze estreme del Sovrano, del Governo, del paese, al diplomatico spento sul posto del dovere, nel servizio della nazione e del Re.
Quale perdita soffrisse la nostra diplomazia nel giorno nefasto 9 aprile, in cui trapassò l'illustre ambasciatore, che cotanto utilmente e nobilmente rappresentava l'Italia presso il Governo della Repubblica francese, disse la stampa nostrale e la straniera; un'eco d'elogio si ripercosse dal Tamigi al Volga.
Dalla figura del giovane patrizio, laureato d'un anno appena nelle leggi, scelto a segretario da Massimo d'Azeglio, venendo commissario del Re nelle Romagne alla riscossa del 1859, sino a quella del decano del corpo diplomatico in Parigi, collare dell'Ordine supremo, è un brillante passare dell'addetto, del segretario, del consigliere di legazione, del delegato a congressi, membro di commissioni, plenipotenziario per trattati o convenzioni internazionali, del chiamato al gabinetto del ministro alla divisione politica del Ministero, del sottosegretario di Stato, dell'inviato straordinario, ministro plenipotenziario, dell'ambasciatore; in ogni grado ed ufficio grandemente apprezzato; in ogni residenza reputato degno di somma considerazione.
Il Senato ha perduto, non solo un ornamento ed un aureo carattere, ma una attività proficua, della quale il senatore Tornielli diede prova, quando poté essere presente. Rammentiamo le sue relazioni sui disegni di legge, circa lo stato degli impiegati, la riforma giudiziaria nell'Egitto, trattati varii e convenzioni internazionali; ed i suoi discorsi.
Corrono i vanti dell'alto ed antico lignaggio, della razza forte, della scuola piemontese, onde formossi il gentiluomo ed il politico. Sulla pianta annosa della diplomazia fiorì in Piemonte l'innesto della politica nazionale; quando la nuova impresa sfolgorò con lo scudo di Savoia sulla bandiera tricolore italiana. I commissari e governatori del Re nelle provincie insorte, quando la guerra per l'indipendenza si riaccese con i migliori auspicii, ed i giovani allievi, che seco condussero, dei quali fu il nostro Tornielli, ne furono i fervidi cultori. La diplomazia nuova, con l'antica fede alla monarchia e con l'avita servitù ai Sabaudi, ebbe a faro il compimento di quel voto, per il quale Carlo Alberto era morto nell'esilio, e Vittorio Emanuele, che meritò il nome di padre della patria, non era stato insensibile al grido di dolore degli italiani divisi ed oppressi. La nostra politica, egli aveva proclamato il 10 gennaio 1859, inaugurando la seconda sessione della sesta legislatura, riposa sulla giustizia, sull'amore della libertà e della patria.
Il maestro di quella politica, che fece l'Italia, il grande ministro, aveva insegnato a scortare l'ardire con la prudenza, a temperare i voti alla opportunità, a subordinare i moti del cuore all'impero della ragione, gli ideali ai fatti; gli italiani avevano appreso; fu chiuso il periodo, in cui già bastantemente l'amor patrio aveva seminato nel sangue dei martiri, attorno ai ceppi ed ai patiboli; e l'Italia, procacciato favore col senno alla sua causa, con alleanza potente nelle armi, risorse, e le ali della libertà si spiegarono sicure al trionfo.
L'equilibrio della mente e del cuore, lo spirito conciliativo del sentimento e della realtà, diede il Tornielli ad ammirare in singolar modo nella seconda conferenza dell'Aja; ove, degno successore di Costantino Nigra, quale decano dei nostri diplomatici, tenne la presidenza della delegazione italiana. Il pratico intelletto non lo disperava di un'era futura di pacificazione e fratellanza dei popoli; ma il più forte pegno di pace chiedeva all'opinione pubblica universale; da conquistarsi mediante l'opera conciliativa della diplomazia, togliendo di conflitto i singoli interessi, armonizzandoli e rendendoli cooperanti. Su questa via ponevasi il progresso verso il fine umanitario dal nostro diplomatico, che nella conferenza, presidente della terza Commissione, ottenne l'accordo dei delegati sulle particolari questioni, e, sopiti gli antagonismi, fece convenire le più opposte tendenze in guisa da rimandar salve le maggiori ideali aspirazioni.
