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Senato della Repubblica
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ABBIATE Mario

  







   Indice dell'Attività Parlamentare   

   Fascicolo personale   


    .:: Dati anagrafici ::.

Data di nascita:02/14/1872
Luogo di nascita:GENOVA
Data del decesso:05/06/1954
Luogo di decesso:MILANO
Padre:Giuseppe
Madre:MONTALENTI Erminia
Nobile al momento della nomina:No
Nobile ereditarioNo
Coniuge:CAMBIAGHI Rosa
Figli: Marco
Parenti:Margherita
Giuseppina
Luogo di residenza:MILANO
Indirizzo:via Lanzone, n.2
Titoli di studio:Laurea in giurisprudenza
Laurea in lettere
Presso:Università di Torino
Professione:Amministratore d'azienda
Carriera:Vicepresidente della Cassa nazionale per le assicurazioni sociali
Presidente della Società anonima officine elettro-ferroviarie di Milano
Membro del Consiglio d'amministrazione della Società anonima "Giuseppe Cambiaghi"
Presidente della Società Montecatini (1945-1948)
Presidente delle Assicurazioni generali di Trieste e di Venezia (1948-1953)
Cariche governative:
Cariche amministrative:Consigliere comunale di Vercelli
Consigliere provinciale di Vercelli
Cariche e titoli: Membro del Consiglio superiore del lavoro (settembre 1903-1923)
Vicepresidente del Consiglio superiore del lavoro

    .:: Nomina a senatore ::.

Nomina:10/06/1919
Categoria:21 Le persone che da tre anni pagano tremila lire d'imposizione diretta in ragione dei loro beni o della loro industria
Relatore:Niccolò Melodia
Convalida:27/12/1919
Giuramento:27/12/1919
Annotazioni:Gruppo Senato: Unione democratica sociale, poi Unione democratica


    .:: Camera dei deputati ::.

Legislatura
Collegio
Data elezione
Gruppo
Annotazioni
XXIII
Vercelli
7-3-1909*
Radicale
Ballottaggio il 14 marzo 1909


    .:: Senato del Regno ::.

Commissioni:Membro della Commissione dell'agricoltura (17 aprile 1939-5 agosto 1943)
Commissario alla Cassa dei depositi e prestiti (20 dicembre 1920-20 novembre 1923)

    .:: Governo ::.

Governo:Ministro dell'industria commercio e lavoro (22 maggio-3 giugno 1920)
Ministro del lavoro e previdenza sociale (3-15 giugno 1920)

    .:: Dopo il 1945 ::.

Consulta nazionale:SI
Senato della Repubblica:I Legislatura (III disp. trans. Cost.)

    .:: Atti parlamentari - Commemorazione ::.

