Discorso d'insediamento del Presidente Domenico Farini (10 dicembre 1890-27 settembre 1892)
Senato del Regno, tornata del 11 novembre 1890
Presidenza del Presidente Farini
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Discorso del Presidente
PRESIDENTE. Signori Senatori!
Ho l'onore di assumere ancora una volta la presidenza del Senato, nuovamente la fortuna di rivolgervi la parola da questo seggio eminente.
Come già occupandolo, or son tre anni, la maestà di esso mi sgomentava, anche oggi la reiterata conferma ravviva la coscienza della scarsezza delle qualità e forze mie; mentre crescono a mille doppi i miei dover.
Che se allora io mi confidava nella generosità vostra, della quale, nonché della benevolenza, sono adesso per continui segni e chiari documenti accertato; così amorevole conforto che pur dà lena ad ogni prova, fa sempre più arduo il ripagarvene in modo degno.
Al sublime ufficio nessun merito, nessun titolo mi designa.
Servii la patria e la Dinastia; le servii nell'esercito, nel Parlamento con entusiasmo cittadino, con vivace e salda devozione; questo, fra i vanti di tutti voi, il solo che a me non manchi!
Ma avendo un'augusta volontà giudicato di largirmi di bel nuovo sì alto segno della sua grazia, a quella, ossequente, obbedisco.
E' grande il cimento, grandissima la responsabilità cui torno a sobbarcarmi.
A salvaguardia di essa non mi manchi il valido aiuto di voi, signori senatori, nelle cui mani sta la parte migliore della mia autorità; non le recando io altro che un passato, pegno di non fiacco volere, mallevadore di inflessibile tutela del prestigio, della pura aureola di quest'onoranda Assemblea, sacro retaggio al mio onore commesso. (Benissimo).
Perché io qui sieda senza scapito del vostro diritto, non fallendo al mio obbligo, è mestieri siami maestra la dottrina, la benevolenza mi rinfranchi, mi illumini la vostra mente; è necessità che ogni parola, pensiero, ogni mia azione, siano opera, parola, pensiero, ogni mia azione, siano opera, parola, pensiero vostro. Di questo assiduo, fiducioso, illimitato sussidio, che già mi concedeste, che impetro istantemente perduri immutato, non so a voi profferirmi grato se non a corte parole. Sono parole di un cuore che molto sente; è gratitudine che resta. (Approvazioni).
Nella legislatura passata, memorabile come quella che molto innovò negli ordini amministrativi, il Senato, lontano tanto dalla torpida acquiescenze, quanto dalla pervicace renitenza, non indarno usò la sua sperienza legislativa, l'autorità sua moderatrice. Fu opera conforme al genio italico, altrettanto restìo ad ogni frettolosa novità, come inclinato alle correzioni che a grado a grado, a passo a passo, mutano conservando, svecchiando rinvigoriscono. (Bene).
Allo spirito stesso, alla stessa solerzia, senza critica appassionata o studiati indugi, saranno, con maturo consiglio, informate anche nella Sessione che incomincia le deliberazioni vostre intorno ai ponderosi argomenti dalla parola reale annunziati. (Bene).
Colleghi onorandissimi. La legislatura che sorge ha recato al Senato un onor singolare, a noi una cagione di alta letizia. Da pochi giorni l'albo nostro è stato fregiato col nome del principe Vittorio Emanuele di Savoia, del figlio dell'augusto Re, il cui regno anderà ai posteri quale insuperabile per lealtà, per valore, per patria carità. (Bravo, applausi).
A lui, nipote del gran Re redentore, in giovine età già degno dell'avo e del padre, io, in presenza vostra, rinnovo l'omaggio reverente del Senato, oggi è un mese tributatogli. (Vivissimi applausi).
Possa la fortuna d'Italia volgere sempre a lui seconda; a lui già certa speranza, sicura guida un giorno agli alti destini della nazione: possano sul suo capo accumularsi i trionfi che rimeritarono il regno dell'avo, le fervide acclamazioni che accompagnano quello del padre, strenuo avanzatore di libertà, ai miseri soccorrevole, della contentezza dei popoli promotore alacre. (Applausi).
Ed ai nuovi colleghi, che il Re ci diede testè, io indirizzo il nostro saluto.
Uomini in fama nelle scienze, nelle lettere, in grado negli ordini amministrativi, parlamentari provetti, rappresentanti dei vitali interessi cu cui gli Stati si fondano e saldamente stanno, per essi, giunge prezioso aiuto all'eccelsa mèta cui, scarichi d'ogni altra minor cura, per il bene durevole della patria franchi intendiamo.
Qui, con animo riposato, si libra ogni problema, i dibattiti si improntano a civile sapienza; tutti i reali bisogni, tutte le sofferenze, ogni legittima aspirazione incontra qui il suffragio delle menti, il favore dei cuori. Qui, insieme a noi, essi faranno risplendere di luce ognor più smagliante la vivida tradizione del Senato, mai, per oltre quarant'anni, affievolita; tradizione nazionale da cui e per cui, colla libertà, l'unità fu conquistata; tradizione che durerà perpetuamente immacolata: niente senza il Re, tutto per la patria! (Applausi viivissimi, prolungati).
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