XXIV Legislatura (dal 27 novembre 1913 al 29 settembre 1919)
Presidente del Senato
- Giuseppe Manfredi (27 novembre 1913-6 novembre 1918)
- Adeodato Bonasi (18 novembre 1918-29 settembre 1919)
Altre informazioni sulla legislatura
La XXIV legislatura fu inaugurata a Roma il 27 novembre 1913 e chiusa il 29 settembre 1919. Fu la più lunga legislatura del Regno. In Senato si svolsero 201 sedute. Giuseppe Manfredi rivestì nuovamente la carica di presidente del Senato fino alla morte, sopraggiunta il 6 novembre 1918; gli successe Adeodato Bonasi.
La legislatura fu preceduta dal patto Gentiloni, un accordo politico che comportava la desistenza in taluni collegi elettorali tra i candidati dell’Unione elettorale cattolica e i politici liberali di area moderata o conservatrice. Le elezioni della Camera dei deputati del 26 ottobre 1913 furono contraddistinte da un avanzamento degli schieramenti radicali e socialisti, e da un’affermazione della presenza cattolica.
Giovanni Giolitti si dimise da capo del governo il 10 marzo 1914 a seguito delle dimissioni di due ministri radicali, nonostante il recente successo in Parlamento del provvedimento governativo per la copertura delle spese della guerra in Libia. Il 12 marzo l’incarico di primo ministro passò a Antonio Salandra, che il 2 aprile ottenne la fiducia della Camera con ampia maggioranza e fu acclamato per il suo discorso di insediamento in Senato.
Nella primavera del 1914 il paese fu attraversato da un’ondata antimilitarista e antibellicista, sostenuta dalla maggior parte delle forze politiche democratiche e socialiste. La situazione internazionale tuttavia precipitò a causa di una singolare concatenazione di eventi: il 28 giugno 1914 l’arciduca Francesco Ferdinando d’Asburgo fu assassinato a Sarajevo; il 23 luglio fu lanciato l’ultimatum austriaco alla Serbia, seguito dalla dichiarazione di guerra del 28 luglio che fu all’origine della prima guerra mondiale.
L’Italia rimase per molti mesi estranea al conflitto, dichiarando ufficialmente la propria neutralità il 2 agosto, nel momento in cui la Germania entrava in guerra contro il Belgio e la Francia; seguirono a brevissimo giro le dichiarazioni di guerra degli altri paesi coinvolti nel conflitto: Austria, Germania e Turchia contro Francia, Belgio, Gran Bretagna, Serbia, Russia, Montenegro e Giappone.
Nel frattempo prese prudentemente consistenza il disegno interventista del governo italiano, soprattutto dopo il varo del secondo governo Salandra, con Sidney Sonnino al ministero degli Esteri.
Il Partito socialista restò a lungo contrario alla guerra, e ciò determinò l’allontanamento di alcuni esponenti interventisti, tra i quali Benito Mussolini, espulso dal partito il 29 novembre 1914. Ancora alla vigilia della dichiarazione italiana di guerra all’Austria, il Psi non avrebbe abbandonato le proprie posizioni neutraliste, che furono quelle proprie anche della maggior parte delle organizzazioni italiane dei lavoratori, fiduciose nel fatto che si potessero ottenere larghe concessioni dall’Austria senza dover ricorrere alla guerra.
Nelle sedute parlamentari del 3 dicembre, Salandra confermò la neutralità italiana, ma in un clima di vigile attesa che lasciava presagire un possibile coinvolgimento del paese nel conflitto. Gli ordini del giorno sulle comunicazioni del governo furono approvati alla Camera a larghissima maggioranza, al Senato (15 dicembre) all’unanimità. In questa prospettiva, la visita a Roma il 20 dicembre dell’ex cancelliere tedesco Barnhard von Bülow ebbe lo scopo di rassicurare il governo italiano di poter ricevere concessioni territoriali, in particolare il Trentino, in cambio della neutralità nel conflitto mondiale.
Il 30 dicembre il Senato si arricchì della nomina di 33 nuovi senatori, tra i quali Luigi Albertini, Guglielmo Marconi e Leone Wollemborg.