Atti Parlamentari - Commemorazione
Giorgio Bo, Vicepresidente

CORNAGGIA MEDICI. Onorevole Presidente, onorevoli colleghi, la sera del 5 giugno, in Milano, mancava ai vivi il senatore Mario Abbiate. Nato a Genova il 14 febbraio 1872, dopo aver coltivato i corsi classici, studiò giurisprudenza e questo culto del diritto gli consentì di guardare sempre, anche i fenomeni economici e sociali, sub specie juris. Trasferitosi a Vercelli, fu dalla volontà di quella popolazione eletto consigliere comunale e consigliere provinciale. Nel 1909 venne dagli elettori vercellesi mandato alla Camera dei deputati. Il 6 ottobre 1919 fu chiamato a far parte del Senato e nel 1920 a reggere il Ministero dell'industria e del commercio e successivamente, come primo titolare, il Ministero del lavoro e della previdenza sociale. I lunghi studi da lui fatti sui problemi economici, l'amore alla sorte dei lavoratori dello zolfo e dei panifici, la sua presenza per 20 anni, dal 1903 al 1923, nel Consiglio superiore del lavoro, la sua preoccupazione per i problemi mutualistici, gli hanno consentito di essere considerato un competente dei problemi del lavoro e dei lavoratori ai quali egli ha donato il meglio del suo intelletto e del suo cuore.
Quando, in Italia, si eclissò la democrazia, egli, senatore, si ritirò a vita privata e tornò ai campi, novello Cincinnato. Per la sua fatica, per il suo ingegno, per la sua cultura, vedemmo risorgere in molte zone della Lombardia la nostra agricoltura. Non trascurò l'industria e qualche volta appariva anche nel Senato e qui la sua fiera parola risuonò con dei 'no' che ebbero tutto il valore di un detto storico, che affermarono la sua fede incrollabile nella democrazia e nella libertà.
Finita la guerra, Mario Abbiate, con vigore giovanile, nonostante i suoi anni fossero molti, volle essere a capo di industrie, perché gli operai italiani avessero lavoro; volle, di nuovo, occuparsi di problemi previdenziali e assicurativi e tutto fece con quella sua fermezza, con quella sua volontà, con quella sua serietà per la quale ogni suo detto, ogni sua azione, era caratterizzata dalla impronta della perfezione. Fu allora chiamato a far parte della Consulta nazionale e poi di questa Assemblea come senatore di diritto.
Uomo di carattere, egli in ogni circostanza seppe dare a tutti i suoi atteggiamenti un aspetto che noi non possiamo scordare. Divenuto capo di un istituto che trae da Trieste il nome, egli, nella città martire, nella città di San Giusto, elevò, in ogni ora, con quel suo spirito umanistico, col quale esprimeva sempre il suo pensiero, la speranza della patria perché Trieste fosse ricongiunta all'Italia. Oggi egli non è più, ma rimangono i suoi studi, rimane il suo esempio e rimane in noi la grande speranza che la sua anima trapassata all'al di là, con i conforti della religione, possa veder presto Trieste ricongiunta alla Madre patria, possa vedere il continuo ascendere del lavoro italiano, nello spirito della libertà e della democrazia e possa vedere sempre più consolidata la vita di questo nostro paese al quale egli ha offerto l'esistenza, al quale ha donato in ogni circostanza un servizio degno di elogio e di memoria.
Nel pregare l'onorevole Presidente di rendersi interprete dei sentimenti unanimi di cordoglio del Senato presso la desolata vedova e presso il figlio, noi pensiamo in questo momento di poter esprimere il cordoglio del paese, che sa di aver perduto un grande patriota, un nobile lavoratore, un alto ingegno che tutta la sua vita spese per le fortune d'Italia.
JANNACCONE. Domando di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
JANNACCONE. A nome del gruppo parlamentare al quale Mario Abbiate appartenne durante la precedente legislatura, mi associo alle nobili parole con le quali il senatore Cornaggia Medici lo ha commemorato; e mi associo non soltanto per debito di colleganza parlamentare, ma con sensi fraterni, perché Mario Abbiate, mio coetaneo, fu mio compagno di studi ed amico della mia prima gioventù. Sin da allora spiccavano in lui quelle qualità di grande cortesia, ma insieme di serietà, di riservatezza, quasi di ritrosia che ne adornarono tutta la vita e che hanno fatto sì che una vita spesa in gran parte in pubblici uffici ed in opere di pubblico interesse sia passata quasi silenziosa ed inosservata.
