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Discorso d'insediamento del Presidente Domenico Farini (10 giugno 1895-2 marzo 1897)

Senato del Regno, tornata del 11 giugno 1895

Presidenza del Presidente Farini

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Discorso del Presidente

Domenico FariniPRESIDENTE. (si alza).

Signori Senatori!

Con quale animo io ripigli quest'eccelsa carica, gli effetti, essi soli, varranno a darne aperta prova ove appariscano non discordi dall'augusto volere che di bel nuovo mi esalta, se siano conformi all'alta missione di quest'Assemblea, quando mi conservino il dono prezioso della vostra grazia. La generosità della quale, mentre diede al mio operare sanzione ambita e premio di cui niuno maggiore, è cagione che l'antica gratitudine e la preghiera onde mi si continui, per l'incessante esperimento che ne feci, si congiungano e ad un tempo si convertano nel medesimo caldo ringraziamento. (Bene).

Innalzato a pari della bontà, fortificato con l'autorità per le quali primeggiate, mercé vostra i dettami del dovere ubbidii; né vacillerò mai, perché gli animi nostri, le nostre volontà comporranno un sol animo, una volontà sola. (Benissimo).

Da ciò segue che nella piena coscienza dell'ufficio, io faccio a fidanza cogli alacri e dotti suggerimenti d'un ciascuno e prima d'ogni altro con quelli degli egregi colleghi della Presidenza; che al cordiale aiuto di essi e di voi ancora una volta io mi commetto; devoto, obbligato; a tutti, tutto. (Vive approvazioni).

Lo stringere del tempo in che incomincia la nuova sessione aumenta l'intrinseca difficoltà delle provvisioni che le saranno richieste. A superarla il Senato, nel quale si accolgono e si danno la mano i più ben misurati consigli, dove hanno severo culto i principii e le pure tradizioni che alle libere istituzioni attrassero la fede e l'amore del popolo, affermatisi or corrono sette lustri nel nome del gran Re, procederà risoluto. (Benissimo). Erto sentiero ma non ingombro di contese, né annebbiato di passioni; faticosa meta di mali reali da mitigare, di cupidigie da rintuzzare, di esigenze contrarie da equamente contrappesare; affinché, levati via gli stridenti contrasti, un poderoso fascio d'interessi armonici faccia argine al maltalento e rinsaldi il consorzio civile. (Vivissime approvazioni).

A tale intento, a cementare la finanza e la pubblica economia, ad assidere lo Stato sovra saldissime basi, muove voi ardore di pubblico bene; me accompagna la soave speranza di non venir meno all'ufficio; tutti noi sprona la ferma concordia che ci trasse da passate distrette, ci scampò da ogni danno e condurrà la patria a prospere sorti. (Benissimo).

Signori Senatori!

Al chiudersi del prodigioso decennio che rinnovò l'Italia, fanno venticinque anni ebbe corona in Roma l'era nuovissima della quale furono, e sono, spada e scudo la dinastia gloriosa, il diritto nazionale. (Benissimo).

Adunati la vigilia della ricorrenza che nell'imperituro acquisto compendia il patriottico travaglio delle età che furono, il sentimento, della nostra responsabilità si ravviva più gagliardo, più alto parla.

E' voce dall'eco d'un lungo quarto di secolo ripetuta e fatta più solenne. Evocazione eloquente di nostra gente dispersa in lunga servitù per antiche colpe e sventure, voce che, a guarentigia dell'avvenire, addita e consacra il segnacolo che attutì le discordie, smagò le fazioni e sfolgoreggia nella storia della redenzione italiana: dove il Re, ivi è la patria! (Approvazioni vivissime e generali - Applausi prolungati)

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