Se in tutte le legazioni e le ambasciate il conte Tornielli colse onore, in Parigi l'opera sua fu segnalata per l'avveduta condotta, per il tatto sapiente, per le abili maniere, con cui cooperò a riamicare le due maggiori sorelle latine. Facendo amar sé, fece amare l'Italia; dissipati i sospetti, svanirono i rancori. Il Re d'Italia a Parigi, il presidente della Repubblica a Roma, diedero il suggello. Riabbracciammo i francesi con il grato ricordo del sangue sparso sui campi lombardi dalle valorose schiere guidate da Napoleone III, l'alleato di Vittorio Emanuele II.
Il riavvicinamento franco-Italiano, scrisse penna francese, dal Tornielli compiuto, è di quelle opere, di cui un diplomatico può essere superbo. L'Italia e la Francia lo piangono insieme.. La Francia ha perduto uno dei suoi più sinceri, devoti ed utili amici. Tal fu sulla bara del Tornielli l'opinione di quella stampa, che in Parigi, al suo arrivo di tredici anni addietro, lui aveva ricevuto come ostile. E finisco ancora, a maggior attestato di merito, del nostro collega defunto, prendendo la parola dalla stessa bocca straniera. Il venerando decano del Corpo diplomatico era tanto amato, quanto rispettato da tutti coloro, che lo avvicinarono. Questo piemontese entusiasta del risorgimento Italiano lavorò in tutta la sua vita alla grande opera della pace europea, allo svolgimento degli scambi economici ed intellettuali, alle convenzioni internazionali. Il conte Tornielli sarà universalmente rimpianto. (Approvazioni). [...]
DI COLLOBIANO. Domando di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
DI COLLOBIANO. Mi associo con tutto l’animo alle nobili parole dette dal nostro illustre Presidente per commemorare il conte Tornielli.
Egli rese al paese eminenti servizi che furono ben tratteggiati nella commemorazione del nostro Presidente.
Io però voglio ricordare l’opera sua quando fu per lunghi anni al Ministero degli esteri, come direttore degli affari politici e segretario generale e col consiglio e con l’opera collaborò alla direzione della politica estera.
Egli fu uno degli autori del nostro ordinamento per le carriere diplomatiche e consolari, che fu in vigore fino all’anno scorso. Egli continuò sempre con studi e con proposte a cercare il miglioramento di tutti i servizi dipendenti dal Ministero degli affari esteri, e questi suoi studi e queste sue proposte furono di somma utilità per la preparazione del recente disegno di legge che regola questa materia.
La sua vita diplomatica non gli fece dimenticare il suolo nativo. Consigliere provinciale di Novara nel tempo che fu in Italia, vi dedicò la sua opera zelante ed attiva, ed anche lontano si adoperò sempre per gli interessi di sua provincia.
Amico e collega del conte Tornelli mando l’espressione del mio profondo cordoglio alla sua memoria, e spero che il suo esempio sarà sempre vivo nella diplomazia italiana.
In ultimo propongo al Senato che l’onorevole nostro Presidente si faccia interprete delle nostre espressioni di cordoglio presso la vedova dell’illustre uomo. (Bene).
LACAVA, ministro delle finanze. Domando di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
LACAVA, ministro delle finanze. [...] Del conte Tornelli dirò che io gli fui compagno nella Camera elettiva e divisi con lui la responsabilità del potere nel Ministero Depretis. Lo fanno benemerito della patria i numerosi servizi da lui resi, tanto nell’amministrazione quanto nelle diplomazie, e ultimamente anche alla conferenza dell’Aja. Le più difficili missioni diplomatiche furono da lui compiute con grande dignità, con molta fortuna e con felice successo.
Senato del Regno, Atti parlamentari. Discussioni, 19 maggio 1908.
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