Nel marzo 1915 il presidente del Consiglio Salandra presentò alla Camera un disegno di legge per la difesa economica e militare dello Stato, chiedendone la procedura d’urgenza. Il governo rispose pertanto in modo inverso alle richieste pacifiste del Psi e delle organizzazioni dei lavoratori: nello stesso periodo predispose numerosi provvedimenti che miravano al rafforzamento dell’esercito e della marina, e alla pianificazione dell’economia di guerra. In particolare destò apprensione il disegno di legge governativo sul richiamo in servizio d’urgenza degli ufficiali di complemento, che tuttavia fu approvato con ampissima maggioranza. Il 13 marzo, mentre nel paese si susseguivano le manifestazioni contro la guerra, i ministri della Guerra, della Marina e del Tesoro presentarono alla Camera il disegno di legge di conversione del decreto-legge relativo alla costituzione del corpo aeronautico. Furono inoltre approvati i finanziamenti per la difesa e i provvedimenti volti a contrastare la diffusione di notizie d’interesse militare (legge 21 marzo 1915, n. 273). Nonostante questi preparativi alla guerra, ancora all’inizio di aprile il ministro degli Esteri Sonnino era possibilista, poiché riteneva di poter garantire all’Italia ampi compensi territoriali in via negoziale con l’Austria.
Il 26 aprile 1915 il governo Salandra firmò il patto di Londra, con il quale l’Italia si impegnava a entrare in guerra a fianco degli Stati dell’Intesa entro un mese. Il patto garantiva, in caso di vittoria, il trasferimento all’Italia dei territori del Trentino e dell’Alto Adige fino al Brennero, di Trieste, dell’Istria e di un’ampia porzione di costa dalmata; esso prevedeva inoltre il possesso di Valona e confermava la sovranità italiana sulle isole del Dodecaneso. Non si escludevano concessioni in Medio Oriente e ritocchi dei confini coloniali in Africa.
Il paese e il Parlamento erano tuttavia in quel momento ancora su posizioni ampiamente neutraliste; Salandra si rese conto di dover aggirare il giudizio dell’opinione pubblica contraria alla guerra rassegnando le dimissioni, che furono prontamente respinte dal re, il quale per tutta risposta ordinò la mobilitazione generale: sotto la pressione internazionale, il Parlamento si piegò alla volontà del sovrano, votando il 10 maggio i pieni poteri al governo sulla base di un disegno di legge presentato dal ministro Orlando (legge 22 maggio 1915, n. 671).
Iniziò così la mobilitazione per la guerra: il 23 maggio l’Italia dichiarò guerra all’Austria; furono emanati tre decreti relativi alla pubblica sicurezza, alla stampa e ai controlli postali, tutti pesantemente limitativi delle libertà. Il re stesso si trasferì sul fronte, dopo aver nominato luogotenente generale del Regno Tommaso di Savoia, duca di Genova.
Dopo circa un mese ebbe inizio la prima vera battaglia sull’Isonzo (a partire dal 23 giugno 1915), che si concentrò sull’altopiano del Carso e fece retrocedere le forze austriache fino all’inizio dell’inverno, quando subentrò una stasi nella condotta della guerra.
Con il regio decreto n. 993 del 26 giugno 1915 fu stabilita la mobilitazione industriale per assicurare i rifornimenti dell’esercito.
Nel corso dei primi mesi di combattimenti, l’attività parlamentare fu confinata a sessioni sempre più brevi e sempre più finalizzate alla conversione dei decreti-legge del governo, a tal punto da suscitare le vivaci proteste di deputati e senatori, contrari alla pratica di una decretazione debordante.
La situazione di stallo creatasi al fronte, unitamente ai metodi antiquati nella conduzione della guerra e alle ingenti perdite di soldati, indussero il governo a inviare il 6 febbraio 1916 il ministro della Guerra, il generale e senatore Vittorio Zupelli, dal generale Cadorna, capo del Comando supremo militare, ma il colloquio rimase privo di costrutto; il braccio di ferro tra gli alti comandi dell’esercito e il governo fece emergere un dissidio insuperabile, che portò alle dimissioni di Zupelli il 9 marzo. Ma l’inefficienza di Cadorna si rivelò all’opinione pubblica soltanto a partire dal 15 maggio 1916, quando gli austriaci iniziarono in Trentino una poderosa offensiva, la Strafexpedition (spedizione punitiva), che li portò ad avanzare in ampie porzioni di territorio italiano. Convocato dal ministro Sonnino il 25 maggio, il generale Cadorna comunicò la propria indisponibilità a dare spiegazioni sulla condotta della guerra; il governo decise allora di inviare al fronte il nuovo ministro della guerra, il generale Paolo Morrone, per raccogliere informazioni.
I tentennamenti del governo sulla destituzione di Cadorna provocarono l’indebolimento e la perdita di credibilità del governo stesso: il 10 giugno 1916 un voto negativo della Camera dei deputati sull’autorizzazione all’esercizio provvisorio del bilancio causò la caduta del governo Salandra.
