Discorso d'insediamento del Presidente Domenico Farini 2a-3a-4a Sessione (16 novembre 1887-3 agosto 1890)
Senato del Regno, tornata del 17 novembre 1887
Presidenza del Presidente Farini
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Signori Senatori,
Allorquando, lontano da Roma, mi giungeva improvvisa notizia avermi Sua Maestà il Re chiamato a presiedere questo primo Corpo dello Stato, l'animo mio si turbò grandemente.
Venuto ultimo fra voi, io non poteva dimenticare essere pure ultimo per mente e per opere e ad un tempo non ricordare come in questa nobilissima Assemblea si raccolgano i più chiari nelle scienze, nelle lettere, e nelle arti; e quanto sono nelle armi i più provetti, nella cosa pubblica i più sperimentati. Talché, volendo a me stesso pur dare ragione di tanta mia singolar fortuna, intesi e certo fui doverla attribuire soltanto a nuova benevolenza verso l'erede di un nome ai fasti della patria non senza onore congiunto; al Re ed alla patria con illimitata devozione avvinto. (Applausi).
L'Augusto volere fu per me legge; confidai nell'indulgenza vostra; sotto l'egida di questa oggi mi pongo onde a me sia meno arduo l'altissimo dovere. (Bene)
Nello adempiere il quale mi ispirerò agli esempi, mi guideranno gli insegnamenti degli illustri uomini, che, per lunga serie, splendettero da questo seggio; sovra cui salendo tributo al ricordo di loro un omaggio reverente; e mando un affettuoso saluto al venerando mio predecessore, soldato valoroso, scrittore esimio, statista insigne, la cui nobile vita dai giorni della servitù a quelli del trionfo fu sacra alla patria. (Applausi generali).
Così possa io, calcando le orme luminose di essi, parere meno indegno di un onore del quale non si può fare sì gran conto che poco non sia. Il grande proposito mi dia lena e vigore, affinché l'autorità e la dignità di questa Assemblea non vengano, per la mia insufficienza, diminuite.
Che se mi fosse lecito invocare dinanzi a voi memorie non antiche della mia vita pubblica, queste bramerei vi dessero guarentigia di uno zelo a tutta prova, dei miei retti intendimenti, della più rigida imparzialità; che l'osservare non è merito, il trasandare sarebbe colpa. (Benissimo). Indirizzare e regolare i vostri lavori per modo che la diligenza e l'operosità vostre non vengano poste a troppo grande cimento, ed il vostro compito sia meno malagevole, sarà, per quanto mi concerne, precipuo mio obbietto. (Bene).
E riputerò somma ventura se potrò contribuire a far siì che questo Senato italiano, il quale ebbe tanta parte nel costituire la patria, continui a svolgere vigorosamente la propria opera sapiente, in quell'alta sfera d'azione in che fu dallo Statuto costituito. (Applausi).
Signori Senatori,
La parola Reale indicava testé l'argomento di questa sessione.
E' vasta materia in cui la vostra dottrina, la vostra esperienza potranno largamente esplicarsi, a presidio di quelle libere istituzioni, le quali, come da quarant'anni furono la pietra angolare su cui si innalzò l'edifizio nazionale, così staranno nell'avvenire a schermo della patria, a fondamento d'ogni sua prosperità e grandezza.
E iniziando le nostre sedute sia a me consentito, in cospetto di voi, riguardatori calmi, ma zelatori indefessi di tutto che si attenga al diritto, all'onore della Nazione, bene auspicare alle armi italiane, cui seguono in Africa i nostri più fervidi voti. (Benissimo).
La fortuna accompagni, il genio della patria guidi i prodi soldati che fortemente si apparecchiano a tenere alto l'onore della bandiera, a far rispettato e temuto il nome dell'Italia e del suo Re. (Applausi vivissimi e prolungati).
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