Agricoltore, consigliere comunale e provinciale di Vercelli, deputato nella 23ª legislatura, membro della Consulta, senatore del Regno e della Repubblica, ministro dell'industria e del commercio, e del lavoro e della previdenza sociale, egli ha tenuto tutti questi uffici sempre con grande serietà e riserbo. Egli si è ritratto dalla sua opera fattiva spontaneamente ogni volta che gli sembrasse che l'esplicazione della sua attività non si accordasse più con l'ambiente nel quale doveva operare. Per queste ragioni, e forse anche per le condizioni della sua salute, egli non ha preso una parte molto attiva ai lavori del Senato nella prima legislatura, ma è ben giusto che il Senato ricordi il nome e l'opera di quest'uomo, che tutto intese ed operò per gli ideali della sua vita e per il benessere e il progresso sociale.
SCHIAVI. Domando di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
SCHIAVI. Dello scomparso e compianto nostro collega, sento il dovere, per un senso di gratitudine, di rievocare due particolari episodi della sua intensa attività politica di parlamentare e di studioso dei problemi sociali: la fondazione e la difesa del Consiglio superiore del lavoro e la coraggiosa rivendicazione del sistema della rappresentanza proporzionale seppellita dal Governo fascista.
Mario Abbiate fu, con Giovanni Montemartini e con Filippo Turati, il promotore del Consiglio superiore del lavoro, istituito nel 1903, combattuto poi vivacemente dal Partito clericale sulla riforma proposta dal Consiglio stesso e propugnata dall'Abbiate alla Camera il 12 maggio 1911, per la considerazione "che nell'esclusione di ogni carattere confessionale e politica nella composizione del Consiglio sta la garanzia perché gli interessi economici degli imprenditori e dei lavoratori siano serenamente trattati", affermando poi che il Consiglio superiore del lavoro "è un istituto dei tempi nostri, rampollato dal nuovo ordinamento del lavoro industriale, che ha come presupposto la organizzazione di classe, e deve questa organizzazione volere, perché soltanto attraverso di essa, può esplicare la sua azione. E deve favorire la costituzione di organizzazioni di mestiere unitarie e nazionali, in rispondenza ai nuovi bisogni".
Parole queste che sento di dover rievocare, perché, a tutt'oggi, si attende invano la ricostituzione del Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro, che, ove gli fossero aggiunti i compiti di conciliazione e di arbitrato delle vertenze sindacali specie tra i dipendenti dello Stato e degli enti pubblici, e parastatali, grandi servigi potrebbe rendere alla comunità.
Quando la cosiddetta legge Acerbo venne in discussione in Senato, nel novembre del 1923, il senatore Abbiate si propose di "esaminare se la legge proposta risponda al grado di sviluppo raggiunto dalla nostra vita istituzionale, esaminare se lasci integre le conquiste popolari, consolidate nella nostra legislazione e nella nostra pratica costituzionale".
Ora, egli dichiarò: "Chi vi parla non nega la potestà costituente del Parlamento, ma ritiene che essa venga meno quando si tratti di tradurre nella legge positiva una interpretazione dei diritti popolari non già più lata di quella acquisita nella pratica costituzionale, ma più ristretta. In tale caso il popolo solo è arbitro di se stesso. Il Parlamento non può esautorare se stesso. Per me, egli aggiunse, una legge elettorale ha questo scopo: di dare al popolo lo strumento per esprimere la sua genuina rappresentanza. E in ciò risiede la virtù ordinativa di una legge elettorale, di essere il mezzo per affermare un ideale e un programma politico, non già il mezzo per la diretta, immediata conquista del Governo e dello Stato da parte di un partito o di una coalizione di partiti".
"Non dal meccanismo di una legge, ma dalla virtù e dalla propaganda delle idee, dall'attitudine degli uomini che sono preposti al Governo di un paese, egli disse, deve nascere una maggioranza parlamentare".
E poiché la Commissione aveva affermato che la causa di tutto il male in cui si dibattevano il Parlamento e il paese sarebbe stata la "proporzionale", l'Abbiate che della proporzionale era stato, assieme con Filippo Turati, il pioniere nell'Associazione da questi presieduta, ebbe a dichiarare: "nel 1919 la proporzionale ha conservato l'Italia alle sue istituzioni plebiscitarie; se questa legge, che oggi discutiamo, fosse stata nel 1919 in vigore, avrebbe consegnato l'Italia alle forze comuniste".
