Il 25 settembre l'Aula ha incardinato l'esame del ddl n.
256 e connessi sull'introduzione nel codice penale del reato di tortura e su altre norme in materia di tortura.
Il primo articolo del testo in esame introduce nel codice penale l'articolo 613-
bis, che punisce con la reclusione da tre a dieci anni chiunque, secondo una definizione che ricalca quella della Convenzione internazionale del 1984, indebitamente ed intenzionalmente cagiona acute sofferenze psichiche o fisiche, mediante minaccia grave o comportamenti disumani o degradanti la dignità umana, ad una persona che non sia in grado di ricevere aiuto, al fine di ottenere da essa o da altri informazioni o dichiarazioni su un atto che essa o altri ha commesso o è sospettata di aver commesso, ovvero al fine di punire una persona per un atto che essa o altri ha commesso o è sospettata di aver commesso, ovvero per motivi di discriminazione, sia essa etnica, razziale, religiosa, politica, sessuale o di qualsiasi altro genere.
L'articolo 2 modifica l'articolo 191 del codice di procedura penale, chiarendo che le dichiarazioni ottenute mediante tortura, così come definite dall'articolo 613-bis del codice penale, possono essere utilizzate solo contro le persone accusate di tale delitto al fine di provarne la responsabilità e di stabilire che le dichiarazioni stesse sono state rese in conseguenza della tortura.
L'articolo 3 modifica il testo unico sulla disciplina dell'immigrazione e della condizione dello straniero, di cui al decreto legislativo n. 286 del 1998, stabilendo l'impossibilità di respingere, espellere o estradare una persona verso uno Stato nel quale si ritiene che rischi di essere sottoposta a tortura.
L'articolo 4, infine, esclude l'applicabilità dell'immunità diplomatica per i cittadini stranieri condannati o processati per tortura in altro Paese o da un tribunale internazionale.