Discorso d'insediamento del Presidente Cesare Alfieri di Sostegno (2 aprile-28 dicembre 1860)
Senato del Regno, tornata del 4 aprile 1860
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DISCORSO DEL PRESIDENTE
PRESIDENTE. Onorevolissimi signori,
Un anno è trascorso appena dacché qui ci separammo con animo deliberato di andare incontro ad un gran cimento per compiere un gran dovere; oggi qui ci troviamo riuniti sotto felici auspizi per iniziare una eccelsa impresa; e veramente atto insigne quant'altro mai è la costituzione di un regno, di cui ogni provincia porta con sé un retaggio di glorie domestiche e di monumentali splendidezze, un concorso di belle e care rinomanze personali.
La sapienza civile, che deve presiedere ad opera di tanta mole, avrà in questo Senato, ove, fra tanti illustri, sono chiamati a sedere quei due sommi che sono Alessandro Manzoni e Gino Capponi, un organo rispettato e degno; come largo campo ad acquistare giuste benemerenze verso la comune patria avrete voi, onorandi senatori, animati da virile patriottismo, da così provate virtù cittadine. E io, destinato dalla maestà del Re all'onore di dirigere le deliberazioni di questo autorevolissimo Consesso, mi affiderò, come per lo passato, nella benevolenza vostra, e pregherò i novelli colleghi di volermene essere larghi al pari degli antichi, mentre agli uni e agli altri offro il tributo anticipato di mia sincera gratitudine. Così potessi io, accennando ai colleghi, non aver oggi a richiamare luttuose rimembranze. Così potessero dividere con noi la fratellevole gioia di questi giorni i due valorosi che sì memorabil parte ebbero nella prima guerra dell'indipendenza italiana, il generale Franzini e l'ammiraglio Albini! e così pure il benemerito avvocato Rossi! e quel Carlo Ignazio Giulio! a me riverito maestro, ed amico dolcissimo, il quale manteneva intiera la dignità della scienza anche quando se ne faceva al popolo divulgatore benevolo, il cui alto senno si esprimeva con sì lucida ed efficace parola, che in udirlo sembrava fossero per loro natura il bel dire ed il ben dire una sola e medesima cosa; ed infine il prode generale Maugny, figlio di una di quelle generose provincie cui la forza degli avvenimenti tenderebbe ora ad assegnare destini diversi dai nostri! Ma se dovranno sciogliersi i nostri vincoli politici con quelle popolazioni di forte e nobil tempra, dalle quali con così schietta e profonda commozione noi ci divideremmo, non è lecito dubitare che rimarranno pur sempre illesi quelli dei reciproci affetti, della comunanza di gloriose memorie.
Signori, i popoli ora rappresentati, e così degnamente, in questo Parlamento italiano; i popoli, che per sì maravigliosa e magnanima unanimità di sacrifizi e di voti alle nostre congiunsero le sorti loro, sanno come noi Subalpini dell'antica monarchia, che nei Principi della Casa di Savoia, non possono venire meno quell'affetto di padre, quella lealtà di Re, quel provvido istinto, quel coraggio imperterrito che diedero loro invidiabile fama e salutare potenza. Essi, compresi da riverente simpatica fiducia, fermando lo sguardo allo splendore della corona che cinge la fronte augusta di Vittorio Emanuele II, salutano con infinita esultanza l'èra sorgente, che l'indipendenza nazionale, fomentatrice di operose virtù, ed il progresso di una sana e generosa libertà (Iddio accolga propizio le nostre speranze, regga e conforti i nostri propositi!) faranno feconda di nuove glorie, di meritati benefizi. (Segni d'approvazione)
Ma è tempo ormai che, non ascoltando se non la voce del dovere, si comincino i nostri lavori.
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