Quindi pose alla Camera il quesito: "è vero o non è vero che il malcostume parlamentare è in gran parte una conseguenza del malcostume dei partiti politici, e dei partiti di massa, influenti e prementi dall'esterno su Parlamento? E il malcostume dei partiti si corregge, o si aggrava, con questo disegno di legge? Il problema, onorevoli colleghi, non è di meccanismo elettorale; è problema di educazione politica. Non il meccanismo parlamentare noi dovremmo proporci di riformare, ma l'animo degli uomini. Perché" - concluse - "contro l'argomento addotto a giustificare la legge antiproporzionalista, cioè la instabilità delle maggioranze, un Governo che abbia un nobile ideale, un serio programma, l'uomo di governo che abbia le attitudini per governare, si forma una maggioranza da sé, senza bisogno di uno speciale meccanismo elettorale".
E la legge passò e fu applicata, e ne risultò la Camera dei fasci e delle corporazioni, suggellata dal sangue di Giacomo Matteotti del quale tra due giorni celebreremo, dopo un trentennio, la memoria e la gloria.
E Mario Abbiate, nel subentrato regime, tacque e si raccolse nei suoi studi, e fu di coloro che fecero proprio, come condotta di vita, il verso del Milton: "sono utili anche coloro che soltanto rimangono in piedi ed aspettano". E in piedi lo rivedemmo dieci anni or sono e nuovamente operoso nel campo che gli era proprio dell'assicurazione, della previdenza, della assistenza delle classi lavoratrici.
Il suo esempio, le sue parole e i suoi atti non periranno con lui, per ammaestramento e conforto nostro e dei venturi.
GIACOMETTI. Domando di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
GIACOMETTI. Onorevoli colleghi, ho l'onore di associarmi a questa manifestazione di cordoglio e di ammirazione per l'onorevole Abbiate, a nome dei partiti socialista e comunista che me ne hanno dato l'incarico.
Ho avuto il piacere e l'onore di conoscerlo e di apprezzarlo partecipando con lui all'attività nella Federazione nazionale delle società di mutuo soccorso prima, e nella Lega nazionale delle cooperative; ho avuto anche la ventura di essere suo compagno di viaggio e di lavoro nel primo congresso nazionale delle federazioni a Vienna quando si trattò di organizzare in maniera precisa e organica il movimento mutualistico, che allora si iniziava, delle Società di mutuo soccorso, le quali tendevano già a forme democratiche più precise e più improntate a quello spirito che noi amavamo.
Mario Abbiate era una mente lucidissima, un oratore affascinante e uno studioso che veramente meritava la stima e l'ammirazione di tutti coloro che con lui collaboravano all'opera di redenzione del proletariato. Ecco perché gli altri partiti vedono in lui uno dei primi propulsori di quell'idea, che noi continuiamo a sostenere e ci auguriamo di vedere trionfare sulla terra.
TUPINI, ministro senza portafoglio. Domando di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
TUPINI, ministro senza portafoglio. Onorevoli colleghi, un altro caduto sul nostro cammino del progresso e della civiltà. Noi salutiamo in Mario Abbiate un precursore perché come tale, a suo tempo, affrontò, con altri uomini della sua stessa altezza, problemi di ordine sociale che portò a compimento e che significavano l'esaltazione del lavoro, l'aumento della ricchezza, la redistribuzione perequativa di essa verso la collettività.
Il Governo, nell'onorarne la memoria, si associa alle nobili parole dei colleghi senatori che ne hanno esaltato le virtù civili e patriottiche.
PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, il Senato vede con viva tristezza allontanarsi, una ad una, le nobili figure che incarnarono in un certo senso il migliore passato della nostra storia e che anche nei tempi nuovi hanno saputo con coerenza e fedeltà servire il paese, la libertà e la democrazia.
Uno di questi uomini è stato onorevole Mario Abbiate, che noi ricordiamo anche come membro della nostra Assemblea durante la prima legislatura repubblicana. Di lui è già stato ampiamente e nobilmente parlato sì che io posso limitarmi a dire che tutto il Senato si raccoglie in un sentimento unanime di rimpianto e di compianto per l'uomo che ha sempre amato la patria con intelligente ed aperta comprensione di tutti i problemi della via moderna ed in particolare dei problemi del lavoro.
Interprete di questo sentimento, la Presidenza esprimerà il suo cordoglio alla famiglia dello scomparso.

Senato della Repubblica, Atti parlamentari. Discussioni, 8 giugno 1954.

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