Con una compagine di “unità nazionale”, il nuovo governo fu presieduto da Paolo Boselli, decano della Camera. Nemmeno con Boselli migliorarono le relazioni tra il governo e il comando supremo dell’esercito; le offensive austriache furono tuttavia contenute e le operazioni militari cominciarono a riequilibrarsi. Sostenuto dai buoni risultati militari, Cadorna inasprì ulteriormente i rapporti con il governo, impedendo ai ministri l’ingresso in zona di guerra senza il permesso preventivo del comando supremo.
Il 9 agosto 1916 le truppe italiane entrarono a Gorizia. Il 25 agosto l’Italia dichiarò guerra alla Germania.
Dopo il primo anno di guerra si verificarono numerosi episodi di renitenza, di insubordinazione, di autolesionismo e di automutilazione da parte dei soldati, proteste che portarono al pronunciamento di migliaia di condanne, tra le quali anche la fucilazione per gli atti più gravi di disubbidienza. Dal dicembre 1916 i tribunali militari fissarono di comune accordo la pena di morte per i reati di autolesionismo.
Nel frattempo la guerra stava creando delle modifiche profonde anche all’interno degli stati belligeranti: a partire dal 12-15 marzo 1917 l’opinione pubblica internazionale fu investita dalle notizie provenienti dalla Russia relative alla rivoluzione popolare e democratica a San Pietroburgo e all’abdicazione conseguente dello zar. I socialisti ne trassero spunto per ribadire l’importanza della pace (discorso di Claudio Treves alla Camera del 12 luglio 1917), nonostante lo stesso Filippo Turati avesse affermato pochi mesi prima che la pace italiana avrebbe dovuto essere subordinata all’acquisizione dei territori rivendicati e di determinate garanzie strategiche (discorso alla Camera del 14 dicembre 1916).
La situazione penosa creata dalla guerra al fronte e nella società fu denunciata anche da papa Benedetto XV, che in una nota del 1° agosto 1917, indirizzata ai capi dei popoli belligeranti, definì il conflitto in corso una “inutile strage”, evitabile con le risorse del diritto e della diplomazia. Da quel momento, accanto ai socialisti, anche i cattolici furono accusati di disfattismo dai nazionalisti più accesi.
La situazione precipitò il 24 ottobre 1917 a seguito del fulmineo sfondamento austriaco delle linee di difesa italiane sul fronte dell’Isonzo: l’esercito italiano fu spaccato in due parti e Cadorna, constatando la gravità della situazione, ordinò la ritirata sull’altopiano della Bainsizza. Il 28 ottobre gli austriaci conquistarono Udine, mentre il comando italiano fu costretto a trasferirsi a Treviso.
Nel frattempo, dimessosi Boselli il 26 ottobre di fronte all’aggravarsi degli eventi, il re incaricò Vittorio Emanuele Orlando di formare un nuovo governo (29 ottobre), la cui compagine fu una sorta di riedizione del governo precedente, con Sonnino riconfermato agli Esteri.
La rovinosa ritirata di Caporetto ebbe come conseguenza la perdita clamorosa di territorio, di popolazione (circa 1.152.000 abitanti) e di grandi quantità di armi e di munizioni cadute in mano al nemico; e inoltre 10 mila morti, 30 mila feriti, 293 mila prigionieri, 350 mila sbandati: a seguito di questa disfatta, il 9 novembre 1917 il nuovo governo decise di destituire il generale Cadorna dal comando supremo e nominò al suo posto il generale Armando Diaz (poi nominato senatore il 24 febbraio 1918).
L’8 gennaio 1918 il presidente statunitense Thomas Woodrow Wilson enunciò i principi per l’avvio dei negoziati di pace, i cosiddetti “Quattordici punti”; grande attenzione suscitò la proposta di costituire una Società delle Nazioni per regolare in futuro le controversie internazionali evitando altre guerre (lo statuto della Società delle Nazioni fu approvato a Parigi il 28 aprile 1919). L’8-10 aprile 1918 si svolse a Roma in Campidoglio il Congresso delle nazionalità oppresse nei territori dell’Impero austro-ungarico.
Con la legge 10 maggio 1918, n. 634 fu prorogata di un anno la durata della legislatura, per il persistere degli impegni di guerra.
A metà giugno si svolse vittoriosamente la battaglia del Piave, su un fronte ampio e con il dispiego di tutti i mezzi disponibili. A partire da quel momento l’esercito austriaco perse ogni residua speranza sulla tenuta dei territori italiani. A fine ottobre le truppe italiane conseguirono le vittorie sul Grappa e sul Piave, entrando a Vittorio Veneto; il 3 novembre fu liberata Trento e contemporaneamente vi fu lo sbarco a Trieste: nello stesso giorno fu firmato a Villa Giusti a Padova l’armistizio tra Italia e Austria. Il 4 novembre fu firmato da Armando Diaz il “Bollettino della Vittoria”.
Il 18 gennaio 1919 fu inaugurata a Parigi la Conferenza della pace, con la partecipazione dei plenipotenziari dei 27 Stati vittoriosi. La Conferenza, soprattutto per influenza di Wilson, elaborò un trattato fortemente punitivo nei confronti degli Stati vinti, ma comportò anche un ridimensionamento marcato delle rivendicazioni italiane, nel rispetto del principio di nazionalità, soprattutto in riferimento alla sponda adriatica inclusa nel patto di Londra.
Sulle questioni inerenti al trattato di pace, il 23 giugno Orlando perse l’appoggio della Camera e fu costretto alle dimissioni. L’incarico per la costituzione di un nuovo governo fu conferito a Francesco Saverio Nitti: il trattato di pace fu da lui firmato il 28 giugno.
Tra giugno e luglio 1919 si svilupparono gravi disordini a Fiume, non compresa tra i territori assegnati all’Italia. Fiume fu per alcuni anni una spina nel fianco della diplomazia italiana. La mancata annessione della città portuale provocò slanci revanscisti in grado di compromettere i risultati della pace appena raggiunta. Infatti il 12 settembre 1919 Gabriele D’Annunzio entrò a Fiume con un piccolo seguito di legionari armati, proclamandone l’annessione all’Italia; il 25 settembre il governo italiano sconfessò l’azione, ma si astenne dall’intervenire per il ripristino dell’ordine.
Per quanto riguarda la politica interna, la guerra aveva accelerato i processi di trasformazione dei partiti e delle organizzazioni politiche. Il 18 gennaio 1919 fu fondato a Roma, su iniziativa di Luigi Sturzo, il Partito popolare italiano, che segnò l’ingresso a pieno titolo dei cattolici nella politica italiana. Il 23 marzo furono fondati a Milano, in una sala di piazza San Sepolcro, i Fasci di combattimento, organizzazione nazionalista con risvolti paramilitari.
La mobilitazione totale della popolazione ebbe conseguenze dirette anche in direzione dell’ampliamento dei diritti politici: il 2 settembre 1919 fu emanato il regio decreto n. 1495 che stabiliva, per l’elezione della Camera dei deputati, l’estensione del suffragio (con voto di lista e sistema proporzionale) a tutti i cittadini maschi che avessero compiuto 21 anni. Il disegno di legge per l’estensione del diritto di voto alle donne fu presentato alla Camera il 12 luglio 1919 e approvato il 6 settembre, ma non poté essere trasmesso al Senato per il sopraggiungere dello scioglimento della legislatura.
Il 6 ottobre furono nominati 59 nuovi senatori, tra i quali Artom, Einaudi, Loria, Mosca.
Volumi | Estremi cronologici | Sessione | Contiene | |
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Atti parlamentari della Camera dei Senatori. Discussioni : legislatura XXIV, 1a sessione 1913. - Roma : Tipografia del Senato, 1913 | 27 novembre 1913 17 luglio 1914 |
unica | Discorso del re all'apertura della prima sessione - Discussioni | |
Atti parlamentari della Camera dei Senatori. Discussioni : legislatura XXIV, sessione 1913-16, 1a della legislatura. Volume secondo, tornate dal 3 dicembre 1914 al 5 luglio 1916. - Roma : Tipografia del Senato, 1916 | 3 dicembre 1914 5 luglio 1916 |
unica | Discussioni | |
Atti parlamentari della Camera dei Senatori. Discussioni : legislatura XXIV, sessione 1913-17, 1a della legislatura. Volume terzo, tornate dal 5 dicembre 1916 al 16 luglio 1917. - Roma : Tipografia del Senato, 1917 | 5 dicembre 1916 16 luglio 1917 |
unica | Discussioni | |
Atti parlamentari della Camera dei Senatori. Discussioni : legislatura XXIV, sessione 1913-18, 1a della legislatura. Volume quarto, tornate dal 25 ottobre 1917 al 22 giugno 1918. - Roma : Tipografia del Senato, 1918 | 25 ottobre 1917 22 giugno 1918 |
unica | Discussioni | |
Atti parlamentari della Camera dei Senatori. Discussioni : legislatura XXIV, sessione 1913-1919, 1a della legislatura. Volume quinto, tornate dal 3 ottobre 1918 al 14 agosto 1919. - Roma : Tipografia del Senato, 1919 | 3 ottobre 1918 14 agosto 1919 |
unica | Discussioni - Indice alfabetico ed analitico delle materie contenute nei volumi della sessione unica 1913-19 |